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[In Attesa] Scheda di Olivia (Sir_Alric)
05-08-2012, 08:25 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 08-08-2020 01:40 PM da Sir_Alric.)
Messaggio: #1
[In Attesa] Scheda di Olivia (Sir_Alric)

Nome: Olivia

Anni
: 16

Altezza: 1,66 m.

Peso: 53 kg.

Arto Dominante: Braccio Sinistro.

Tipologia: Guerriera di Difesa.

Avatar:
[Immagine: Claymore-Gd-R-Avatar-Olivia.jpg]


Simbolo: 
[Immagine: Simbolo-di-Olivia.png]



Profilo Fisico: Olivia è una giovane donna dal corpo snello e ben proporzionato, che gli anni di addestramento come guerriera dell'Organizzazione hanno reso agile e scattante. I suoi occhi, ora d’argento come quelli di tutte le fanciulle metà umane e metà yoma, un tempo erano color verde oliva, ed è proprio da quel particolare che deriva il suo nome. Vanta inoltre una folta chioma di capelli color biondo paglia (in origine invece erano castani) che davanti le incorniciano il volto quasi come fossero una criniera arrivandole fino poco sopra il seno, mentre di spalle le scendono invece fino a metà della schiena, e delle labbra color ciliegia.

Profilo Psicologico: Olivia è una guerriera dal carattere tranquillo e riservato. Ragazza intelligente e mai impulsiva, è il tipo che preferisce riflettere prima di agire onde evitare il più possibile di commettere errori che potrebbero costarle caro. E' anche una persona che attribuisce un grande valore al rispetto della parola data, ed è per questo che quando fa una promessa poi fa di tutto per mantenerla. Lo sente come un obbligo morale. Olivia ama molto gli spazi aperti, gli uccelli, e le nuvole, che per lei rappresentano l’emblema della massima libertà, cui aspira da sempre. Adora anche le storie, in special modo quelle che narrano di come persone deboli costrette a vivere in condizioni difficili riescano, grazie al coraggio, alla forza di volontà, e alla determinazione, ad affrancarsi dalla propria condizione miserabile e a realizzare i loro sogni, probabilmente perché le piacerebbe che la sua storia somigliasse ad una di queste. Nutre invece un profondo disprezzo nei confronti dell’Organizzazione e di tutto ciò che la riguarda, a cominciare dal quartier generale di Staph che le ricorda la prigione del nord in cui fu costretta a trascorrere la sua infanzia (solo molto più grande e meglio organizzato), per proseguire poi con tutti i suoi membri, dal primo all’ultimo nessuno escluso, che considera dei bastardi senza cuore sullo stesso livello degli schiavisti. Un disprezzo, il suo, che tuttavia la ragazza si guarda bene dal manifestare apertamente, preferendo al contrario recitare la parte della guerriera modello così da guadagnarsi la fiducia degli uomini in nero, mentre in segreto attende paziente il momento propizio per sottrarsi al loro giogo. Nei confronti delle altre guerriere Olivia prova un grande rispetto, perché sa che anche loro, come lei, sono persone che hanno patito grandi sofferenze, ed è per questo motivo che se qualche compagna le rivolge la parola si dimostra sempre molto cordiale e affabile. Tuttavia, si sforza per quanto possibile di mantenere le distanze e di non legare con nessuna di esse. In parte è perché teme di soffrire nuovamente come quando scomparve sua sorella, nel caso in cui dovesse affezionarsi ad una compagna e poi questa compagna dovesse perdere la vita. Ed in parte, è perché teme che un eventuale legame di amicizia con un’altra guerriera potrebbe costituire un zavorra di ostacolo ai suoi piani. Sebbene degli uomini senza scrupoli siano stati la causa primaria di tutte le sue sofferenze, Olivia non prova alcun astio nei confronti dell’umanità in generale. Non solo perché lei stessa si considera tuttora, nonostante tutto, un essere umano (anche se altri potrebbero non essere d’accordo) e quindi odiando gli umani odierebbe pure se stessa, ma anche perché sa che a questo mondo non ci sono soltanto uomini malvagi, ma anche tante brave persone che meritano di essere aiutate. E’ stata sua sorella a insegnarglielo. Per quanto riguarda gli Yoma, infine, il discorso è un po’ più complesso: contrariamente alla maggior parte delle altre guerriere Olivia non ha subito alcun torto da parte degli Yoma, e quindi a livello personale non ha motivo di nutrire un odio particolare nei loro confronti. Tuttavia, il già citato senso di appartenenza alla razza umana la porta a considerare quei mostri mangia-budella come un male da estirpare, non tanto per odio, come si è detto, ma piuttosto perché ucciderli è la cosa più giusta da fare per salvare coloro che altrimenti diverrebbero le loro vittime.

Storia Personale: L'Atmosfera lugubre e opprimente della prigione sotterranea. Le sbarre di ferro delle celle, arrugginite dal tempo ma ancora solide abbastanza da stroncare sul nascere qualsiasi velleità di fuga degli schiavi. L'Aria stantìa, impregnata del lezzo di sudore e feci. I colpi di tosse e i singhiozzi che provenivano dagli occupanti delle celle vicine. Gli occhi tristi di Ottavia, e quel sorriso forzato che le appariva sul volto ogni qualvolta decideva di stringerla a sé per confortarla, e per confortare se stessa, allo stesso tempo. Questi sono i primi ricordi che Olivia ha della sua vita, memorie risalenti a 11 anni fa quando lei e sua sorella maggiore erano, insieme a molti altri poveri sventurati, prigioniere (o forse è più corretto dire proprietà) di una crudele banda di schiavisti del nord. All'epoca lei aveva solo 5 anni, mentre Ottavia ne aveva 14. Olivia non ha idea di come o perché lei e sua sorella fossero finite in quel luogo orribile, alla mercé di uomini crudeli, perché per qualche ragione che non sa spiegare qualsiasi memoria dei suoi primi anni di vita sembra essere completamente scomparsa dalla sua mente. Sa di essere originaria delle terre del sud, perché questo è ciò che sua sorella le disse una volta, ma non ricorda assolutamente nulla della sua casa, e neppure di suo padre o di sua madre. Alcune volte, spinta dalla curiosità infantile, aveva provato a chiedere ad Ottavia, che essendo più grande di lei certamente non aveva dimenticato, di raccontarle qualcosa dei loro genitori o di com'era la loro vita prima di finire nelle grinfie degli schiavisti, ma a quelle domande sua sorella non aveva mai risposto. Anzi, ogni qualvolta si toccava quel tema, Ottavia si rabbuiava in volto, come se fosse un qualcosa di cui assolutamente non desiderava parlare, dopodiché si rivolgeva a Olivia con un sorriso malinconico e cambiava subito argomento per distrarla e farla desistere dall'indagare più a fondo, il più delle volte iniziando a raccontarle qualcuna delle fiabe che conosceva, oppure parlandole della loro terra natale o di altri luoghi di cui aveva sentito parlare. Era una tecnica che funzionava sempre.

Olivia rimase prigioniera degli schiavisti per quattro lunghi anni, periodo durante il quale non sempre poté stare accanto a sua sorella. A intervalli regolari infatti i loro "padroni" venivano a prelevare un certo numero di prigionieri, più o meno tutti quelli in grado di lavorare (il che includeva anche Ottavia) e li portavano via con loro. A volte gli schiavi stavano via per molte ore, altre volte addirittura per giorni interi, prima di essere riportati indietro, completamente esausti e affamati. Ed ogni volta, c'era qualcuno che non faceva ritorno. Che cosa ne fosse stato di loro non era dato saperlo, forse in qualche modo erano riusciti a fuggire, o forse, più probabilmente, erano morti, uccisi dalla fatica o magari  dagli stessi schiavisti, ma in ogni caso per Olivia non c’era modo di saperlo. In quei momenti, nelle lunghe ore trascorse da sola nella sua cella a sperare che sua sorella tornasse presto da lei, Olivia non poteva fare altro che ingannare il tempo ripensando a tutte le storie che Ottavia le aveva raccontato, e fantasticando del giorno in cui sarebbe finalmente fuggita da quella prigione maledetta, avrebbe sconfitto gli uomini malvagi che l'avevano tenuta prigioniera così a lungo, e salvato  sua sorella (sì perché, nelle sue fantasie di bambina, Olivia immaginava se stessa come la tipica eroina delle fiabe). Poi, lei e sua sorella avrebbero viaggiato per il mondo, visitato i luoghi di cui Ottavia le aveva parlato e molti altri ancora, e vissuto come avrebbero voluto. Sì, era quello il sogno di Olivia, un desiderio in fondo così semplice, che si poteva riassumere in una sola parola: libertà. Eppure, il destino non era disposto  a realizzare quel suo piccolo sogno, al contrario, sembrò quasi volersi mettere d’impegno per dimostrarle fino a che punto la realtà poteva essere crudele. Un brutto giorno, infatti, il gruppo degli schiavi rientrò stremato dall’ennesima massacrante giornata di lavoro, ma questa volta, Ottavia non c’era.  Olivia non ha mai saputo che cosa ne fosse stato di lei. Era… scomparsa,  svanita nel nulla così, semplicemente, quasi non fosse mai esistita, com’era accaduto a molti altri prima di lei. Di sicuro i padroni dovevano sapere che cosa fosse successo, ma quelle luride carogne non si posero certo il problema di venirglielo a raccontare. La perdita di Ottavia, comprensibilmente, fu un colpo durissimo per la piccola Olivia. Sua sorella del resto era tutto ciò che aveva: il suo unico affetto, il suo supporto morale, l’unica persona al mondo che si era sempre adoperata, nel suo piccolo, per cercare di regalarle qualcosa che assomigliasse ad un frammento di vita normale, per quanto fosse possibile nelle condizioni in cui erano costrette a vivere. La sua scomparsa portò Olivia a chiudersi in se stessa, lasciandole nel cuore una profonda ferita anche a distanza di tanti anni non si è mai rimarginata del tutto.

Ma questo era soltanto l’inizio. Quattro mesi dopo la scomparsa di Ottavia, si verificò l’evento che avrebbe fondamentalmente cambiato per sempre il corso della sua esistenza. Allora aveva da poco compiuto 9 anni, quando  un giorno  i suoi padroni decisero che era finalmente diventata grande abbastanza per essere mandata a lavorare assieme agli altri schiavi. Olivia non scorderà mai l’emozione che provò la prima volta che poté uscire dalla sua cella, la prima volta che poté salire in superficie a respirare aria fresca, la prima volta che poté guardarsi intorno e ammirare un panorama diverso da quei freddi muri di pietra e quelle sbarre di metallo arrugginito che fino ad allora erano state tutto il suo mondo. Sebbene non la stessero certo portando a fare una gita di piacere, quel giorno Olivia era eccitata come non mai,  e per tutto il tempo non fece altro che guardarsi attorno osservando ogni più piccolo dettaglio di ciò che la circondava, non importa quanto insignificante potesse apparire agli occhi degli altri. Imparò così che la prigione sotterranea dove aveva vissuto… o meglio, dove era stata costretta a vivere fino ad allora, si trovava tra le rovine di un villaggio fantasma abbandonato tempo addietro dai suoi abitanti, e che la banda di schiavisti che la teneva prigioniera aveva deciso di usare come sua base operativa. Il luogo in cui gli schiavi venivano fatti lavorare si trovava a qualche miglio di distanza sulle colline a nord-est del villaggio, e per raggiungerlo era necessario attraversare un tratto di foresta. Come sempre, i padroni fecero disporre gli schiavi in fila indiana, piazzarono degli uomini armati da entrambi i lati per tenerli d’occhio e assicurarsi che nessuno cercasse di scappare, e ordinarono di mettersi in marcia. Normalmente, sarebbero arrivati a destinazione nel giro di un paio d’ore, e Olivia sarebbe stata messa a lavorare (in qualunque cosa consistesse suddetto lavoro) insieme a tutti gli altri, tuttavia, quel giorno la comitiva non giunse mai a destinazione. Mentre era intento ad attraversare la foresta, infatti, il gruppo venne assalito improvvisamente da un mostro enorme, una creatura da incubo del tipo che la piccola Olivia non avrebbe mai neppure pensato potesse esistere. Il mostro in questione era un Risvegliato, anche se allora la piccola Olivia non poteva certo saperlo, il quale spinto probabilmente dalla fame di interiora si avventò come una furia sulla comitiva, seminando il caos più completo tra gli atterriti umani. Alcune delle guardie tentarono di affrontare il mostro, ma vennero fatte a pezzi in pochissimi secondi. A quel punto tutti gli altri, schiavi e padroni indifferentemente, cercarono solamente di darsi alla fuga scappando in ogni direzione,  nel tentativo di salvarsi la pelle. Olivia, ovviamente, era tra questi, e tra le urla di dolore di coloro che venivano raggiunti e dilaniati dal mostro, e le grida di terrore di coloro che invece cercavano di sottrarsi in ogni modo a quell’atroce destino, riuscì ad approfittare della confusione per fuggire e mettersi in salvo. Ripensandoci ora, non saprebbe dire quanto a lungo corse attraverso la foresta innevata senza mai fermarsi ne voltarsi indietro per paura che il mostro la raggiungesse, e questo anche molto tempo dopo aver smesso di sentire le urla dietro di lei, prima di crollare a terra, esausta. Affamata, indebolita dal freddo pungente del nord, senza nessuna idea di dove si trovasse o di come raggiungere il rifugio più vicino, chissà che cosa sarebbe stato di lei se uno strano uomo vestito di nero non fosse apparso dal nulla e non l’avesse trovata. In quel momento, Olivia pensò che quell’uomo vestito di nero le avesse salvato la vita, ma si trattava soltanto di una pia illusione, destinata a svanire ben presto.

Quell’uomo la condusse lontano dal nord, verso  le terre orientali di Staph, presso la sede di una misteriosa Organizzazione, dove Olivia scoprì che ciò che avevano in serbo per lei non era la vita normale che aveva sognato e a cui anelava, ma un’altra forma di schiavitù, persino peggiore di quella che aveva sperimentato per mano degli schiavisti del nord. I membri dell’Organizzazione infatti non si limitarono a privarla della libertà, di nuovo, no… le portarono via anche qualcos’altro di ancora più prezioso: la sua umanità. A Staph, sede dell’Organizzazione, Olivia fu trasformata in un ibrido metà umano e metà yoma, uno di quegli esseri a cui gli abitanti di questa terra si riferiscono con il nome di Claymore. Le furono insegnate l’arte del combattimento con la spada e molte altre cose, affinché potesse diventare un’arma, uno strumento nelle mani dell’Organizzazione, con null’altro scopo nella vita se non adempierne il volere. Un compito a cui Olivia nel corso degli anni si è dedicata con abnegazione, almeno in apparenza. In realtà, ella non ha affatto dimenticato il suo sogno di quand’era bambina, che anzi nella sua mente è vivo più che mai, e se ha appreso ciò che l’Organizzazione ha voluto insegnarle, è stato solo per acquisire la forza, le abilità, e la conoscenza necessarie per conquistarsi l’agognata libertà. Olivia ha fatto un giuramento a se stessa: un giorno, realizzerà il suo sogno di viaggiare libera per il mondo, vivendo come vorrà, senza che nessuno, mai più, possa rinchiuderla in una gabbia e imporle cosa fare. Ci riuscirà, oppure morirà provandoci. Quello che assolutamente non farà, sarà trascorrere il resto della sua vita vivendo come una schiava. E quando ci sarà riuscita, forse, proverà anche a cercare di scoprire che ne è stato di sua sorella. Nonostante siano passati molti anni, e nonostante la ragione le imponga di accettare il fatto che sia morta, infatti, nel profondo del suo cuore Olivia non ha mai smesso di sperare che Ottavia possa essere  ancora viva, da qualche parte. In fondo lei è sopravvissuta, Ottavia potrebbe aver fatto lo stesso. Per quanto irrazionale possa essere, questa flebile speranza che cova in fondo al cuore non fa che rafforzarla nella sua determinazione.  Olivia però non è stupida, sa bene che sfuggire alla morsa dell’Organizzazione è un’impresa tutt’altro che semplice, e che tutte quelle che ci hanno provato sono quasi sempre andate incontro alla morte. Per questo ha deciso di recitare la parte della guerriera modello, per non attirare su di sé le attenzioni degli uomini in nero, in attesa che arrivi il momento propizio per spezzare finalmente le catene che da troppo tempo la tengono imprigionata e spiccare il volo...




Join us, brothers and sisters. Join us in the shadows were we stand vigilant. Join us as we carry the duty that cannot be forsworn. And should you perish, know that your sacrifice will not be forgotten, and that one day we shall join you.
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