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[In Attesa] Scheda di Olivia (Sir_Alric)
05-08-2012, 08:25 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 08-08-2020 01:40 PM da Sir_Alric.)
Messaggio: #1
[In Attesa] Scheda di Olivia (Sir_Alric)

Nome: Olivia

Anni
: 16

Altezza: 1,66 m.

Peso: 53 kg.

Arto Dominante: Braccio Sinistro.

Tipologia: Guerriera di Difesa.

Avatar:
[Immagine: Claymore-Gd-R-Avatar-Olivia.jpg]


Simbolo: 
[Immagine: Simbolo-di-Olivia.png]



Profilo Fisico: Olivia è una giovane donna dal corpo snello e ben proporzionato, che gli anni di addestramento come guerriera dell'Organizzazione hanno reso agile e scattante. I suoi occhi, ora d’argento come quelli di tutte le fanciulle metà umane e metà yoma, un tempo erano color verde oliva, ed è proprio da quel particolare che deriva il suo nome. Vanta inoltre una folta chioma di capelli color biondo paglia (in origine invece erano castani) che davanti le incorniciano il volto quasi come fossero una criniera arrivandole fino poco sopra il seno, mentre di spalle le scendono invece fino a metà della schiena, e delle labbra color ciliegia.

Profilo Psicologico: Olivia è una guerriera dal carattere tranquillo e riservato. Ragazza intelligente e mai impulsiva, è il tipo che preferisce riflettere prima di agire onde evitare il più possibile di commettere errori che potrebbero costarle caro. E' anche una persona che attribuisce un grande valore al rispetto della parola data, ed è per questo che quando fa una promessa poi fa di tutto per mantenerla. Lo sente come un obbligo morale. Olivia ama molto gli spazi aperti, gli uccelli, e le nuvole, che per lei rappresentano l’emblema della massima libertà, cui aspira da sempre. Adora anche le storie, in special modo quelle che narrano di come persone deboli costrette a vivere in condizioni difficili riescano, grazie al coraggio, alla forza di volontà, e alla determinazione, ad affrancarsi dalla propria condizione miserabile e a realizzare i loro sogni, probabilmente perché le piacerebbe che la sua storia somigliasse ad una di queste. Nutre invece un profondo disprezzo nei confronti dell’Organizzazione e di tutto ciò che la riguarda, a cominciare dal quartier generale di Staph che le ricorda la prigione del nord in cui fu costretta a trascorrere la sua infanzia (solo molto più grande e meglio organizzato), per proseguire poi con tutti i suoi membri, dal primo all’ultimo nessuno escluso, che considera dei bastardi senza cuore sullo stesso livello degli schiavisti. Un disprezzo, il suo, che tuttavia la ragazza si guarda bene dal manifestare apertamente, preferendo al contrario recitare la parte della guerriera modello così da guadagnarsi la fiducia degli uomini in nero, mentre in segreto attende paziente il momento propizio per sottrarsi al loro giogo. Nei confronti delle altre guerriere Olivia prova un grande rispetto, perché sa che anche loro, come lei, sono persone che hanno patito grandi sofferenze, ed è per questo motivo che se qualche compagna le rivolge la parola si dimostra sempre molto cordiale e affabile. Tuttavia, si sforza per quanto possibile di mantenere le distanze e di non legare con nessuna di esse. In parte è perché teme di soffrire nuovamente come quando scomparve sua sorella, nel caso in cui dovesse affezionarsi ad una compagna e poi questa compagna dovesse perdere la vita. Ed in parte, è perché teme che un eventuale legame di amicizia con un’altra guerriera potrebbe costituire un zavorra di ostacolo ai suoi piani. Sebbene degli uomini senza scrupoli siano stati la causa primaria di tutte le sue sofferenze, Olivia non prova alcun astio nei confronti dell’umanità in generale. Non solo perché lei stessa si considera tuttora, nonostante tutto, un essere umano (anche se altri potrebbero non essere d’accordo) e quindi odiando gli umani odierebbe pure se stessa, ma anche perché sa che a questo mondo non ci sono soltanto uomini malvagi, ma anche tante brave persone che meritano di essere aiutate. E’ stata sua sorella a insegnarglielo. Per quanto riguarda gli Yoma, infine, il discorso è un po’ più complesso: contrariamente alla maggior parte delle altre guerriere Olivia non ha subito alcun torto da parte degli Yoma, e quindi a livello personale non ha motivo di nutrire un odio particolare nei loro confronti. Tuttavia, il già citato senso di appartenenza alla razza umana la porta a considerare quei mostri mangia-budella come un male da estirpare, non tanto per odio, come si è detto, ma piuttosto perché ucciderli è la cosa più giusta da fare per salvare coloro che altrimenti diverrebbero le loro vittime.

Storia Personale: L'Atmosfera lugubre e opprimente della prigione sotterranea. Le sbarre di ferro delle celle, arrugginite dal tempo ma ancora solide abbastanza da stroncare sul nascere qualsiasi velleità di fuga degli schiavi. L'Aria stantìa, impregnata del lezzo di sudore e feci. I colpi di tosse e i singhiozzi che provenivano dagli occupanti delle celle vicine. Gli occhi tristi di Ottavia, e quel sorriso forzato che le appariva sul volto ogni qualvolta decideva di stringerla a sé per confortarla, e per confortare se stessa, allo stesso tempo. Questi sono i primi ricordi che Olivia ha della sua vita, memorie risalenti a 11 anni fa quando lei e sua sorella maggiore erano, insieme a molti altri poveri sventurati, prigioniere (o forse è più corretto dire proprietà) di una crudele banda di schiavisti del nord. All'epoca lei aveva solo 5 anni, mentre Ottavia ne aveva 14. Olivia non ha idea di come o perché lei e sua sorella fossero finite in quel luogo orribile, alla mercé di uomini crudeli, perché per qualche ragione che non sa spiegare qualsiasi memoria dei suoi primi anni di vita sembra essere completamente scomparsa dalla sua mente. Sa di essere originaria delle terre del sud, perché questo è ciò che sua sorella le disse una volta, ma non ricorda assolutamente nulla della sua casa, e neppure di suo padre o di sua madre. Alcune volte, spinta dalla curiosità infantile, aveva provato a chiedere ad Ottavia, che essendo più grande di lei certamente non aveva dimenticato, di raccontarle qualcosa dei loro genitori o di com'era la loro vita prima di finire nelle grinfie degli schiavisti, ma a quelle domande sua sorella non aveva mai risposto. Anzi, ogni qualvolta si toccava quel tema, Ottavia si rabbuiava in volto, come se fosse un qualcosa di cui assolutamente non desiderava parlare, dopodiché si rivolgeva a Olivia con un sorriso malinconico e cambiava subito argomento per distrarla e farla desistere dall'indagare più a fondo, il più delle volte iniziando a raccontarle qualcuna delle fiabe che conosceva, oppure parlandole della loro terra natale o di altri luoghi di cui aveva sentito parlare. Era una tecnica che funzionava sempre.

Olivia rimase prigioniera degli schiavisti per quattro lunghi anni, periodo durante il quale non sempre poté stare accanto a sua sorella. A intervalli regolari infatti i loro "padroni" venivano a prelevare un certo numero di prigionieri, più o meno tutti quelli in grado di lavorare (il che includeva anche Ottavia) e li portavano via con loro. A volte gli schiavi stavano via per molte ore, altre volte addirittura per giorni interi, prima di essere riportati indietro, completamente esausti e affamati. Ed ogni volta, c'era qualcuno che non faceva ritorno. Che cosa ne fosse stato di loro non era dato saperlo, forse in qualche modo erano riusciti a fuggire, o forse, più probabilmente, erano morti, uccisi dalla fatica o magari  dagli stessi schiavisti, ma in ogni caso per Olivia non c’era modo di saperlo. In quei momenti, nelle lunghe ore trascorse da sola nella sua cella a sperare che sua sorella tornasse presto da lei, Olivia non poteva fare altro che ingannare il tempo ripensando a tutte le storie che Ottavia le aveva raccontato, e fantasticando del giorno in cui sarebbe finalmente fuggita da quella prigione maledetta, avrebbe sconfitto gli uomini malvagi che l'avevano tenuta prigioniera così a lungo, e salvato  sua sorella (sì perché, nelle sue fantasie di bambina, Olivia immaginava se stessa come la tipica eroina delle fiabe). Poi, lei e sua sorella avrebbero viaggiato per il mondo, visitato i luoghi di cui Ottavia le aveva parlato e molti altri ancora, e vissuto come avrebbero voluto. Sì, era quello il sogno di Olivia, un desiderio in fondo così semplice, che si poteva riassumere in una sola parola: libertà. Eppure, il destino non era disposto  a realizzare quel suo piccolo sogno, al contrario, sembrò quasi volersi mettere d’impegno per dimostrarle fino a che punto la realtà poteva essere crudele. Un brutto giorno, infatti, il gruppo degli schiavi rientrò stremato dall’ennesima massacrante giornata di lavoro, ma questa volta, Ottavia non c’era.  Olivia non ha mai saputo che cosa ne fosse stato di lei. Era… scomparsa,  svanita nel nulla così, semplicemente, quasi non fosse mai esistita, com’era accaduto a molti altri prima di lei. Di sicuro i padroni dovevano sapere che cosa fosse successo, ma quelle luride carogne non si posero certo il problema di venirglielo a raccontare. La perdita di Ottavia, comprensibilmente, fu un colpo durissimo per la piccola Olivia. Sua sorella del resto era tutto ciò che aveva: il suo unico affetto, il suo supporto morale, l’unica persona al mondo che si era sempre adoperata, nel suo piccolo, per cercare di regalarle qualcosa che assomigliasse ad un frammento di vita normale, per quanto fosse possibile nelle condizioni in cui erano costrette a vivere. La sua scomparsa portò Olivia a chiudersi in se stessa, lasciandole nel cuore una profonda ferita anche a distanza di tanti anni non si è mai rimarginata del tutto.

Ma questo era soltanto l’inizio. Quattro mesi dopo la scomparsa di Ottavia, si verificò l’evento che avrebbe fondamentalmente cambiato per sempre il corso della sua esistenza. Allora aveva da poco compiuto 9 anni, quando  un giorno  i suoi padroni decisero che era finalmente diventata grande abbastanza per essere mandata a lavorare assieme agli altri schiavi. Olivia non scorderà mai l’emozione che provò la prima volta che poté uscire dalla sua cella, la prima volta che poté salire in superficie a respirare aria fresca, la prima volta che poté guardarsi intorno e ammirare un panorama diverso da quei freddi muri di pietra e quelle sbarre di metallo arrugginito che fino ad allora erano state tutto il suo mondo. Sebbene non la stessero certo portando a fare una gita di piacere, quel giorno Olivia era eccitata come non mai,  e per tutto il tempo non fece altro che guardarsi attorno osservando ogni più piccolo dettaglio di ciò che la circondava, non importa quanto insignificante potesse apparire agli occhi degli altri. Imparò così che la prigione sotterranea dove aveva vissuto… o meglio, dove era stata costretta a vivere fino ad allora, si trovava tra le rovine di un villaggio fantasma abbandonato tempo addietro dai suoi abitanti, e che la banda di schiavisti che la teneva prigioniera aveva deciso di usare come sua base operativa. Il luogo in cui gli schiavi venivano fatti lavorare si trovava a qualche miglio di distanza sulle colline a nord-est del villaggio, e per raggiungerlo era necessario attraversare un tratto di foresta. Come sempre, i padroni fecero disporre gli schiavi in fila indiana, piazzarono degli uomini armati da entrambi i lati per tenerli d’occhio e assicurarsi che nessuno cercasse di scappare, e ordinarono di mettersi in marcia. Normalmente, sarebbero arrivati a destinazione nel giro di un paio d’ore, e Olivia sarebbe stata messa a lavorare (in qualunque cosa consistesse suddetto lavoro) insieme a tutti gli altri, tuttavia, quel giorno la comitiva non giunse mai a destinazione. Mentre era intento ad attraversare la foresta, infatti, il gruppo venne assalito improvvisamente da un mostro enorme, una creatura da incubo del tipo che la piccola Olivia non avrebbe mai neppure pensato potesse esistere. Il mostro in questione era un Risvegliato, anche se allora la piccola Olivia non poteva certo saperlo, il quale spinto probabilmente dalla fame di interiora si avventò come una furia sulla comitiva, seminando il caos più completo tra gli atterriti umani. Alcune delle guardie tentarono di affrontare il mostro, ma vennero fatte a pezzi in pochissimi secondi. A quel punto tutti gli altri, schiavi e padroni indifferentemente, cercarono solamente di darsi alla fuga scappando in ogni direzione,  nel tentativo di salvarsi la pelle. Olivia, ovviamente, era tra questi, e tra le urla di dolore di coloro che venivano raggiunti e dilaniati dal mostro, e le grida di terrore di coloro che invece cercavano di sottrarsi in ogni modo a quell’atroce destino, riuscì ad approfittare della confusione per fuggire e mettersi in salvo. Ripensandoci ora, non saprebbe dire quanto a lungo corse attraverso la foresta innevata senza mai fermarsi ne voltarsi indietro per paura che il mostro la raggiungesse, e questo anche molto tempo dopo aver smesso di sentire le urla dietro di lei, prima di crollare a terra, esausta. Affamata, indebolita dal freddo pungente del nord, senza nessuna idea di dove si trovasse o di come raggiungere il rifugio più vicino, chissà che cosa sarebbe stato di lei se uno strano uomo vestito di nero non fosse apparso dal nulla e non l’avesse trovata. In quel momento, Olivia pensò che quell’uomo vestito di nero le avesse salvato la vita, ma si trattava soltanto di una pia illusione, destinata a svanire ben presto.

Quell’uomo la condusse lontano dal nord, verso  le terre orientali di Staph, presso la sede di una misteriosa Organizzazione, dove Olivia scoprì che ciò che avevano in serbo per lei non era la vita normale che aveva sognato e a cui anelava, ma un’altra forma di schiavitù, persino peggiore di quella che aveva sperimentato per mano degli schiavisti del nord. I membri dell’Organizzazione infatti non si limitarono a privarla della libertà, di nuovo, no… le portarono via anche qualcos’altro di ancora più prezioso: la sua umanità. A Staph, sede dell’Organizzazione, Olivia fu trasformata in un ibrido metà umano e metà yoma, uno di quegli esseri a cui gli abitanti di questa terra si riferiscono con il nome di Claymore. Le furono insegnate l’arte del combattimento con la spada e molte altre cose, affinché potesse diventare un’arma, uno strumento nelle mani dell’Organizzazione, con null’altro scopo nella vita se non adempierne il volere. Un compito a cui Olivia nel corso degli anni si è dedicata con abnegazione, almeno in apparenza. In realtà, ella non ha affatto dimenticato il suo sogno di quand’era bambina, che anzi nella sua mente è vivo più che mai, e se ha appreso ciò che l’Organizzazione ha voluto insegnarle, è stato solo per acquisire la forza, le abilità, e la conoscenza necessarie per conquistarsi l’agognata libertà. Olivia ha fatto un giuramento a se stessa: un giorno, realizzerà il suo sogno di viaggiare libera per il mondo, vivendo come vorrà, senza che nessuno, mai più, possa rinchiuderla in una gabbia e imporle cosa fare. Ci riuscirà, oppure morirà provandoci. Quello che assolutamente non farà, sarà trascorrere il resto della sua vita vivendo come una schiava. E quando ci sarà riuscita, forse, proverà anche a cercare di scoprire che ne è stato di sua sorella. Nonostante siano passati molti anni, e nonostante la ragione le imponga di accettare il fatto che sia morta, infatti, nel profondo del suo cuore Olivia non ha mai smesso di sperare che Ottavia possa essere  ancora viva, da qualche parte. In fondo lei è sopravvissuta, Ottavia potrebbe aver fatto lo stesso. Per quanto irrazionale possa essere, questa flebile speranza che cova in fondo al cuore non fa che rafforzarla nella sua determinazione.  Olivia però non è stupida, sa bene che sfuggire alla morsa dell’Organizzazione è un’impresa tutt’altro che semplice, e che tutte quelle che ci hanno provato sono quasi sempre andate incontro alla morte. Per questo ha deciso di recitare la parte della guerriera modello, per non attirare su di sé le attenzioni degli uomini in nero, in attesa che arrivi il momento propizio per spezzare finalmente le catene che da troppo tempo la tengono imprigionata e spiccare il volo...




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06-08-2012, 06:11 PM
Messaggio: #2
Scheda di Olivia [Sir_Alric]
SCHEDA APPROVATA

Consulta il pannello GdR per assegnare i primi punti parametro. Se hai dubbi contattami pure via MP.
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03-02-2013, 05:36 PM
Messaggio: #3
Scheda di Olivia [Sir_Alric]
Capitolo I - La Giustizia è uguale per tutti.

Fu nel mattino di un giorno particolarmente caldo persino per le aride terre dell'est che Olivia venne svegliata bruscamente da uno degli assistenti del Maestro Ufizu, e spedita in tutta fretta al cospetto dell'Uomo in Nero.

Non le ci volle molto a realizzare il motivo di quella convocazione: l'Organizzazione aveva finalmente deciso di affidarle la sua prima missione! Olivia non stava più nella pelle dall'eccitazione: finalmente, dopo tanti anni, per la prima volta poteva lasciare il Quartier Generale di Staph, che odiava con tutta se stessa, e vedere un po’ di mondo. Si precipitò ai cancelli quasi correndo, tanta era la voglia che aveva di uscire di lì, e poi si incamminò a passo spedito in direzione sud, in modo da allontanarsi dalla Fortezza il più velocemente possibile. Tuttavia, rallentò il passo una volta ritenuto di essersi allontanata abbastanza: in fondo non aveva fretta di arrivare a destinazione, voleva godersi il viaggio visto che era la prima volta che poteva farne uno.

Olivia ci impiegò due giorni esatti a raggiungere la sua meta (per essere sicura di arrivare in orario, accelerò il passo nell'ultimo tratto del percorso per recuperare il tempo perso all'inizio). Va detto che la sua prima impressione della città non fu affatto positiva: il posto sembrava più una grande prigione che una città, con quella sua palizzata di legno che pareva costruita apposta più per impedire alle persone all'interno di andarsene che a quelle all'esterno di entrare, il cancello su cui erano esposte come macabri trofei le vittime delle esecuzioni capitali, ed il fatto che a parte un nutrito contingente di guardie, non si vedeva anima viva in giro.

Una volta raggiunto il cancello e consegnata la sua arma alle guardie, fu condotta nel castello che dominava la cittadina, che fungeva anche da Palazzo di Giustizia. Lì si ritrovò al cospetto dei cinque magistrati che governavano la città (chiamati appunto "I Cinque" per via del loro numero), i quali le dissero che era stata chiamata per fungere da Boia all'esecuzione di uno Yoma responsabile di diversi delitti, catturato ed imprigionato grazie all'aiuto di un misterioso individuo che lo aveva smascherato. I magistrati le dissero altresì che l'esecuzione si sarebbe tenuta la sera del giorno successivo, e che fino ad allora era libera. Detto questo, la congedarono.

Olivia capì subito che la storia dei magistrati non era credibile: del resto, come poteva un uomo comune essere stato in grado di smascherare lo Yoma? Non era possibile, visto che solo le mezze yoma come lei erano in possesso di tale capacità. Per questo la ragazza sospettò fin dal primo momento che il vero Yoma non fosse altri che il misterioso benefattore, mentre colui che era stato arrestato e rinchiuso al suo posto fosse semplicemente un povero innocente scelto dal demone come capro espiatorio. Tuttavia, quella della Novizia era solamente una teoria. Le servivano delle prove per dimostrarla, e così Olivia cercò di un modo per incontrare quello che lei riteneva essere lo Yoma, in modo da avere la conferma dei suoi sospetti.

Chiacchierando con una domestica, venne a sapere che colui che cercava era stato invitato per quella stessa sera ad una cena privata al cospetto dei Cinque, e ottenne anche una sua sommaria descrizione fisica. Così, la ragazza si presentò nell'atrio del castello poco prima dell'ora di cena, sperando di incontrare il suo bersaglio prima che questi incontrasse i Cinque. Incontrò effettivamente un giovane che pareva corrispondere alla descrizione fattale dalla serva, insieme ad una folla di quelli che avevano tutta l'aria di essere suoi ammiratori (e soprattutto, ammiratrici). Sfortunatamente, il giovane in questione non era il presunto Yoma (sebbene ne avesse addosso l'odore), ma bensì un bellimbusto di nome Goffredo, figlio di uno dei Cinque. Tuttavia, non tutto il male vien per nuocere, come si dice, perché il damerino, dopo averla notata, le chiese se fosse disposta ad essere la sua dama per la cena. Non potendo onestamente farsi sfuggire una simile ghiotta occasione per avvicinarsi al suo obbiettivo, Olivia accettò, e fu quasi subito trascinata via da un gruppetto di scalmanate ammiratrici del giovane rampollo e preparata a dovere per l'occasione ufficiale.

Imbucatasi infine alla cena privata, Olivia ebbe modo di avvicinarsi al presunto Yoma abbastanza da aver conferma dei suoi sospetti: egli era davvero il demone che stava cercando, la sua teoria era esatta. Non ebbe il tempo per gioirne però, perché lo Yoma, riconoscendo in lei una Claymore, tentò di sbarazzarsi di lei accusandola di essere nientemeno che uno Yoma sotto mentite spoglie, venuto a liberare il suo compare. La ragazza però, dopo un momento di sconcerto dovuto alla sorpresa per la mossa dell'avversario, fu in grado di demolire brillantemente le accuse del demone, costringendo lo Yoma a rimangiarsi tutto affermando che voleva solo metterla alla prova. Il confronto tra Olivia e il demone, per ora solo verbale, si concluse lì, e la novizia passò il resto della serata a tenere a freno le avances sempre più spudorate di Goffredo, evidentemente eccitato all'idea di aggiungere un trofeo esotico alla sua collezione di conquiste amorose.

L'indomani, di primo mattino, Olivia si mosse in cerca di alleati: per poter sconfiggere lo Yoma, da tutti erroneamente creduto il salvatore della città, era necessario ottenere il supporto dei Cinque, impresa che rischiava di risultare proibitiva per le sue sole forze. Il primo che contattò fu Roger, la guardia che si era occupata di catturare il falso Yoma, nonché uno dei pochi ad aver nutrito dei dubbi su come si erano svolti i fatti. Dopo averlo convinto spiegandogli che non era possibile che un comune essere umano fosse riuscito a smascherare lo Yoma quando era risaputo che solo quelle come lei erano in grado di farlo, e aver da lui ottenuto la promessa che avrebbe cercato di ottenere il supporto delle altre guardie, Olivia si recò da Goffredo e provò a convincere anche lui: Il bellimbusto era il figlio di uno dei Cinque, e pertanto la ragazza pensò che forse poteva sfruttarlo per fare leva su suo padre. Riuscì a convincerlo... a metà, e non senza sforzo. Il damerino infatti era decisamente più interessato a come poteva riuscire a sedurla, che non a come poteva esserle d'aiuto contro lo Yoma.

Dopo aver parlato anche con Goffredo, Olivia si domandò se non ci fosse qualcos'altro che poteva fare per convincere i Cinque a schierarsi dalla sua parte, qualcosa a cui non aveva pensato. Nell'attesa decise di andare a fare visita al prigioniero accusato di essere uno Yoma, e si intrufolò nelle prigioni approfittando di un momento di assenza del soldato di guardia alla porta. La vista della prigione la fece esitare un istante, riportandole alla mente dolorosi ricordi della sua infanzia, tuttavia la ragazza decise di proseguire, e raggiunse la cella del prigioniero. E fu proprio lì che, osservando il corpo del pover'uomo coperto di lividi e sangue a causa delle torture a cui era stato sottoposto, ad Olivia venne l'illuminazione: si ricordò infatti che le avevano insegnato che il sangue degli Yoma aveva un colore diverso rispetto a quello degli uomini, viola e non rosso, e realizzò che quel particolare poteva essere usato come prova per convincere i Cinque della vera identità di Enrico (così si faceva chiamare lo Yoma). Dopo aver rivolto parole di conforto al prigioniero, la ragazza uscì dalle prigioni (venendo però beccata dal soldato di guardia, che dovette scrollarsi di dosso facendo la finta tonta e chiedendo perdono), e si incontrò nuovamente con Roger, a cui espose il suo piano d'azione, e anche con Goffredo, dal quale ottenne stavolta la promessa di un appoggio promettendogli in cambio che avrebbe avuto una ricompensa. A quel punto, la novizia tornò nella sua stanza e attese che arrivasse l'ora.

Quando venne il momento, Roger venne a prenderla e la condusse fuori dal castello, in una piazzetta circolare usata per le esecuzioni. Qui, Olivia, facendo sapientemente uso di tutta la sua abilità oratoria, convinse i Cinque a chiedere ad "Enrico" di sottoporsi ad una piccola "prova" da lei ideata allo scopo di stabilire se egli fosse davvero chi affermava di essere. Lo Yoma, capendo di essere con le spalle al muro, si rivelò nelle sue vere sembianze e, dopo aver ferito mortalmente Roger, si lanciò contro la ragazza con l'intento di ucciderla. Tuttavia, fu Olivia ad avere la meglio e ad uccidere il demone dopo una breve colluttazione.

A quel punto, i Cinque la ringraziarono per ciò che aveva fatto, e si offrirono di darle qualunque ricompensa lei desiderasse. Olivia chiese che il prigioniero venisse liberato, e che la sua ricompensa venisse data a lui a titolo di risarcimento per l'ingiusta prigionia e le torture subite. Fatto questo, la ragazza fece per andarsene, ma fu fermata da Goffredo, smanioso di ricevere il premio che lei gli aveva promesso. Era ovvio che il damerino avesse in mente una notte di passione con lei, ma Olivia invece si sbarazzò di lui dandogli un singolo bacio, spiegandogli che non aveva fatto abbastanza per meritarsi di più. Quindi, risolta anche quella faccenda, la novizia poté finalmente lasciare la città e incamminarsi per tornare a Staph.

L'idea di tornare in quel posto tanto detestato non fece certo fare ad Olivia i salti di gioia, tuttavia il fatto che avesse completato con successo la missione affidatale significava che ben presto l'Organizzazione le avrebbe assegnato altri incarichi che le avrebbero permesso di stare lontana dal Quartier Generale. Così, la ragazza decise che avrebbe continuato a recitare la parte della bambina ubbidiente e svolto diligentemente i suoi prossimi incarichi, così da acquisire pian piano la forza e l'esperienza che le sarebbero servite, un giorno, per conquistarsi la libertà.

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