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[In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
07-03-2012, 03:54 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 16-01-2019 10:43 PM da Semirhage.)
Messaggio: #1
[In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
Nome: Seayne
Anni: 20
Altezza: 1,80 metri
Peso: 60 Kg
Arto dominante: Destro
Tipo: Attacco

Uniforme:
Citazione:
Spalle
Le spalle sono protette dagli spallacci a due pezzi concentrici, senza decorazioni e con la classica foggia a semiovale sia per la parte esterna più grande che per la parte interna più piccola, la quale  si congiunge con la prima internamente all’altezza dell’articolazione della spalla riparando il braccio fino a metà del bicipite della guerriera. La struttura è tenuta assieme da dei rivetti che ne permettono anche la mobilità per assecondare i movimenti della guerriera.

Petto
La “collana” che collega sul davanti i due spallacci è composta per ogni lato da tre piastre a forma di pentagoni irregolari con gli spigoli smussati le quali sono allineate e sovrapposte (due elementi sopra e uno sotto) le une alle altre. Esse sono agganciate lateralmente alla parte frontale degli elementi più grandi degli spallacci  e, centralmente sul petto, a una maglia di chiusura di foggia rettangolare ma vuota al centro. A parte i rivetti di fissaggio dei singoli elementi, non vi sono presenti decorazioni.

Braccia
I bracciali dell’armatura di Seayne si estendono dall’attaccatura del polso fino all’articolazione del gomito, in prossimità della quale presentano ciascuno un paio di evidenti ganci di chiusura i quali circondano tutto il bracciale, come delle vere e proprie cinghie metalliche, fungendo anche da decorazione, e si serrano alle estremità di una piccola piastra di fissaggio, posta nella parte del bracciale rivolta verso il corpo della guerriera. Una coppia di ganci simili, senza piastra di fissaggio, sono presenti anche all’estremità del polso ma queste ultimi hanno solo una funzione ornamentale, circondando il polso stesso.

Vita
Il “gonnellino” dell’armatura è composto da quattro piastre a forma di mezzaluna allungata poste a protezione delle parti anteriori e posteriori di ogni gamba, che partono dalla vita e arrivano fino a metà coscia. Esse sono rinforzate sui fianchi da una coppia di piastre (una per lato) sagomate per seguire la figura della guerriera senza crearle impedimenti nel muoversi, la cui lunghezza è pari a quelle delle piastre sulle gambe. La struttura è quindi collegata a una piastra di fissaggio quadrata centrale sulla schiena e a una sorta di piastra/fibbia anteriore rettangolare, la quale consente anche lo sgancio di questa parte dell’armatura. Anche in questo caso il tutto è tenuto assieme da dei rivetti che ne consentono la mobilità degli elementi.

Gambe
Gli stivaletti della guerriera arrivano fino all’altezza dell’articolazione del ginocchio. Presentano lo stesso sistema di chiusura dei bracciali, posto nella parte superiore degli stivali, con le piastre di fissaggio situate nella parte superiore dei polpacci, ma hanno in più delle piccole piastre supplementari, a forma di triangolo isoscele con le punte in basso, sagomate a seguire la forma degli stivaletti, poste nella parte anteriore degli stessi sopra le tibie, che svolgono la funzione di parastinchi. La “punta” degli stivali è fatta a foggia trapezoidale e sono inoltre presenti due piastre di rinforzo appositamente sagomate, una a protezione del collo del piede, l’altra a salvaguardia del tendine d’achille.

Mala
Seayne porta sempre con sé, nella mano sinistra o al collo come una collana una ”Mala” (nota ai giorni nostri come un rosario buddista o induista), come ausilio nelle sue pratiche spirituali.
Essa è composta da 108 grani, ricavati dai semi della pianta del Ricino, i quali nel loro aspetto ricordano delle piccole pietre ovali di marmo o granito rosso. La coroncina è chiusa da un grano più grosso degli altri (il grano del maestro), dal quale si dipartono due catenelle (dette: del dorje e della campana) composte da dieci grani più piccoli ciascuna, decorate entrambe all’estremità opposta con un ciuffo lungo circa cinque centimetri di colore arancio brillante.


Descrizione fisica
Seayne è una bella ragazza alta e slanciata, con curve non troppo pronunciate. Prediligendo la velocità alla mera forza fisica, i suoi muscoli sono ben delineati ma non troppo prorompenti. Il processo per diventare una Claymore ha privato i suoi capelli (nonché ciglia e sopracciglia) biondi di ogni colore, lasciandoli bianchi come la neve della sua terra natale. La ragazza li ha lasciati crescere fino all'altezza del fondoschiena e li porta normalmente sciolti, a parte la frangia sul volto che regola puntualmente. Come quasi tutte le ragazze del nord, la sua pelle era già molto chiara ma la trasformazione ha eliminato ogni traccia di pigmentazione dalla stessa, rendendo la giovane completamente albina il che le conferisce, unito ai suoi capelli bianchi e ai suoi innaturali occhi argentei, un aspetto quasi spettrale.

Modifiche descrizione fisica (EDIT)
Dopo gli eventi di Rabona, gli occhi argentei di Seayne erano - a parte i momenti in cui la guerriera era concentrata in battaglia oppure focalizzava la sua attenzione su qualcosa - quasi sempre offuscati da un velo di malinconia e di tristezza (dovute al trauma della perdita dell’uomo che ama) ma da quando Seayne ha intrapreso il suo cammino di crescita spirituale, essi hanno iniziato a perdere quella malinconia che verrà sostituita da uno sguardo che ostenta calma e serenità. Inoltre la ragazza non si preoccupa più di regolare la lunghezza dei suoi lunghi capelli candidi, oramai cresciuti incolti oltre le ginocchia il tutto, unito al suo fisico esile e albino e alla sua uniforme bianca, ha accentuato il suo aspetto già vagamente spettrale a prima vista, facendo rassomigliare la sua figura a quella di uno spirito delle leggende popolari delle foreste del Nord noto come “La donna delle nevi”. Seayne è cosciente di questo cambiamento, ma non gli dà importanza.


Descrizione psicologica (01)
Il desiderio di Seayne di vendicare i suoi genitori e la gente del suo villaggio è la molla che la fa andare avanti; vuole diventare forte per riuscire in questo compito ma sa che dovrà avere molta pazienza, tenacia e… molta fortuna. All'inizio dell’addestramento desiderava soltanto annientare qualunque yoma le si fosse parato davanti, ma le severe lezioni dei suoi istruttori l’hanno costretta a riflettere e ad apprendere, non senza ulteriori sofferenze, la disciplina.
Vorrebbe farsi delle amiche tra le compagne, per le quali ha il massimo rispetto indipendentemente dal loro grado, sapendo quanto dolorosa sia la strada che tutte hanno percorso, ma poche volte riesce a fare lei il primo passo, bloccata dal timore che, a causa del suo aspetto quasi albino, le altre la vedano diversa da loro.
Seayne è una persona gentile con gli altri, umani compresi, ma cova dentro di lei una rabbia, dovuta a tutte le sofferenze fisiche e psicologiche che ha dovuto sopportare negli anni, che le rende difficili da sopportare le ingiustizie e le cattiverie gratuite, che rischiano di far uscire allo scoperto quella rabbia.
Pur non avendo bisogno di mangiare molto, Seayne ogni tanto apprezza gustare un buon piatto, soprattutto se si tratta di cibi da lei mai provati prima, così come le piace apprezzare un delicato profumo. Sono occasioni che, data la vita che conduce, le si presentano raramente e per questo da lei molto apprezzate. Sono un riflesso del suo desiderio inconscio di normalità che non potrà mai essere soddisfatto in pieno.

Modifiche descrizione psicologica (EDIT)
Dopo gli eventi di Rabona, la debole speranza, mai sopita di poter rivedere un giorno l’uomo che ama è uno stimolo ulteriore che la spinge ad andare avanti, cercando di migliorarsi sempre di più, per sopravvivere.
Nonostante i traumi subiti, il dolore mai sopito per la brusca separazione dall'uomo amato e l’incertezza riguardo il suo destino, nonché la convinzione maturata di essere considerata una parìa dagli uomini, Seayne si sforza per cercare di vincere la sua malinconia e continuare ad essere una persona gentile con gli altri umani, soprattutto se bambini, ma la rabbia che cova dentro di lei è diventata più difficile da controllare, nonostante la ragazza si sforzi di contenerla, per non diventare un pericolo per le persone innocenti.
Per questo Seayne cerca di fare il possibile, non sempre riuscendoci, per scaricarla in battaglia, alimentando così la sua furia guerriera, gettandosi in combattimento senza troppi preamboli, combattendo istintivamente, improvvisando la sua strategia momento per momento a seconda del nemico che si trova davanti, cercando di non farsi distrarre, rimanendo silenziosa e concentrata finché l’avversario, che cerca di eliminare il più rapidamente possibile, non giace morto ai suoi piedi.
Seayne sa che il suo cuore rimarrà per sempre legato al suo perduto amore e per non sentirsi sola in questo mondo oscuro, ha sentito la necessità di farsi delle amiche tra le compagne, vincendo la sua irrazionale timidezza nel confrontarsi con loro, in quanto ritiene che, ormai, soltanto tra le sue simili possa trovare l’amicizia e l’affetto di cui sente di aver bisogno. Seayne assumerà con le altre guerriere l’atteggiamento gentile e, a volte, protettivo, tipico del suo carattere. Avendo deciso di votarsi completamente all'Organizzazione, Seayne, spera che non le tocchi mai l’ingrato compito di epurare un’amica perché sa che, alla fine, ubbidirebbe e questo le costerebbe ulteriore sofferenza, facendole rivivere il trauma d’essere la causa della perdita di una persona a cui vuole bene, come l’uomo amato, del cui destino si sente responsabile, in mancanza di notizie certe su di lui.

Modifiche descrizione psicologica (EDIT 2)
L’aver raggiunto una maggiore padronanza del proprio Spirito ha portato Seayne a raggiungere un grado di coscienza di se stessa superiore e questo, unito alla sua oramai radicata convinzione di non essere più umana, le ha fornito un’ispirazione per cercare un modo per liberarsi dalla rabbia e dall’angoscia che gravano sul suo cuore: ben sapendo che nessuno avrebbe potuto aiutarla: avrebbe dovuto cercare le sue risposte da sola..
Da quel momento Seayne, grazie agli insegnamenti lasciategli dall’Eremita Yhazay, approfittando dei periodi di calma tra una missione e l’altra, inizierà un percorso di meditazione e riflessione interiore sulla sua natura di mezza demone, che la porterà a intuire e comprendere le cosiddette “Quattro Nobili Verità” sul dolore, ovviamente adattate alle condizioni di vita delle guerriere e, di conseguenza, a intraprendere autonomamente un parallelo percorso di disciplina e crescita spirituale. Questo cambio di mentalità della guerriera farà sì che anche il suo comportamento e stile di vita si allineino gradualmente con la filosofia suddetta.
Quindi Seayne adotterà uno stile di vita tendente all’ascetismo, si accontenterà di quello che le viene dato dall’Organizzazione o dagli altri, senza pretese (a esempio, non si lamenterà mai con nessuno della sua posizione in graduatoria), cercando di assumere un comportamento onesto e assertivo nei confronti di chiunque: compagne, superiori, umani…
Inoltre, anche in conseguenza della sua volontaria sottomissione all’Organizzazione, Seayne, si sforzerà di eseguire gli ordini cercando di distaccarsi emotivamente dalle conseguenze delle sue azioni, ritenendole niente di più e niente di meno che il suo dovere, anche in funzione dell’autodisciplina che il suo nuovo stile di vita le impone.
Come oggetto della sua meditazione, Seayne si focalizzerà su di se o, più precisamente, sull’innesto di carne e sangue Yoma effettuato nel suo corpo, nel tentativo di comprendere a fondo se stessa e la sua natura di mezza-demone, per riuscire ad accettarsi, liberandosi così dalla brama e dai desideri “umani” che tanto la fanno soffrire in quanto irrealizzabili e/o impermanenti, sperimentando quindi la gioia che da ciò ne consegue.
Dal momento in cui inizierà il suo “cammino spirituale” Seayne, indipendentemente dal territorio che le sarà assegnato, anziché vagabondare in giro tenderà invece a isolarsi come un’eremita per meditare in pace, immobile nella “Posizione del Loto”, indossando solo l’uniforme, in posti dove non arrecherà disturbo a nessuno, (N.B: ovviamente i superiori sapranno sempre dove trovarla); se invece Seayne si dovesse trovare al Quartier Generale, non sarà inusuale vederla meditare assorta in cima a un edificio disabitato della cittadella.
Da quando inizierà questo profondo processo interiore, a mano a mano che il suo percorso spirituale procederà, gli occhi di Seayne perderanno gradualmente il loro velo di tristezza e malinconia, per assumere via via una espressione calma e serena e, mentre la guerriera albina procederà nel suo “cammino spirituale”, la sua meditazione si farà sempre più profonda, cercando di realizzare in se una condizione di pace, calma e beatitudine, dettata dalla “comprensione” della sua natura, nella quale Seayne cercherà di ritirarsi ogni volta che le sarà possibile: condizione che sarà estesa anche allo stato di veglia quando e se la guerriera albina riuscirà a completare il suo percorso spirituale.
Seayne non si farà problemi a condividere questa sua esperienza spirituale con le compagne qualora queste, incuriosite dal suo strano atteggiamento, iniziassero a farle delle domande…


BACKGROUND
Seayne è nata nella città di Pieta, nelle fredde terre del Nord. Poco dopo la sua nascita, i suoi genitori si trasferirono in un piccolo villaggio più a nord, dove suo padre Pyotr, assieme ad alcuni amici era riuscito a trovare una piccola vena d’oro in prossimità di un vicino torrente.
La comunità si sviluppò rapidamente, grazie alla caccia, al commercio delle pelli e, soprattutto alla ricerca e scambi di oro con Pieta e altri paesi. Seayne crebbe felicemente in quel villaggio, circondata dall'affetto di suo padre e di sua madre Nyara, che aveva capelli biondo chiari come i suoi e occhi verdi come due smeraldi, diversi da quelli della piccola, infatti quelli di Nyara erano grigi come quelli del padre. Seayne li trovava bellissimi.
Un giorno, mentre giocava con altri bambini, la ragazzina vide una pallida donna bionda con inquietanti occhi color argento, che indossava uno strano vestito chiaro rinforzato da metallo e con una enorme spada legata alla schiena. La donna si fermò a scambiare alcune parole con il capo del villaggio e con suo padre e poi se ne andò per la sua strada. Uno dei bambini si lasciò sfuggire la parola “Claymore”, affermando che aveva sentito raccontare da suo padre che erano delle streghe che combattevano contro i demoni. Quella sera Seayne raccontò tutto ai suoi genitori, ma loro le risposero di lasciar perdere e non pensarci più: non c’erano demoni in paese o nelle vicinanze e quella donna se n’era andata e non sarebbe più tornata. Fu così infatti ma negli anni a seguire, ogni tanto qualcun’altra di quelle strane guerriere faceva la sua comparsa, per sparire poi subito dopo, come se non fosse mai esistita.
La vita di Seayne cambiò radicalmente il giorno in cui compì dieci anni. Mentre stava festeggiando a cena con i suoi genitori, il villaggio venne attaccato da mostri orribili, che la gente nel panico chiamava “Yoma”: tutto era caos, tutto era paura, Pyotr, suo padre, si gettò contro uno degli yoma che era entrato in casa, sfondando la porta, solo per essere fatto a pezzi da quel mostro in pochi istanti. Seayne urlò disperata ma, all'improvviso, mamma Nyara era lì con lei! I suoi vestiti erano strappati e aveva in mano un’accetta, che usò per sfondare una finestra, gettandosi fuori con la figlia in braccio...
Quello che le attendeva fuori era peggio di quello da cui erano sfuggite: là c’erano altri due yoma in agguato, che aspettavano al varco eventuali fuggitivi…
“Mammaaaaa!” pianse disperata Seayne, paralizzata dalla paura. Nyara era immobile, come paralizzata dal terrore, ma il pianto della figlia la riscosse, spinse Seayne dietro di sé, afferrò più saldamente l’ascia e attese i mostri che scattarono contro di lei: uno le afferrò le braccia, mentre l’altro la sventrò. Il suo sangue sprizzò anche addosso alla piccola Seayne, che ormai non aveva più voce per urlare e lacrime per piangere. Gli yoma stavano per avventarsi su di lei ma, all'improvviso un bagliore d’acciaio si frappose tra i due e la bambina condensandosi in una grande spada che si era posta a protezione della piccola. Un istante dopo due guerriere Claymore attaccarono i mostri, facendoli a pezzi con pochi, precisi fendenti. Improvvisamente tornò la calma, ma il villaggio era distrutto, tutti i suoi abitanti erano morti; le guerriere avevano ucciso tutti gli yoma ma erano giunte troppo tardi.
“Bambina mia… ascoltami… non mi rimane… molto tempo…” Seayne alzò la testa e, tremando, fissò Nyara, che riprese “Perdonami, non ho saputo proteggerti… Ti voglio bene… A…ddio…”
Dopodichè Nyara esalò l’ultimo respiro, gli occhi verdi divenuti vitrei rivolti al cielo grigio piombo. Seayne ritrovò le lacrime e pianse disperatamente, mentre grossi fiocchi di neve iniziarono a cadere, ricoprendo quella scena tragica come un sudario di morte. Alla fine la bambina, capendo che non poteva fare nulla, si staccò dal corpo della madre, si alzò e cominciò a camminare come un automa sulla strada, dirigendosi istintivamente verso Pieta, che era però molto lontana. Non si vedeva nessuno, anche le guerriere Claymore erano scomparse. Alla fine, l’adrenalina che aveva in corpo smise di sostenerla e Seayne, sfinita, cadde nella neve alta e si addormentò.
Quando riaprì gli occhi era avvolta in una coperta, sdraiata vicino a un grande fuoco scoppiettante, riparato da una grande roccia. Un misterioso uomo vestito di nero era seduto dall'altro lato; quando si accorse che Seayne si era mossa le si avvicinò per controllare come stava e le disse semplicemente: “So cosa ti è successo! Vieni con me, se vuoi vivere e vendicarti!” Seayne lo seguì e l’uomo in nero la condusse a sud, presso una grande città con pochi abitanti, scavata nella roccia in mezzo a un deserto.
Otto anni sono passati da quel giorno; Seayne ha subito il processo che l’ha trasformata in una recluta Claymore e, desiderando più di ogni altra cosa distruggere gli yoma che avevano ucciso i suoi genitori e distrutto il suo villaggio, divenne una guerriera d’attacco.


ABILITA' APPRESE:

Genio dello Stealth (Abilità Innata)

Polaris (Abilità - Livello III)

Gùrthang - Ferro di Morte (Tecnica - Livello II)
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06-04-2012, 04:46 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 12:08 AM da Kelsier.)
Messaggio: #2
Scheda di Seayne [Nardo]
CAPITOLO 1: LA TERZA META’

Era una notte uguale a tante altre, quando uno degli uomini dell’Organizzazione entrò nella celletta di Seayne svegliandola e ordinandole di presentarsi al cospetto di Araldus. La novizia rispose con solerzia e seguì l’uomo senza fiatare. Mastro Araldus, uno dei supervisori aveva chiesto di lei: che fosse giunto il momento della sua prima missione?
Lo studio dell’uomo in nero si rivelò essere un’oscura biblioteca piena zeppa di libri disposti in maniera ordinata. Nella relativa penombra della stanza una figura scagliò un oggetto di vetro contro qualcosa, un topo secondo lui, emettendo poi un grido stridulo che fece accapponare la pelle della ragazza la quale si bloccò sul posto. Fu a quel punto che la figura, che si rivelò essere Mastro Araldus in persona, si accorse della sua presenza e la invitò ad avvicinarsi. Seayne ne approfittò per studiarne la figura ma, a parte la lunga vestaglia che indossava, e il modo aulico di esprimersi, la sua attenzione fu calamitata dalle strane lenti che l’uomo portava.
Mastro Araldus, distraendosi un paio di volte e intercalando il discorso con la sua risatina isterica le comunicò i suoi ordini: Seayne doveva recarsi alla città di Scramen, nota anche come “la città degli attori”, a due giorni di cammino dal quartier generale e prendere contatto con una ricca e famosa coppia di attori, Amarillis e Stephan i quali, visto il manifestarsi di “problemi” in città, che non dovevano interessarle, avevano deciso di trasferirsi nelle Terre del Centro.
A quel punto, sia la voce sia l’espressione di Mastro Araldus si fecero serie e cupe mentre le comunicava che sarebbe stato suo compito vegliare costantemente sulla sicurezza dei due attori, finché non avessero raggiunto il confine a quattro giorni di marcia dalla città, paventandole conseguenze estreme in caso di fallimento, facendo poi seguire a quelle parole una risata che alle orecchie della tesa e un po’ spaventata ragazza risuonò ancora più tetra delle precedenti.
Seayne partì la mattina di buon’ora. A farla muovere rapidamente non erano state soltanto la sinistra impressione che Mastro Araldus le aveva fatto, dovuta in buona parte alla sua mutevole personalità, o le sue minacce più o meno velate: no, questa era la sua prima missione, il primo scoglio che doveva affrontare per diventare una guerriera a tutti gli effetti, la prima pietra miliare sul sentiero di vendetta sul quale si era lasciata guidare da un uomo in nero otto anni prima. Afferrata saldamente la claymore senza simbolo che le era stata messa a disposizione, si mise sulla strada.
La ragazza marciò decisa verso la sua destinazione, con i ricordi della tragedia che segnò la sua vita che si rincorrevano nella sua mente, ma ben presto fu costretta a rallentare a causa della sabbia che il vento sollevava e che, inevitabilmente, le finiva negli occhi e nella gola. Ciò la costrinse a concentrarsi sul suo percorso e sul modo di ripararsi, strappandola dai suoi infelici ricordi, non senza prima aver riso di sé e delle sue paure.
A metà del primo giorno di marcia la tempesta di sabbia si placò e Seayne, dopo essersi scrollata di dosso il polverone, sotto uno splendido sole che avrebbe prostrato chiunque non avesse avuto un fisico ibrido come il suo, si trovò a rimirare il paesaggio lungo la strada, scoprendo strane e curiose strutture rocciose, scolpite da Madre Natura, ma soprattutto costatò come la vita, sotto forma di piccole creature, riuscisse a farsi strada anche in quell'ambiente estremo. La sera portò con sé un graduale abbassamento della temperatura, cosa che comunque Seayne apprezzò, pur potendola ignorare. La ragazza meditò di proseguire ancora, giacché la luna e le stelle illuminavano il percorso, ma fu costretta a desistere quando una spessa coltre di nubi oscurò il cielo, facendola piombare nell'oscurità più totale e costringendola a passare una notte malinconica e solitaria in un punto imprecisato del deserto.
Per far passare il tempo, Seayne inizialmente scimmiottò i modi stravaganti di Araldus mentre le impartiva gli ordini: un modo come un altro per ridere delle sue paure, poi iniziò a riflettere sul suo obiettivo: sapeva dov'era Scramen e come raggiungerla, ma quanto a conoscerla… Alla fine del ragionamento si convinse che avrebbe dovuto cercare gli attori nel principale teatro della città. Già, gli attori, ne aveva sentito parlare e ne era incuriosita: le sarebbe piaciuto vederli all'opera; chissà se, alla fine del viaggio, sarebbero stati disposti a darle un saggio della loro arte.
Il successivo giorno di marcia passò senza che accadesse nulla che stuzzicasse l’attenzione di Seayne e fu proprio alla fine della giornata che la giovane avvistò il suo obiettivo. Il profilo delle mura di Scramen si stagliava all'orizzonte! La novizia si risolse di percorrere a spron battuto il tratto di strada che mancava, ma il suo tentativo venne frustrato dall'improvviso scoppio di un’altra tempesta di sabbia, che costrinse la contrariata ragazza a trovarsi un riparo per la notte e attendere ancora.
All'inizio del giorno successivo, come se Madre Natura volesse farsi perdonare lo scherzo, regalò a Seayne forse la più bella aurora che avesse mai visto, lasciandola a bocca aperta a rimirare quello spettacolo, dopodiché, finalmente, la ragazza raggiunse le mura di Scramen.
Seayne compì un giro completo delle mura della città, nel tentativo di trovare la porta ma, con stupore, si accorse che la stessa non si trovava da nessuna parte! Le mura, molto alte, si estendevano tutt'attorno al centro abitato, senza interruzione. Mentre rifletteva sul da farsi, la sua attenzione venne richiamata da un’allegra vocina che proveniva dall’alto della muraglia: si trattava di un ragazzino che cercava di attirare la sua attenzione. Qualcuno doveva avergli parlato delle guerriere dell’Organizzazione e, nella sua innocenza, cercava di capire se Seayne fosse una di loro. Rispondendogli con cortesia, la novizia gli chiese indicazioni su come raggiungere la porta. Il bambino aveva appena iniziato a risponde, indicandole alcuni segni sul terreno che la ragazza non aveva notato, quando venne bruscamente tirato via dagli spalti da una delle guardie cittadine. Seayne fece in tempo a udire il nome del piccolo: Lak! La guardia, accortasi poi di lei, le chiese senza gentilezza chi fosse e cosa volesse.
Educatamente e con voce gentile Seayne si presentò e spiegò i motivi della sua presenza, ripetendo la richiesta d’indicazioni per raggiungere la porta e pregando la guardia di non punire il ragazzino per il solo fatto di aver parlato con lei. La risposta della guardia non fu altrettanto cordiale, infatti le rispose in modo rude, apostrofandola con il titolo di Mezza-Yoma e affermando che loro aspettavano delle guerriere graduate e non una ragazzina inesperta. Tutto vero, le parole della guardia confermavano la presenza di problemi in città, come Mastro Araldus aveva detto, ma, per quanto Seayne conoscesse i pregiudizi della gente nei confronti delle guerriere, sentirsi sbattere in faccia il loro disprezzo la riempì di tristezza e di rabbia, il che però non le impedì di leggere negli occhi della guardia un accenno di paura nei suoi confronti.
Seayne incrociò le braccia sul petto, piantò i suoi occhi d’argento in quelli della guardia e, sempre educatamente ma con la voce fredda, replicò alla guardia che le guerriere sarebbero arrivate presto e che i loro problemi non riguardavano lei, che invece doveva scortare i due attori Amarillis e Stephan nel loro viaggio imminente, lasciandogli facoltà di decidere se lasciarla libera di raggiungerli o di condurre loro da lei. La tensione tra i due durò qualche istante, dopodiché Seayne decise di rinunciare al suo atteggiamento di sfida nei confronti della guardia, più che altro per non inasprire i rapporti in previsione dell’arrivo delle compagne graduate; a quel punto la guardia diede una voce a Lak, ordinandogli di avvisare i due attori che il “cane da guardia” che avevano ordinato era arrivato, ammonendo nello stesso tempo la novizia a rimanere dove si trovava.
Ignorando il nuovo insulto che le era stato rivolto, Seayne conficcò la sua claymore nel terreno e si sedette, attendendo che Amarillis e Stephan la raggiungessero, cercando di placare la rabbia che l’aveva colta. Non passò molto tempo che un sordo boato la riscosse dai suoi pensieri: facendo attenzione, la ragazza vide una sezione delle mura che si muoveva e allora capì che la porta era costituita da un tratto delle mura stesse che evidentemente ruotava su dei perni e scorreva nei solchi che Lak le aveva indicato poco prima. Fu lo stesso Lak che, facendo nuovamente capolino dalle mura completò la sua spiegazione, illustrandole che la città stessa era un enorme anfiteatro, prima di essere costretto a scappare nuovamente dopo averle rivolto un allegro saluto, vanamente inseguito dalle sberle della guardia. Prima che scomparisse dalla vista Seayne, divertita dalla scenetta, gli rispose con gaiezza lieta che, almeno lui, non avesse avuto timore di lei.
Due figure apparvero davanti alla porta oramai aperta, portando con loro dei bagagli voluminosi: uno era un uomo con i capelli corvini, pelle ambrata e due occhi verde smeraldo che a Seayne riportarono alla mente, con una fitta di dolore, quelli di sua madre, l’altra era una donna con una lunga treccia castana e due grandi e dolci occhi nocciola. Ecco dunque Stephan e Amarillis! Entrambi erano bellissimi e, in confronto a loro Seayne, il cui corpo aveva perso ogni traccia di colore durante il processo che l’aveva trasformata in una mezza-yoma, si sentiva brutta e a disagio.
Sperando che alla loro bellezza esteriore corrispondesse anche a quella interiore, Seayne avanzò verso di loro e si presentò, rivolgendo loro una riverenza, solo per percepire chiaramente l’odore tipico degli yoma che emanava da loro e dalle loro cose! Anzi, no. L’odore che la novizia aveva fiutato proveniva chiaramente dalle porte aperte della città, ammorbando tutto quello che vi era contenuto, compresi i suoi clienti! Un odore simile poteva essere causato solamente da molti yoma perciò Seayne, temendo una trappola per le altre guerriere, si risolse a segnalare la cosa a una compagna graduata se avesse avuto l’occasione di incontrarla, oppure di avvisare immediatamente chi di dovere non appena sarebbe ritornata a Staph.
Il saluto gentile dell’uomo riportò la sua attenzione alle faccende più immediate; Stephan sembrò quasi scusarsi con lei per aver richiesto il suo aiuto, asserendo che per lui non ci sarebbero stati problemi ma… venne interrotto da Amarillis la quale, decantando la sua bravura, chiarì la sua necessità di essere protetta da qualcuno che non fosse Stephan che era, effettivamente, solo un attore, arrivando al punto da mettere in discussione la novizia a causa della sua apparente gracilità.
Per rassicurarla, Seayne si esibì in una piccola dimostrazione di forza. Non l’avesse mai fatto! Amarillis ne approfittò per scaricare su di lei l’incombenza del trasporto dei bagagli, suscitando le ire della novizia che però riuscì a contenersi e addirittura a sorridere quando, pochi istanti dopo la donna ebbe una reazione stizzita e teatrale dopo essersi avviata di buon passo su una strada sbagliata ed esser stata rimessa gentilmente sulla retta via da Stephan. Così il terzetto si mise alla via con la novizia che, rimanendo guardinga e con i sensi all'erta, si riprometteva di fare del suo meglio per non abboccare alle provocazioni della donna, apprezzando inoltre il carattere mite e gentile dell’uomo.
Il terzetto camminò per metà giornata, con Amarillis che trovava il modo di disquisire su tutto, Stephan che, con infinita pazienza, la blandiva e calmava nei momenti di massimo fervore e Seayne che, carica come un mulo, non ne poteva più del continuo blaterare della donna e cercava di distogliere l’attenzione dai due concentrandosi sulle sue percezioni per avvertire eventuali pericoli. Quando il sole raggiunse il punto più alto, Amarillis annunciò che si fermava perché era stanca; Seayne ne approfittò per avvicinarsi ai due e cercare di capire se l’odore di yoma che permeava i due avesse iniziato a dissolversi. Fu allora che la tragedia ebbe inizio.
Amarillis chiese a Stephan qualcosa da mangiare e il compagno, gentile come sempre, le porse una mela: in quel momento Seayne avvertì una fonte di yoki emanare dall'attrice, che afferrò l’uomo per le spalle, iniziando ad assumere il suo reale aspetto, quello di uno yoma, snudando le zanne pronto a divorare la sua preda… Seayne sapeva che il mostro non poteva essersi dimenticato di lei, sapeva che le stava tendendo una trappola ma, con la vita di Stephan in gioco, non poteva esimersi dal dar battaglia. Richiamando a se parte del suo yoki per aumentare la sua velocità e potenza, approfittando del fatto che lo yoma tratteneva ancora l’attore per le spalle, lasciando il collo esposto, partì all'attacco in silenzio, come da sua abitudine, brandendo la claymore con due mani e con la spalla sinistra protesa in avanti a proteggere il braccio dominante: come si aspettava era una trappola. Lo yoma infatti, sentendola arrivare, si girò di scatto lanciandole Stephan addosso. Seayne, che si aspettava una mossa a sorpresa, liberò il suo braccio sinistro per intercettare al volo l’attore e con un colpo di reni invertì la sua traiettoria, per evitare uno scontro violento con il corpo dell’uomo; ci riuscì, ma entrambi rovinarono a terra.
Neanche il tempo di sincerarsi dello stato di salute di Stephan, in evidente stato di shock, che lo yoma torreggiava sopra di loro, pronto a protendere i suoi artigli per inchiodarli entrambi al suolo. Seayne sferrò un fendente diretto alle gambe del mostro ma, impacciata dal corpo dell’uomo, riuscì a malapena a sfiorargli le caviglie. Ciò bastò comunque a sballare la mira del mostro che mancò del tutto Stephan e centrò in pieno la spalla sinistra di Seayne, anziché la sua testa. La novizia urlò per il dolore, ma sapeva di non potersi fermare: scalciò via Stephan togliendoselo di dosso e menò un altro fendente con la spada, che recise la mano dello yoma i cui artigli la tenevano a terra. Si rialzò prontamente, frapponendosi tra Stephan e il suo avversario e… rimase stupita da quel che vide: lo yoma stava piangendo! Fu un attimo, poi il mostro si preparò a scagliarle nuovamente contro gli artigli della mano superstite, ma stavolta Seayne era libera di muoversi. Con una finta scansò l’attacco degli artigli, che recise poi con la sua spada e poi, seguendo il movimento dell’arma, volteggiò su se stessa e entrò nella guardia dello yoma, puntando al suo collo.
Troppo tardi il suo nemico tentò un balzo per schivare il colpo: salvò il collo ma non poté impedire che la claymore di Seayne gli recidesse il ventre, sbudellandolo in una parodia della pena del contrappasso. Ancora una volta lo yoma sorprese Seayne, citando alcuni versi poetici mentre esalava l’ultimo respiro. Un’ondata di emozioni, una più esaltante dell’altra, travolse la giovane guerriera, ma il dolore alla spalla la riportò alla realtà: quattro schegge di artigli di yoma vi erano ancora conficcate.
Dopo essersi sincerata delle condizioni di Stephan, ancora svenuto per via del calcio ma illeso, Seayne si preparò ad estrarre le schegge dalla spalla, azzerando prima il suo yoki per evitare, non essendo ancora ben sicura del suo limite, di perderne il controllo. I minuti che seguirono furono costellati di dolori sempre più atroci a mano a mano che la ragazza rimuoveva gli artigli uno dopo l’altro; la tentazione di richiamare il flusso di yoki per quietare il dolore fu forte, ma la novizia resistette all'impulso e perse quasi conoscenza dopo aver strappato via con rabbia l’ultima scheggia. Ripresi i sensi, tentò di rigenerare la ferita ricorrendo inizialmente a un flusso lieve di yoki, che non si dimostrò sufficiente per una guerriera d’attacco come lei.
Mentre si apprestava a ricominciare, con le ferite ancora aperte, Stephan rinvenne, l’espressione ancora sconvolta, salvo poi svenire nuovamente alla vista del sangue della giovane. Seayne ritentò la cura alzando il suo yoki agli stessi livelli usati nel combattimento e, questa volta, lentamente, riuscì a rigenerare completamente i danni subiti.
Il sole volgeva al tramonto, quando Seayne riuscì a dedicare tutta la sua attenzione a Stephan. Osservò il suo viso sofferente e ne ebbe pietà, sapeva infatti cosa voleva dire perdere chi amavi per mano di uno yoma ed era indubbio che quello affrontato prima doveva aver ucciso la vera Amarillis, usando le sue capacità mimetiche e l’arte appresa dalle memorie della donna per farsi passare per lei.
Seayne non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto di Stephan, s’inginocchiò accanto a lui, osservandolo, scrutando ogni singolo particolare come se volesse memorizzarlo; appoggiò le mani al suolo e, in preda a uno strano turbamento, avvicinò il suo volto a quello dell’attore.
Improvvisamente una folata di vento portò una ciocca dei suoi lunghi, candidi capelli a sfiorare il volto dell’uomo, che si riscosse all'improvviso, mentre Seayne, spaventata più dalle sue stesse azioni che dal movimento dell’uomo, balzava indietro, biasimando se stessa per quell'atto inconsulto. L’uomo si alzò in piedi poi, realizzando quanto accaduto, cadde in ginocchio, scoppiando a piangere. Seayne, inginocchiatasi di fronte a lui, gli raccontò quant'era accaduto in quei concitati momenti e di come, secondo lei, lo yoma avesse preso il posto della donna che amava. Mentre parlava, le sue mani si alzarono come per carezzare il viso dell’attore, ma Seayne le abbassò bruscamente.
Tra un singhiozzo e l’altro Stephan riuscì a spiegarle che Amarillis era sua sorella e che lui si era accorto che da un po’ non era più lei, vedendo poi colto da una nuova crisi di pianto. Di fronte a lui Seayne non sapeva cosa fare per calmarlo, voleva tentare di abbracciarlo per consolarlo ma, non appena si mosse, Stephan le prese le mani tra le sue e la novizia si accorse che nell'espressione del suo viso, nel profondo di quegli occhi verdi, oltre al dolore c’era qualcos'altro: tenerezza e dolcezza… Improvvisamente il volto di Stephan le fu vicino e le sue labbra baciarono quelle della ragazza la quale, incapace di reagire alla miriade di sensazioni scatenate da quel contatto e mai provate prima, rimase come paralizzata finché, un infinito istante dopo, scusandosi e in evidente imbarazzo, Stephan si alzò di colpo e fece per andarsene ma Seayne, non ancora del tutto ripresasi dallo stordimento che il turbinio di sensazioni le aveva causato, lo persuase a non viaggiare di notte, poiché oramai stava calando il buio.
I successivi tre giorni di marcia trascorsero quasi del tutto nel silenzio e nell'imbarazzo da parte di entrambi finché, giunti al confine delle Terre dell’Est, i due trovarono una carovana che stava aspettando Stephan. Giunto il momento del commiato, l’attore prese nuovamente le mani di Seayne tra le sue e le disse che lei gli piaceva, indipendentemente da chi o cosa fosse e che lui l’avrebbe aspettata per sempre, se lei avesse fatto altrettanto. Subito dopo le diede un ultimo bacio.
La tentazione per Seayne fu forte, quasi cedette alle parole dell’uomo. Lo desiderava! Oh, come lo desiderava! Ma a che vita lo avrebbe condannato? Una vita sempre in fuga, scappando e nascondendosi dall'Organizzazione, senza la possibilità di recitare, macchiando per sempre il suo nome a causa del suo legame con una mezza-yoma! No, la sua scelta Seayne l’aveva fatta otto anni prima e se veramente voleva bene a quell'uomo, doveva lasciarlo andare via. Per lei fu come strapparsi il cuore dal petto con le sue stesse mani, e piangendo per il dolore, dopo che Stephan si fu girato per dirigersi verso la carovana, con parole gentili ma ferme rifiutò la sua proposta, ringraziandolo per quel briciolo di felicità che le aveva donato e augurandogli una vita felice e ogni bene. Poi fuggì via, il più velocemente possibile, da lui.
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11-06-2012, 01:59 AM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 12:11 AM da Kelsier.)
Messaggio: #3
Scheda di Seayne [Nardo]
CAPITOLO II - Inquilino Indesiderato

Erano passati alcuni giorni dalla Cerimonia del Rango quando Seayne, ora una guerriera graduata a tutti gli effetti con il numero 44, era stata avvisata che Mastro Araldus, il suo precettore, richiedeva la sua presenza. Senza indugio si diresse verso i suoi appartamenti. Come la prima volta, prima di entrare si ricompose e bussò educatamente alla porta di quella che sembrava a tutti gli effetti più una vecchia biblioteca che una stanza per riposare: Araldus si trovava in mezzo a librerie zeppe di libri e tomi impilati un po’ dappertutto, esattamente dove l’aveva visto la prima volta.
L’uomo in nero le ordinò di andare a ovest nelle Terre del Centro presso il villaggio di Trem, laddove avevano trovato diversi cadaveri privati delle interiora, opera sicuramente di uno yoma. Le ultime istruzioni che le diede Araldus furono di raggiungere Trem, incontrare il Capo Villaggio il quale aveva già versato il compenso, e parlagli e di agire in fretta, perché il villaggio era a poca distanza dalla città di Rabona, le cui milizie che perlustravano le terre del Centro erano ostili all’Organizzazione e alle sue guerriere. L’uomo in nero terminò ammonendo la guerriera a non farsi prendere, prima di chiosare con minacce di ritorsioni fisiche in caso di fallimento...
Seayne si mise celermente in cammino, le ci sarebbero voluti due giorni di viaggio per raggiungere Trem: vista l’urgenza, decise di percorrere al contrario la pista che aveva utilizzato quando era rientrata dalla sua missione di prova, che era la via più diretta per raggiungere le terre centrali. Questo le riportò alla mente il ricordo di Stephan, un ricordo che le causava ancora un certo turbamento, pensieri che si sforzò di cacciare, concentrandosi sulla missione e a chi gliel’aveva affidata: Mastro Araldus: per quanto lo trovasse bizzarro e le incutesse un certo timore, era stato lui a darle fiducia e a permetterle di graduarsi, perciò era contenta di svolgere questo incarico per suo conto. Seayne marciò decisa, ignorando il caldo opprimente: gli stivaletti metallici che proteggevano i suoi piedi le consentivano un’andatura più spedita, rispetto a quanto aveva potuto fare la prima volta che, scalza e con addosso soltanto l’uniforme da novizia, era uscita da Staph. Inoltre il tempo si mantenne stabile durante la marcia, permettendole di procedere senza problemi.
All’alba del secondo giorno di marcia, la guerriera avvistò una figura incappucciata, che sembrava attenderla lungo il sentiero: educatamente la guerriera la salutò, ma la persona, una ragazza a giudicare dalla voce, replicò soltanto che era stata mandata dal Capo villaggio di Trem per condurla a destinazione, ammonendola di fare presto. Senza aggiungere altro, la ragazza si voltò e si mise a camminare a ritmo sostenuto lungo la strada, proseguendo lungo la via che portava alle terre centrali; Seayne si presentò e tentò di chiedere alcune informazioni in più riguardo la situazione al villaggio, sondando la sua compagna con le sue percezioni, senza peraltro scoprire nulla: la ragazza non era uno yoma e le rispose di attendere e di fare silenzio, per evitare che qualcuno si accorgesse di loro. Siccome la giovane sembrava conoscere i dintorni e le insidie che vi si nascondevano, Seayne decise di fidarsi per il momento della sua compagna e di farsi guidare da lei. Ricordandosi infine delle buone maniere, durante la marcia la ragazza si presentò: il suo nome era Rebecca.
In silenzio le due donne camminarono per tutta la giornata e, a sera, Rebecca non diede segno di volersi fermare, con Seayne che ammirò la sua determinazione e la sua resistenza alla fatica.
All’alba del giorno dopo, Seayne avvistò all’orizzonte i contorni di un villaggio: Trem era oramai vicino. Come la guerriera temeva, Rebecca iniziava a palesare segni di stanchezza per quella lunga marcia, per quanto tentasse di non darlo a vedere; all’improvviso, Rebecca ruppe il silenzio, avvisando la guerriera che il Capo villaggio le attendeva all’ingresso e chiedendole di indossare il suo mantello per evitare di dare nell’occhio perché i guerrieri della città santa potevano arrivare in qualsiasi momento ed essi erano ostili alle guerriere, sostenevano infatti che esse avessero venduto il loro corpo ai demoni. Sorvolando su quella sciocca superstizione, Seayne ringraziò e indossò il mantello.
Insospettita da tutte quelle precauzioni, la guerriera si chiese come mai non le avessero ordinato di prendere il farmaco inibitore dello yoki, in modo tale da passare inosservata: la risposta che si diede era la mancanza di tempo! Trem era vicina a Rabona, quindi probabilmente ricadeva sotto la sua influenza. Però avevano uno yoma che infesta il loro villaggio e sapevano che solo una guerriera poteva affrontarlo. Ma se avessero palesato di aver chiesto aiuto all’Organizzazione, probabilmente avrebbero avuto dei problemi politici con le autorità di Rabona, quindi che fare? Chiamare lo stesso, in gran segreto una guerriera, approfittando di un periodo nel quale speravano che non ci sono pattuglie in giro, chiedendo che la stessa arrivi il più velocemente possibile, sperando che riesca a eliminare lo yoma rapidamente, prima che “qualcun altro” si accorga di lei. Quindi se Seayne avesse preso il farmaco prima di arrivare a Trem, avrebbero dovuto attendere che l’effetto finisse, perdendo altro tempo.
All’alba del nuovo giorno, le due donne arrivarono all’ingresso principale del villaggio… Un gruppo di persone le stava attendendo. L’attenzione di Seayne venne catturata da un uomo di mezza età che indossava un mantello simile a quello che portava Rebecca e che ora indossava lei. Poteva essere il Capo villaggio di cui Rebecca le aveva parlato? La guerriera pensava di sì. La voce dell’uomo, era sgradevole alle orecchie di Seayne e che, tuttavia, parlava con tono autorevole, ammonì di seguirlo e mantenere il silenzio, mentre un gruppo di persone che lo attorniavano si disposero tutt’attorno alla guerriera, mettendosi al passo con lei, costringendola ad avanzare ancora all’interno del villaggio. La cosa irritò Seayne, che comunque si mantenne al passo.
La strana processione arrivò davanti a quella che aveva tutta l’aria di essere una locanda; all’ingresso, un omone dal naso rubicondo e provvisto di un paio di baffoni arricciati in un modo che Seayne giudicò buffo sembrava attendere, tradendo il suo nervosismo sfregandosi le mani su un grembiule che probabilmente non vedeva acqua e sapone da settimane: il locandiere? Probabilmente sì. Il Capo villaggio si rivolse direttamente a lui, chiamandolo Olter e chiedendo se avesse predisposto il tutto… Tutto cosa? Il massiccio locandiere fece un eloquente cenno d’assenso col capo, ma se qualcuno avesse sbirciato sotto il cappuccio di Seayne, avrebbe visto che il suo volto, solitamente improntato al sorriso, ora era veramente serio e che tradiva i segni di una inequivocabile tensione. Le sue braccia erano incrociate sotto il mantello e i pugni stretti, la mascella serrata, quasi a impedire che parole inopportune le uscissero dalla bocca. La guerriera decise di mantenere la calma e cercò di sondare i dintorni con le sue percezioni mentre continuava a seguire quella strana processione: esercizio inutile.
A una parola del Capo villaggio, il locandiere si fece da parte e il gruppo al completo, compresa Seayne, entrò nella locanda. Olter, facendo segno di seguirlo, si diresse dietro il bancone, verso una porta in legno la quale dava su di un’altra stanza, forse un magazzino, al centro del quale però, un grosso anello di ferro arrugginito sembrava fissato al centro del pavimento. Il locandiere afferrò il pesante anello e, sforzando non poco, lo tirò a se: tra scricchiolii e cigolii, una botola si aprì nel pavimento.
Olter accennò un inchino nei confronti della giovane guerriera, mentre il Capo villaggio la esortava a scendere di sotto. Inizialmente Seayne rifiutò, chiedendo gentilmente, ma fermamente, spiegazioni, ponendosi in una posizione tale da non essere accerchiata.
Il massiccio Olter la zittì sonoramente, e questo non fece altro che aumentare l’irritazione di Seayne ma, prima che la guerriera replicasse, il Capo villaggio, s’intromise, chiedendole nuovamente di scendere, ma fu solo grazie all’intervento di Rebecca, la quale si rivolse all’uomo chiamandolo “padre” la quale rassicurò la guerriera che tutte quelle precauzioni erano per la sicurezza sua e loro, che Seayne si convinse a scendere, comunque non per prima.
Nessuno obiettò al gesto della guerriera e le persone iniziarono a scendere nella botola: Seayne scese per terza e si stupì di quello che vide: là sotto era stata ricavata una vera e propria stanza, dotata di tutto il necessario, evidentemente preparata per lei. In alto, la luce del giorno filtrava da una piccola finestra.
Dopo averle dato il tempo di guardarsi attorno, l'uomo incappucciato e dalla voce secca si tolse il mantello, rivelando un uomo di mezz’età dal fisico asciutto e, soprattutto, con un paio d’occhi vivi e vivaci, che ricordavano molto quelli di Rebecca la quale, se Seayne aveva ben capito, doveva essere sua figlia.
L’uomo disse a Seayne che poteva soggiornare là fin a quando non avesse completato l'incarico per cui era stata assodata, chiedendole di uscire solo la notte poiché durante il giorno avrebbe potuto imbattersi nella milizia di Rabona. Poi l’uomo, visibilmente preoccupato, le descrisse la situazione: il suo nome era Gull, il Capo villaggio, si scusò con Seayne per tutti quei sotterfugi, presi per evitare problemi con la città santa; avevano chiesto il suo aiuto per eliminare lo yoma che minacciava il villaggio. Avevano trovato i cadaveri di 4 persone... circa uno alla settimana. La milizia di Rabona aveva detto loro che se ne sarebbe occupata ma fino a quel momento non avevano fatto nulla, lasciando la gente di Trem nel terrore. Questo li aveva spinti a chiedere l’aiuto dell’Organizzazione.
A quel punto, ritenendosi soddisfatta di quelle notizie, Seayne chiese perdono per il suo comportamento diffidente e si presentò alla comunità, garantendo loro tutto il suo impegno per eliminare lo yoma che insidiava il villaggio, dopodiché rivolse loro alcune semplici domande, con lo scopo di cercare di capire le abitudini dello yoma.
La risposta di Mastro Gull non le fu di molto aiuto: le vittime erano quattro fino ad ora, l'unica cosa che avevano in comune era il sesso: tutti maschi; il primo era stato un ragazzino di quattordici anni che si era allontanato verso il torrente per prendere dell'acqua e il cui cadavere era stato ritrovato nel bosco; da allora gli attacchi si erano sempre più avvicinati al villaggio e il quarto cadavere era stato rinvenuto nella piazza principale poco distante dalla locanda. A quelle parole un mormorio si diffuse tra le persone presenti: forse ignoravano alcune delle informazioni appena rivelate? Non c’era né tempo né modo di appurarlo
A quel punto Seayne ringraziò il Capo villaggio, dichiarando di voler rispettare la sua richiesta di uscire allo scoperto solo col buio, chiedendo e ottenendo come unica eccezione di uscire di giorno, solo nel caso avesse percepito la presenza dello yoma nelle vicinanze della locanda e promettendo che, non appena ucciso il mostro, se ne sarebbe andata immediatamente da Trem. A quel punto Rebecca le consegnò una piccola mappa del villaggio, che le sarebbe stata utile per sapere come muoversi di notte.
Mastro Gull sembrava non sprecare una parola in più del necessario, almeno con lei, ma Seayne lo giustificò a causa della posizione delicata in cui si trova, in equilibrio tra Rabona e l’Organizzazione… Tutto gravava sulle sue spalle e l’uomo appariva decisamente teso, così alla fine, dopo aver chiesto al locandiere di prendersi cura dell’ospite e aver detto a Seayne che avrebbe potuto iniziare la caccia quella sera stessa, iniziò a dirigersi verso l’uscita, seguito subito da sua figlia Rebecca e, via via, da tutti gli altri, per finire con il grande e grosso Olter che fu l’unico a salutarla, sorridendole timidamente da sotto i suoi baffoni, prima di rinchiudere la botola. Rimasta sola, Seayne passò un po’ di tempo a ripassare gli scarsi indizi di cui disponeva, senza peraltro giungere a nessuna conclusione, dopodiché studiò attentamente la mappa del villaggio e poi si diede una rinfrescata e si rilassò, in modo da esser pronta ad agire quella sera.
Subito dopo il tramonto, Olter aprì la botola e fece segno alla guerriera di uscire. Seayne si avvolse nuovamente nel mantello che nascondeva le sue fattezze e lasciò il suo nascondiglio. Quando raggiunse la sala principale, notò che alcuni avventori erano presenti, intenti chi a bere e chi a chiacchierare assieme a qualche amico. Seayne non indugiò, prese la direzione della porta e vi si diresse senza esitare, senza però poter evitare di attirare l’attenzione su di se. Dopo pochi passi arrivò alla piazza centrale, mentre gli ultimi abitanti si affrettavano a raggiungere le loro case: a poco a poco il trambusto tipico dei centri abitati si acquietava, lasciando il posto alla tranquillità della notte, spezzata solo dallo stormire delle fronde di qualche albero accarezzate dal vento e punteggiata qua e là dalle luci di qualche finestra, laddove le famiglie si riunivano per la cena nella tranquilla sicurezza della loro casa. Quell’immagine idilliaca rattristò e commosse Seayne, riportando alla sua mente tempi piu felici, strappandole una lacrima di nostalgia, che la guerriera scacciò con un improvviso gesto di rabbia, concentrandosi sulla sua caccia. La sua idea era di recarsi alla piazza centrale, percorrendone i bordi cercando l’odore dello yoma con il suo fiuto e la sua aura con la percezione.
Passò un po’ di tempo, senza che Seayne riuscisse a trovare una benchè minima traccia dello yoma il quale, evidentemente, si nascondeva a una certa distanza dalla piazza, sufficiente da non poterne percepire lo yoki, e probabilmente gli zelanti cittadini di Trem avevano ripulito la scena del delitto, cosicché la guerriera non riuscì ad avvertire nemmeno l’odore del suo nemico.
Mentre camminava nell’oscurità, riflettendo sul da farsi, un grido squarciò la notte, avvisando il villaggio dell’arrivo della milizia di Rabona! Seayne imprecò mentre sembrava che tutti gli abitanti del villaggio uscissero dalle proprie abitazioni, riversandosi in strada per assistere all’arrivo delle milizie della città santa: in breve tempo la guerriera si trovò immersa nella folla. Mentre la guerriera pensava a una ritirata strategica, si sentì strattonare da qualcuno: quel qualcuno era Gull, il Capo villaggio, il quale le gridò di correre da Olter. Più velocemente che potè, in mezzo alla calca, Seayne s’infilò nuovamente nella locanda, passando davanti a buona parte degli avventori i quali questa volta non fecero una piega quando la videro. La guerriera corse verso il grosso locandiere il quale si sbracciava, indicandole la botola: senza fermarsi Seayne si gettò letteralmente dentro l’anfratto, avvertendo immediatamente il rumore della botola che veniva rinchiusa e lo strascichio di qualcosa di pesante che vi veniva messo sopra. Seayne si concesse un attimo per tirare il fiato, poi cautamente risalì la scaletta fino alla botola, cercando di origliare.
La confusione che regnava in strada sembrava aver raggiunto anche l’interno della locanda. Dopo alcuni istanti s’udì il rumore della porta che sbatteva e un diffuso mormorio prese il posto della confusione di qualche istante prima. Una guardia della città santa avvisò tutti che avevano l'ordine di ispezionare ogni edificio perché erano stati informati che una Claymore era stata vista da quelle parti, intimando al locandiere di farsi da parte. Olter rispose con un grugnito, mentre la voce di Mastro Gull replicava che il locandiere era muto e che il piccolo villaggio si affidava alla loro protezione, perciò se avessero visto una strega dagli occhi d'argento li avrebbero sicuramente informati... Un sommesso coro di assensi da parte degli avventori confermò le sue parole. Seayne seguiva l’evolversi della conversazione, si sentiva sola e in trappola ma, a poco a poco, la commedia messa in piedi da Mastro Gull riuscì a tranquillizzarla un po’ e anche a strapparle un sorriso divertito. Sembrava che, oltre ai notabili del villaggio, anche una parte dei paesani fosse d’accordo nel sostenere quella commedia.
Ma chi aveva abbia avvisato la milizia della sua presenza? Un paesano molto pio oppure… lo yoma che cercava di eliminarla evitando il confronto? Se così fosse, era stato molto astuto, forse troppo. Sperando che i legionari se ne andassero presto, per essere libera di trovare quello yoma ed eliminarlo, Seayne cercò il modo di bloccare la botola dall’interno, ma con disappunto, la guerriera non riuscì a trovare nessun modo per chiudere il passaggio. Frustrata, non poté fare altro che rimanere a origliare in prossimità dell’uscio…
Mastro Gull si lamentava con la guardia perché non erano ancora riusciti a trovare lo yoma che li minacciava al che l’altro, probabilmente l’uomo al comando della milizia della città santa, rispose che il loro compito era garantire la loro sicurezza e che lo Yoma sarebbe stato eliminato non appena lo avessero trovato. Seayne pensò con ironia che avrebbe voluto vedere come avrebbero fatto… chissà, forse avrebbe potuto imparare qualcosa per affinare le sue tecniche di caccia!
Seayne, preoccupata che con il caos e con le tenebre lo yoma avrebbe potuto colpire ancora, provava una forte tentazione di richiamare lo yoki e uscire, facendo a pezzi la botola e qualunque cosa ci fosse stata sopra, ma la ragione le sovvenne e cercò di calmarsi: non voleva che qualcun altro morisse a causa dello yoma, ma cosa sarebbe servito se avesse fatto irruzione nella locanda? Soltanto a cacciarsi nei guai e trascinare con se le persone che comunque si erano prodigate per tenerla al sicuro, perciò si rassegnò ad attendere ancora, trasse un respiro profondo, badando comunque a non far rumore, e continuò a origliare la conversazione che avveniva nella locanda, mentre le veniva in mente che probabilmente c’era qualche miliziano in incognito che pattugliava il villaggio. Questo avrebbe potuto spiegare anche perché avessero saputo di lei così presto.
Mentre ascoltava, Seayne apprese che le guardie si sarebbero accampate fuori dal villaggio per quella notte, poi udì un rumore di passi che si allontanavano e, qualche istante dopo, la porta della locanda sbattere in maniera piuttosto violenta. Involontariamente, la guerriera emise un sospiro di sollievo, ma percepì una nota di rassegnazione nella voce di Mastro Gull: la faccenda gli era probabilmente sfuggita di mano e, almeno in questo momento, sembrava non sapere che pesci pigliare.
Seayne cercò di pensare a un modo per aiutarlo, tipo travestirsi per circolare inosservata anche di giorno, ma doveva prima consigliarsi con Gull e Olter, poi si diresse alla piccola finestra della camera sotterranea, per esaminarla da vicino e valutare se, grazie alla sua snella figura, sarebbe stata in grado, all’occorrenza, di sgusciare fuori da quella parte, quindi si mise in attesa vicino alla botola, sempre cercando di ascoltare quanto avveniva fuori.
Dopo circa un’oretta di silenzio, iniziò a bussare cautamente sul pannello di chiusura, nel tentativo di farsi udire da Mastro Olter, senza ottenere risposta. Seayne si sentiva frustrata; smise di battere sulla botola di legno e si massaggiò la mano destra leggermente indolenzita. Bussare più forte? Ricorrere allo yoki e aprire la botola indipendentemente da cosa ci avessero messo sopra? Lo sguardo di Seayne ritornò alla finestrella.
Se usciva di là e se le guardie di Rabona si erano davvero accampate fuori dalle mura di Trem, avrebbe potuto fare un giro indisturbata e se lo yoma fosse venuto a dare un’occhiata quando sono arrivate le milizie, forse avrebbe potuto trovare le sue tracce, ritornando poi al rifugio alle prime luci dell’alba, se non avesse trovato nulla. Presa la sua decisione, Seayne spostò un mobile fin sotto la finestrella, badando a non fare rumore e poi salì su di esso per esaminarla e, se possibile, aprirla.
Seayne si tolse l’armatura, tenendo solo calzari e bracciali e avvolse il resto nell’ampio mantello che le aveva dato Rebecca, legando il tutto alla guardia della sua claymore; diede un’ultima occhiata alla mappa del villaggio dopodiché risalì sul mobiletto e aprì la finestrella. Dopo essersi sincerata che nessuno percorresse il tratto di strada dal quale si affacciava e aver messo fuori il fagotto con le sue cose, Seayne si apprestò a uscire all’esterno a sua volta, infilando prima la testa, poi il torso, che passò senza problemi, ma quando fu il turno del sedere, la guerriera si accorse di non riuscire ad andare avanti e… nemmeno a tornare indietro! Se la situazione non fosse stata così difficile, con lo yoma da un lato e le guardie di Rabona dall’altro, probabilmente Seayne avrebbe riso di se stessa, per essersi cacciata in quella situazione quantomeno imbarazzante, ma non c’era tempo per lasciarsi andare all’ilarità: doveva cercare di sfruttare quelle poche ore di oscurità che rimanevano. La guerriera si preparò ad attingere a parte del suo yoki per trarsi d’impaccio.
Improvvisamente Seayne si rese conto di non essere più sola… lentamente portò la sua mano all’altezza dell’elsa della sua claymore e l'afferrò, poi azzardò uno sguardo per vedere di chi si trattava. Era Rebecca, che stava sgranando lo sguardo alla vista di quella scena. Colta da un dubbio, dovuto al fatto che la ragazza doveva essere stanca dopo due giorni di viaggio ininterrotto, Seayne la sondò con le sue percezioni, temendo che fosse stata catturata dallo yoma dopo il loro arrivo al villaggio. Fortunatamente i suoi sensi le confermarono che Rebecca era, appunto, Rebecca e non lo yoma.
A ulteriore conferma, una battuta di spirito della guerriera che mirava a sdrammatizzare la situazione, venne accolta con la freddezza che contraddistingueva la ragazza, che comunque si offrì per aiutarla a trarsi d’impaccio. Seayne non chiedeva di meglio. Rebecca l’afferrò per i polsi e si sforzò di tirarla a se ma non servì a nulla. La guerriera rimaneva incastrata nello stipite. Rebecca si scusò con lei.
Seayne era pronta a rinunciare, stava per dire a Rebecca che si sarebbe sforzata per tornare dentro quando, all’improvviso, dalle spalle della ragazza s’iniziarono a udire dei rumori. Sforzandosi di guardare oltre le gambe della compagna, Seayne intravide un gruppetto di quelle che sembravano essere le guardie della milizia: evidentemente avevano deciso di ispezionare la città di notte.
Rebecca si sfilò il suo mantello e glielo gettò addosso, coprendo completamente la guerriera e ammonendola di non fare rumore e non muoversi per nessun motivo. Seayne, per ogni evenienza, afferrò saldamente l’elsa della sua claymore e si risolse di rimanere perfettamente immobile...
La ragazza giustificò la sua presenza con il sistemare il mantello per bloccare gli spifferi della cantina. Seayne ammirò la scaltrezza della ragazza, ma in quel momento le cose presero una brutta piega: una delle guardie che si era staccata dal gruppo fece una proposta indecente alla ragazza, la quale rispose con un sonoro ceffone. La guerriera voleva alzarsi per dare man forte alla compagna, ma memore delle parole di Rebecca, rimase immobile sotto il mantello. La guardia fece valere la sua forza e prepotenza, rispondendo allo schiaffo di Rebecca con un ceffone molto più forte del precedente, che strappò un lamento alla ragazza e mandò il suo corpo ad accasciarsi vicino a quello di Seayne, mentre nelle vene della guerriera qualcosa avvampò: non era lo yoki, bensì la sua rabbia che stava aumentando.
Nonostante tutto, la ragione in Seayne riusciva ancora, sia pure a stento, a tenere a bada la sua rabbia. Disperatamente la sua mente iniziò a pensare a un modo per aiutare Rebecca, senza rendere vano il suo tentativo di nasconderla, mentre la guardia minacciava la ragazza. Seayne avrebbe potuto ignorare quanto accadeva, in fin dei conti le beghe tra gli umani non dovevano interessare a una guerriera dell’organizzazione. Ma il cuore della ragazza conservava ancora in se una scintilla di umanità e lei non poteva dimenticarsi che, se Rebecca era in quella situazione, era anche per colpa sua. Inoltre c’era qualcosa che non le tornava, con quella guardia… Mentre Seayne sentiva Rebecca che iniziava a piangere, e percepiva chiaramente la guardia che solleva con forza la ragazza da terra e iniziava a trascinarla via, la guerriera concentrò le sue percezioni sovrannaturali sull’uomo, cercando anche di capire se altre guardie erano nei pressi, ascoltando eventuali sghignazzi o parole di incitamento o commento. Se fosse stato lui lo yoma sapeva cosa fare, in caso contrario… non appena l’uomo si fosse un po’ allontanato, avrebbe messo in atto un’idea che le era venuta in mente in quei concitati momenti.
La percezione di Seayne le confermò che, purtroppo, la guardia di Rabona era un semplice essere umano. Fu una cosa straziante per lei udire Rebecca che piangeva, mentre assieme al suo aguzzino si allontanava da lei.
Seayne era risoluta a dare l’allarme, quando un terribile urlo umano squarciò il silenzio della notte, proveniente dalla piazza centrale, mettendo Seayne in allarme; l’urlo terrorizzato di Rebecca seguì il primo grido! Tutti i piani di Seayne andarono a monte, mentre la rabbia della ragazza esplodeva, il flusso di yoki nel suo sangue aumentava e gli occhi della guerriera diventavano dorati e felini.
La giovane afferrò con entrambe le mani i lati del muro attorno allo stretto stipite e cercò di puntare le gambe all’interno, con l’intento di darsi una vigorosa spinta in avanti e liberarsi una volta per tutte, anche a costo di distruggere la finestra. Lo stipite della finestra si ruppe sotto la pressione del corpo della giovane e così aveva fatto il tessuto della sua uniforme: la pelle della schiena sotto di essa era escoriata, ma solo una cosa contava in quel momento per Seayne: era libera! Senza quasi esprimere un pensiero cosciente, Seayne afferrò la sua claymore e iniziò a correre verso la piazza, pensando solo ad arrivarci il più in fretta possibile. Quando vi giunse, quel che vide le riportò alla mente le terribili scene della notte in cui perse i suoi genitori e tutti quelli che le erano cari per colpa degli yoma: in una grande pozza di sangue giaceva quel che rimaneva della guardia, ovvero poco meno di metà persona! Dal torace in giù infatti, non esisteva più nulla dell’uomo; lo yoma si era procurato un nuovo pasto… Nonostante tutto, la guerriera provò dispiacere per quell’uomo.
Un balbettio incoerente attirò l’attenzione di Seayne la quale, voltandosi, vide rannicchiata a terra la figura tremante di Rebecca la quale, spaventata dalla tentata violenza prima e dall’orrendo spettacolo al quale aveva assistito poi, non era in grado di profferir parola, paralizzata dal terrore. Per non spaventarla ulteriormente, Seayne estinse il flusso del suo yoki, facendo ritornare i suoi occhi al consueto color argento, poi si avvicinò alla terrorizzata ragazza. Il cuore di Seayne soffriva assieme a lei, ricordando cose che non avrebbe voluto ricordare, mentre la mente della guerriera lavorava freneticamente: sapeva che entro poco tempo quel posto sarebbe divenuto un vespaio! Cittadini attirati dalle urla, le guardie di Rabona infuriate per la morte del loro commilitone e lei e, soprattutto, Rebecca nel mezzo! Dovevano andare via!
La guerriera, mantenendo calmo e gentile il tono della sua voce, cercò di trasmettere a Rebecca la sensazione che, adesso, era al sicuro. Gentilmente la prese in braccio, come faceva da bambina con la sua bambola di pezza e, senza comunque abbandonare la sua claymore, Seayne iniziò a correre a tutta velocità verso la casa di suo padre, Mastro Gull. Quando vi giunse c’era luce all’interno; la porta d’ingresso si spalancò e un uomo uscì sulla soglia. Seayne arrestò la sua corsa di fronte a Mastro Gull, sul cui volto era dipinta un’espressione allarmata. L’uomo, molto agitato, le chiese cosa fosse successo. Mentre Seayne faceva scivolare delicatamente Rebecca dalle sue braccia in quelle del padre, iniziò a raccontare a mastro Gull tutto quanto era accaduto da quando l’avevano rinchiusa nella botola, senza tralasciare nessun particolare, compresa l’aggressione a Rebecca da parte della guardia di Rabona; concluse il suo rapporto supplicando Mastro Gull di lasciarle riprendere la caccia ma l’uomo, temendo i controlli delle guardie di Rabona, la fece entrare in casa sua, mentre lui andava a parlamentare, lasciando Rebecca alle sue cure: la povera ragazza appariva ancora terrorizzata, tremante e con lo sguardo sbarrato che fissava il vuoto.
Nel silenzio della casa, rotto soltanto da qualche occasionale singhiozzo o lamento di Rebecca, la frustrazione si impadronì lentamente di Seayne, che si sedette a terra vicino alla ragazza, tenendosi la testa tra le mani. Mille pensieri le attraversarono la mente, compreso quello di un possibile fallimento della sua missione, mentre la guerriera faceva fatica a dominare la rabbia che la spingeva a mandare tutti a quel paese e uscire per cacciare il suo nemico. Era talmente agitata che non pensò nemmeno di rigenerare la ferita.
Il tempo passava lento, senza che nulla accadesse o che Rebecca riuscisse a riscuotersi dallo spavento quando, all’improvviso, s’udirono dei passi che si avvicinavano alla casa e, subito dopo, la porta si spalancò con un sonoro cigolio e Mastro Gull fece il suo ingresso, il viso sconvolto probabilmente da quanto aveva visto. L’uomo, in preda all’agitazione, aveva il respiro affannoso. Dopo alcuni istanti Gull fissò il suo sguardo negli occhi d’argento di Seayne: uno sguardo che chiedeva aiuto, mentre le raccontava che lo yoma aveva ucciso tutte le guardie, tranne due che erano scappati verso Rabona per dare l'allarme. Alla fine l’implorò di agire.
Mastro Gull non aveva neanche finito di parlare, che Seayne aveva già inforcato la porta, correndo verso la piazza del paese, con i sensi all’erta e un leggero flusso di yoki che le scorreva nelle vene. L’intenzione di Seayne era di iniziare la caccia partendo dal punto della piazza dove giaceva la guardia troncata a metà e, se non avesse trovato tracce là, si sarebbe diretta verso l’accampamento delle guardie di Rabona. Sapeva di essere ferita, anche se in maniera non preoccupante, sapeva di non aver tempo di recuperare il resto della sua armatura. Non era importante anzi, a pensarci bene, se lo yoma l’avesse vista ferita e senza armatura, avrebbe potuto essere tentato d’attaccarla.
Seayne si precipitò velocemente alla piazza centrale in pochi istanti, ma non credeva che lo yoma l’avesse aspettata… Eppure era là! Comparve a circa 30 metri di distanza dalla guerriera: sembrava essere consapevole di quel che faceva, mentre la sfidava, rivolgendole uno sguardo inferocito. Il mostro approfittò di un attimo d’indecisione di Seayne per scattare verso la porta del villaggio, dirigendosi verso il bosco vicino. Seayne lo maledisse, mentre il suo livello di yoki saliva, facendole spuntare una ragnatela di vene pulsanti attorno agli occhi e rendendo i suoi occhi uguali a quelli del suo avversario. Un istante dopo, la guerriera si lanciava all’inseguimento dello yoma, cercando di non perderlo e di recuperare la distanza che li separava.
Nonostante fosse protesa a tentare di raggiungere il suo avversario, ricordando la sua prima missione, una parte di lei rimaneva comunque all'erta per evitare eventuali trappole da parte dello yoma La percezione dello yoki di Seayne non fu sufficiente per permetterle di inseguire dappresso il nemico, tuttavia una lievissima traccia del suo passaggio era ancora percepibile e questa, unita all’inconfondibile odore del mostro, costituiva per la guerriera una traccia che riusciva a seguire. La pista condusse Seayne sempre più all’interno della foresta buia anche per i suoi occhi, fino al punto da farle perdere l’orientamento. La guerriera abbassò un po’ il livello dello yoki che le scorreva nelle vene e si addentrò ancora di più nel profondo della foresta, sempre rimanendo aggrappata alla traccia del suo avversario quando, a poco a poco, un nuovo sgradevole odore si mescolò a quello dello yoma: l’inconfondibile odore della morte, che diveniva sempre più forte a mano a mano che la guerriera andava avanti.
Seayne si fece prudente e iniziò a muoversi lentamente e con cautela e, spostando cautamente un cespuglio, si accorse che qualcosa si muoveva ai suoi piedi e tutt’attorno, una strana massa bianchiccia, visibile anche nell’oscurità: migliaia di larve di mosca, divoratrici di carogne, si muovevano come un orribile tappeto bianco, strisciando sopra a una piccola radura sporca di sangue e brandelli di viscere! Sopprimendo una protesta del suo stomaco alla vista di quello spettacolo raccapricciante, Seayne non ci mise molto a intuire la terribile verità: aveva trovato la tana dello yoma!
A conferma delle sue intuizioni, la voce del mostro le giunse da dietro le spalle: confidando d’averla disorientata a sufficienza, lo yoma le confidò di volerla lasciare nel suo covo, mentre lui avrebbe fatto razzia del villaggio prima di scomparire per sempre. Un fruscio di foglie fu l’ultimo rumore che sentì da parte dell’avversario.
No! Non poteva permetterlo! Seayne balzò tra i rami dell’albero più vicino, una grande quercia secolare, raggiungendone la cima con qualche difficoltà a causa dei rami fitti e dell’ingombro della claymore tenuta in mano, ma alla fine sbucò oltre la cima e si guardò rapidamente attorno: Trem era a Ovest, ed era più vicino di quanto credesse! Scese velocemente a terra e iniziò a correre. Seayne aveva sperato di poter percorrere una pista diretta per raggiungere il villaggio, ma gli alberi erano più fitti del previsto e la guerriera fu costretta a schivarli, non potendo certo abbatterli di pura forza.
In un modo o nell’altro, Seayne giunse nuovamente presso Trem e una volta là, avvertì nettamente l’odore dello yoma nell’aria… Come mai? La sua presenza aveva appestato l’aria del villaggio, com’era successo a Scramen nella sua prima missione? Oppure l’odore le era rimasto nel naso dopo esser stata nella sua tana? Probabilmente, era l’istinto di cacciatrice della guerriera che, avvistato il suo obiettivo, il villaggio, si era concentrato a trovare il suo avversario, lo yoma appunto. Infatti, pochi istanti dopo averne avvertito l’odore, Seayne percepì nettamente l’aura demoniaca del predatore supremo oltre le mura del villaggio e, se ora l’avvertiva così chiaramente, poteva significare solo una cosa: Stava per scatenarsi! Senza rallentare, Seayne superò le porte del villaggio, diretta verso il luogo dove avvertiva l’aura dello yoma.
Le tracce lasciate dallo yoma stavano guidando Seayne nuovamente verso la piazza centrale del villaggio. Fortuna? Intuizione? Istinto? Forse nemmeno Seayne avrebbe saputo dirlo, protesa com’era nella sua caccia, ma qualcosa in lei l’avvertì che, dall’oscurità davanti a lei, cinque artigli le saettavano contro, puntati contro il suo viso: lo yoma voleva affrontarla là? Maledetto! Dopo le guardie di Rabona, voleva far vedere alla gente di Trem che neanche una guerriera dell’Organizzazione poteva sconfiggerlo?
Seayne si mise in guardia e vibrò un fendente da sinistra a destra e dal basso verso l’alto, tentando di tranciare gli artigli dello yoma, facendo attenzione che l’avversario non contrattaccasse con gli altri artigli o col suo morso. Lo yoma emise un urlo disumano, che riverberò tra le case del villaggio, quando il colpo di Seayne gli recise tre dei cinque artigli che le aveva scagliato contro. Sullo slancio della sua mossa evasiva, Seayne era intenzionata a rimbalzare sulla sua sinistra, la sua claymore saldamente in mano, per tentare di accorciare la distanza dal suo nemico, ma qualcosa andò storto. Seayne era riuscita, fino a quel momento, a ignorare il fastidio e il bruciore causatole dall’ampia abrasione che si era fatta disincastrandosi dalla finestrella del suo nascondiglio, ma una fitta particolarmente acuta la distrasse in un momento cruciale e la guerriera perse l’equilibrio e ruzzolò a terra, schiena all’aria. Mentre Seayne stringeva i denti, lo yoma intuì il momento di difficoltà della sua avversaria e cercò di approfittarne, deviando i due artigli sopravvissuti al fendente in direzione della schiena esposta della guerriera.
Ancora una volta Seayne ebbe modo di accorgersi della mossa del suo avversario e, in quei pochi istanti tentò una contromossa: cercando di ignorare le proteste della sua schiena offesa, la guerriera ruotò su se stessa, tenendo inizialmente la sua claymore parallela al suo corpo, in una mossa che era allo stesso tempo sia difensiva sia offensiva, utilizzando la rotazione del corpo per tentare di vibrare un fendente contro i due artigli rimasti, con l'intenzione di troncarli. La manovra di Seayne, eccessivamente fiduciosa nelle proprie capacità riuscì, purtroppo, solo in parte: uno dei due artigli superstiti venne mozzato di netto, ma il secondo riuscì a entrare nella guardia della guerriera e la colpì in pieno ventre, facendosi strada nelle sue carni fino all’intestino. La guerriera urlò, mentre una violenta esplosione di dolore la pervase, partendo dal punto offeso e propagandosi in tutto il suo corpo. Istintivamente Seayne si piegò in avanti, gemendo dalla sofferenza, portando la mano sinistra nel punto colpito mentre, grazie probabilmente al suo istinto di sopravvivenza, la destra non lasciò la presa sulla claymore. Nel profondo della sua mente sapeva che quell’arma era oramai la sua unica possibilità di sopravvivenza, mentre il suo corpo si contorceva dal dolore
La guerriera era cosciente di aver ridato il vantaggio all’avversario mentre, confermando i suoi timori, lo yoma ritrasse di colpo l’artiglio da lei, causando a Seayne un sobbalzo dovuto alla nuova fitta di dolore, poi iniziò a correrle incontro, protendendo nuovamente l’artiglio in direzione della testa della guerriera. Tuttavia quell’atto, assieme all’immagine del volto terrorizzato di Rebecca che le ritornò in mente, ebbero l’effetto di scuotere Seayne: la guerriera, facendo appello alle sue energie, si preparò ad affrontare la carica del nemico…
Stringendo i denti per sopportare il dolore, Seayne, viste anche le sue ferite, optò per una strategia più diretta: si sarebbe tenuta pronta per tentare di tagliare l’artiglio in arrivo, cercando poi di spostarsi lateralmente dalla parte del braccio usato dallo yoma, in modo tale da proteggersi da un eventuale attacco dell'altro braccio del nemico. Se ci fosse riuscita, avrebbe tentato in seguito di sfruttare l’impeto della carica dell’avversario per lasciarlo avvicinare quel che bastava per tentare di vibrare un colpo in direzione del suo ventre o, alla peggio verso una gamba. Per tutta la durata dell’azione comunque, si sarebbe tenuta in guardia con la claymore, anche perché c’era qualcosa che non le tornava: perché lo yoma finora aveva attaccato con gli artigli di una sola mano? Cercando di ignorare il dolore del suo ventre in fiamme, com’era stata addestrata a fare, e mantenendosi all’erta per eventuali mosse inaspettate dello yoma, Seayne si preparò ad affrontare la carica dell’avversario.
Era stato un azzardo, ma questa volta la grande Stella del Nord fu benevola con Seayne, che riuscì a troncare l’ultimo dei cinque artigli che lo yoma le aveva sferrato contro. Quest’ultimo, forse intuendo le intenzioni della guerriera o forse perché la sua sicurezza era venuta meno, arrestò di colpo la sua carica, rimanendo fuori dalla portata della claymore della sua avversaria.
Il dolore al ventre di Seayne era sempre ben presente e la ferita continuava a perdere sangue. Solo lo yoki che le scorreva nelle vene e la rabbia che le bruciava in corpo permettevano alla guerriera di rimanere in piedi, ma per quanto ancora? Doveva inventarsi qualcosa... Una nuova fitta di dolore le riportò alla mente la situazione vissuta nel suo test: lei ferita (anche se stavolta il danno era più grave) e lo yoma con un solo arto a disposizione per lanciare i suoi artigli, il che era l’unica cosa che poteva fare per tentare di abbattere la guerriera. Pensò quindi di utilizzare la stessa mossa finale di allora; aveva solo bisogno che l’avversario si distraesse un attimo. L’occasione giunse qualche istante dopo, quando lo yoma si portò davanti al viso l’arto mutilato… Seayne raccolse le energie rimaste, preparandosi all’attacco… Lo yoma distolse lo sguardo dalla guerriera, per osservare ciò che rimaneva della sua mano: era il momento che Seayne aspettava: la guerriera scattò in avanti, puntando direttamente allo yoma…
Sembrò funzionare, almeno all’inizio… Come Seayne si aspettava, lo yoma fu sorpreso dalla carica della guerriera e non poté fare altro che lanciarle contro i suoi artigli senza poter prendere la mira in modo adeguato. Seayne fu pronta ad approfittarne, abbassandosi rapidamente e infilandosi sotto gli artigli del predatore supremo ma, al momento di assestare con la forza delle braccia il fendente che avrebbe dovuto tagliar via gli artigli superstiti, qualcosa andò storto. La guerriera urlò nuovamente quando una fitta più dolorosa delle altre le esplose nel ventre martoriato, probabilmente a causa del movimento troppo brusco. Con il fiato mozzo e l’intestino in fiamme, Seayne cercò di farsi trasportare dall’impeto della manovra per riuscire almeno a mozzare gli artigli dello yoma, ma fu troppo lenta. L’avversario ne approfittò per richiamare rapidamente gli artigli e, velocemente, allungò il braccio per afferrare l’arto dominante della guerriera, bloccandolo a terra. Certo, Seayne aveva sopportato dolori peggiori quando il suo corpo venne trasformato: ma questa situazione, doversi sforzare per combattere con una ferita aperta nel ventre, per certi aspetti era peggiore. Stimolato dal suo istinto di conservazione, lo sguardo di Seayne si fece strada nella cortina di lacrime che sgorgavano dai suoi occhi, in tempo per vedere che il predatore supremo si stava precipitando su di lei a fauci spalancate ma forse… forse… aveva commesso un errore. Infatti Seayne, non potendo contare sul suo corpo per dare potenza al fendente, aveva attaccato brandendo la claymore con entrambe le braccia: il destro era bloccato a terra, ma il sinistro era libero! Non che potesse tirare di scherma con quel braccio però… forse per fare quel che aveva in mente sarebbe bastato...
Cercando di non fare movimenti inutili, per non aumentare ulteriormente le sue sofferenze, Seayne aprì la mano destra, lasciando la presa sull’elsa della spada, raddrizzando di colpo il braccio sinistro con la claymore saldamente in pugno, puntata in direzione dell’avversario accorrente. La sua intenzione era di sfruttare l’inerzia della carica dello yoma, tentando nel contempo una stoccata col braccio per cercare di infilargli la punta della spada tra le fauci, con l'obiettivo ultimo di tentare di trapassargli il cervello. L’affondo purtroppo non andò a buon fine. In qualche modo lo yoma riuscì a fermarsi ancora una volta e si trovò nella bizzarra situazione di ritrovarsi con la claymore di Seayne incastrata tra i denti, i quali producevano sul metallo della lama uno stridio da far accapponare la pelle. Nonostante l’esitazione e lo stupore però, i suoi occhi balenavano d’odio nei confronti della guerriera che si rifiutava di morire. Allora il predatore supremo conficcò gli artigli nel braccio dominante della sua avversaria e diede uno strappo, lacerandone le carni. Il pensiero di non morire rintronava nella mente della ragazza, il cui corpo era squassato da una nuova ondata di dolore, proveniente dal braccio destro. Lo yoki e l’adrenalina la aiutavano a rimanere cosciente, ma per quanto? La tentazione di attingere ad altro yoki era forte, ma la ragazza riuscì a resistere. Non c’era parte del corpo di Seayne che non le facesse male tranne… il braccio sinistro! Quasi incredula, la guerriera fece scorrere lo sguardo lungo l’arto, seguendone il profilo fino ad accorgersi che la mano stringeva ancora, disperatamente, l’elsa della sua claymore, la sua fedele compagna di battaglia, che era ancora incastrata tra i denti dello yoma! Forse c’era ancora una speranza…
Oramai Seayne non era più in grado di pensare a una strategia complessa, e si lasciò guidare dal suo istinto di guerriera. Emise un grido che non aveva più nulla di umano, mentre concentrava le ultime energie rimastegli nel suo braccio sinistro, cercando di combinare quel che rimaneva della sua forza e il peso dell’avversario, per forzare la lama attraverso le fauci dello yoma, nell’estremo tentativo di decapitarlo all’altezza della sua bocca. Troppo tardi lo yoma capì le intenzioni di Seayne… non poté fare altro che rivolgerle un ultimo sguardo carico di rabbia prima e stupore poi, mentre la claymore della guerriera tagliava a metà la sua testa, separando tutto ciò che stava al di sopra della mascella dal resto del corpo, il quale emise un grande spruzzo di sangue violaceo che cadde in parte sul volto di Seayne, accecandola, accasciandosi definitivamente a terra subito dopo.
Seayne avrebbe voluto esultare per la sua vittoria, ma era allo stremo delle forze… certo aveva vinto, ma era stata una vittoria che aveva pagato a caro prezzo: la ferita al ventre, il braccio destro lacerato e, sia pure in misura minore, l’escoriazione alla schiena erano fonti costanti di dolore che minacciavano in ogni istante di obnubilarne i sensi. La guerriera cercò di alzarsi ma non ci riuscì a causa delle fitte al ventre che si propagavano per tutto il suo corpo. Traendo nuove energie dalla consapevolezza di aver vinto lo scontro con lo yoma e, di conseguenza, dall’aver salvato il villaggio di Trem, rimanendo in ginocchio Seayne fece un respiro profondo e iniziò a concentrare la sua energia demoniaca sulla rigenerazione, cercando di chiudere le sue ferite, iniziando da quella al ventre.
Seayne aveva appena tentato di iniziare la rigenerazione, quando il suo udito percepì chiaramente delle voci nell’aria frammiste al tintinnare tipico delle armature. Forse che Mastro Gull avesse fatto armare i suoi concittadini, nel caso anche lei avesse fallito? Oppure, ipotesi peggiore, erano arrivati i rinforzi da Rabona? Impossibile dirlo e, come aveva immaginato, gli abitanti di Trem s’erano tenuti a debita distanza dallo scontro, sicché non c’era nessuno a cui chiedere aiuto o consiglio.
Compiendo uno sforzo supremo, Seayne fece leva sul braccio sinistro e sulla sua claymore, soffocando a malapena un rantolo quando il suo ventre offeso protestò vivacemente a quello sforzo, cercando di raddrizzarsi in piedi, con l’obiettivo di infilarsi nel vicolo più vicino, tentando poi, camminando lentamente, di raggiungere la locanda, utilizzando la claymore come bastone per sorreggersi e sperando che il corpo dello yoma trattenesse l'attenzione della gente a sufficienza per permetterle di defilarsi.
Ogni passo sarebbe stato doloroso, la guerriera lo sapeva perciò, per sopportare meglio, Seayne decise di mantenere il livello dello yoki. Dopo immani sforzi, Seayne raggiunse la locanda e, colta dall’entusiasmo, iniziò a bussare ripetutamente alla porta, dimenticandosi però, con la mente parzialmente ottenebrata dal dolore, di estinguere lo yoki. Cosicché, quando Mastro Olter si precipitò alla porta e si trovò la guerriera di fronte, comprensibilmente si spaventò alla vista del volto mostruoso della ragazza la quale, come se non bastasse, era insudiciata dal sangue suo e dello yoma. E quindi chiuse e sbarrò ben bene la porta, in faccia alla guerriera.
Mentre stava quasi per cedere alla disperazione, i sensi di Seayne vennero messi nuovamente in allarme dalle voci indistinte e dai rumori metallici tipici delle armature che aveva avvertito poco prima, oramai erano così vicini da poter quasi distinguere le singole voci. Seayne si appoggiò per un attimo con la schiena contro il muro della locanda, si puntellò con la claymore utilizzando il braccio sinistro, poi fece un paio di respiri profondi e azzerò lo yoki, riassumendo il suo aspetto normale e gemendo a causa della nuova ondata di dolore che la travolse. Dopo alcuni istanti, la guerriera cercò di arrancare verso la finestrella del nascondiglio sotto la botola, camminando radendo il muro della locanda in direzione opposta a quella dalla quale provenivano le voci, anche se questo avesse comportato girare attorno all’edificio pur di evitarle.
Lentamente, dolorosamente, Seayne riuscì a riguadagnare il suo nascondiglio: l’alloggio che le avevano preparato gli abitanti di Trem, sotto la locanda. La guerriera scivolò all’interno senza grosse difficoltà, avendo divelto il serramento all’inizio di quella nottata, ma prima di cadere all’interno, Seayne si accorse di aver lasciato sulla finestra una stria di sangue rosso, ma non poteva farci nulla. Una volta all’interno, Seayne tappò alla peggio la finestra con il mantello, cercando di nascondere il più possibile la macchia di sangue, giusto in tempo per sentire che il vociare delle guardie era oramai vicino: purtroppo avevano visto e seguito la scia del suo sangue.
A quel punto Seayne si strappò la manica sinistra dell’uniforme e ne utilizzò una parte per bendarsi il braccio destro e l’altra per fare un tampone per la ferita al ventre; poi si diresse verso la branda, cercando di infilarsi sotto di essa, in modo tale che il materassino di paglia la occultasse alla vista. Certo non era un granché come nascondiglio, ma se la Stella del Nord le avesse concesso la sua benevolenza e se fosse riuscita a infilarsi sotto la branda, col favore del buio e confidando che il peso che era stato sistemato sopra la botola fosse ancora al suo posto, forse avrebbe potuto scamparla. Per qualche attimo la guerriera prese in considerazione l’idea di tentare nuovamente la rigenerazione ma c’era troppa confusione e troppe distrazioni: non sarebbe mai riuscita in quelle condizioni. Così, la ragazza, cercando di soffocare sul nascere i suoi gemiti di dolore e tenendo sempre vicino a se la sua fidata claymore, si rassegnò ad aspettare gli eventi, tentando di occultarsi alla vista sotto il giaciglio.
Seayne udì chiaramente l’ordine di irrompere nella locanda che venne dato alle guardie e, subito dopo, il rumore di qualcosa che veniva sfasciato, probabilmente la porta della stessa, seguito da un vociare confuso e concitato. C’era ancora la flebile speranza che le guardie non trovassero la botola ma, in realtà, la guerriera non ci credeva molto. Infatti, pochi minuti dopo, dei colpi netti si fecero udire esattamente sopra la botola, che si spalancò di colpo e quattro guardie sciamarono all’interno, armate di picche e portando delle torce. Da quella prospettiva, non ci misero molto a notare Seayne stesa sotto il giaciglio. Una delle guardie intimò alla guerriera di non fare un movimento. Seayne pensò per un momento di balzare fuori e aprirsi la strada a forza ma, saggiamente, capì in tempo di non avere molte possibilità, debilitata com’era dalle ferite e impossibilitata al momento a usare il braccio destro.
“Vivi oggi e combatti domani Seayne!” pensò la guerriera mentre usciva lentamente dal suo nascondiglio sotto la branda ma, non appena fu in piedi qualcosa, probabilmente l’asta di una picca la colpì con violenza sulla testa, facendole perdere i sensi… Un po’ di tempo dopo… quanto? Impossibile dirlo, la guerriera riprese conoscenza: oltre ai dolori delle varie ferite s’era aggiunta la testa che le doleva e le pulsava nel punto ove era stata colpita. Si trovava in un luogo buio e… sobbalzava? Seayne udì chiaramente un nitrito e capì di essere su un carro.
Frammenti di quella brutta notte le tornarono in mente: Rebecca terrorizzata, Gull e Olter, lo yoma che aveva… ucciso? Sì, ricordava di averlo ucciso, ma era così difficile pensare… il dolore le impediva di pensare. Istintivamente cercò di muoversi, ma scoprì che qualcosa di pesante le bloccava le braccia. Qualcuno l’aveva messa in catene; ma chi?
Con difficoltà riuscì a rimettere assieme i frammenti di memoria: l’arrivo a Trem, le precauzioni degli abitanti, il nascondiglio e la fuga dallo stesso, la sfida dello yoma, la sua tana putrida, lo scontro e infine… la sua cattura Disorientata, Seayne si chiese dove la stessero portando, dove fosse la sua claymore. Delirando, chiese perdono a Mastro Araldus per esser troppo stanca e troppo debole per sfuggire alle guardie, nonostante avesse assolto il suo compito. Anche parlare oramai le costava fatica, pensare con lucidità era sempre più difficile e il buio del carro ove si trovava a poco a poco penetrava anche la sua mente. Lentamente, il corpo della guerriera, prostrato dalle ferite, dal dolore e dalla stanchezza si accasciò sul fondo del veicolo che la stava portando chissà dove. Per quanto tentasse di resistere, il sonno la colse nuovamente e Seayne si addormentò, mentre un nome le sfuggiva dalle labbra, come un sibilo.

… Stephan…
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20-11-2012, 10:56 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 12:16 AM da Kelsier.)
Messaggio: #4
Scheda di Seayne [Nardo]
CAPITOLO III: Per un Pugno di Diplomatici

Quando Seayne riaprì gli occhi, intuì di trovarsi nelle segrete della città di Rabona. La sua impressione era corroborata dal rumore dell’acqua che gocciolava da qualche parte, mantenendo l’ambiente umido e maleodorante, nonché dai lamenti di qualche disgraziato messo lì a marcire per chissà quale crimine, e dagli squttii dei ratti che si muovevano silenziosi attraverso i corridoi e, ne era sicura, tra le celle.
I roditori le fecero tornare in mente Araldus, la sua fobia per i topi ma, soprattutto, la sua figura asciutta e misteriosa, sempre avvolta nella sua vestaglia verde scuro, mentre la congedava dopo averle assegnato l’ultimo incarico. In cuor suo, Seayne sapeva di aver deluso il suo precettore: certo, aveva assolto il compito per il quale era stata inviata a Trem, aveva ucciso lo yoma che minacciava quella comunità, ma aveva sottovalutato la creatura, oppure aveva sopravvalutato se stessa, rimanendo ferita in modo talmente serio da non riuscire a opporsi alla cattura da parte delle guardie della città santa.
Seayne non sapeva se da Staph avrebbero mandato qualcuno a prenderla, ma non si faceva molte illusioni al riguardo: perché avrebbero dovuto rischiare qualcuno per recuperare una guerriera di basso rango come lei?
Inoltre, aveva perso il conto del tempo trascorso in quel buio tugurio, con le braccia e le gambe bloccate da delle catene anche se, a voler guardare quel poco di positivo che c’era in quella situazione, almeno aveva avuto il tempo, neanche lei sapeva come, di rigenerare completamente le sue ferite.
Le guardie di Rabona si erano rivelate ben diverse dai favolosi racconti che aveva udito da bambina, nel quale erano dipinte come eroi senza macchia e senza paura: alla prova dei fatti si erano rivelati meschini e spietati come molti altri uomini… Seayne si trovò a imprecare contro di loro, quando un cigolio improvviso interruppe i suoi pensieri: una porta si era aperta un pò, lasciando intravvedere il luccichio di un’armatura: una guardia era venuta a sincerarsi delle sue condizioni e ordinò che le portassero da mangiare. A Seayne bastò sentir parlare di cibo per avvertire una lieve sensazione di fame; non molto forte in realtà, ma quel che bastava per farle capire che la fatica, il sangue perduto e gli sforzi per rigenerarsi pretendevano il loro prezzo.
Una figura mingherlina, un ragazzo a quel che sembrava, le si avvicinò, posò la scodella a terra e la spinse attraverso le sbarre che la guerriera, nell'oscurità, non aveva notato, avvicinando la ciotola alla ragazza. Seayne provò a protendere le braccia per prenderla, ma scoprì che le catene che la tenevano bloccata le impedivano di afferrarla: se voleva mangiare, avrebbe dovuto mettere la faccia dentro la scodella, come fa un cane! L’orgoglio ferito della guerriera esplose in un accesso di rabbia: per un istante, cercò inutilmente di forzare le catene che la imprigionavano… L’impulso ad attingere allo yoki e cercare di spezzare le costrizioni fu forte, ma un barlume di ragione la fece riflettere, mentre il suo istinto di conservazione le impose di calmarsi: non era il momento di fare pazzie.
La voce esitante del ragazzo strappò Seayne dai suoi rabbiosi pensieri: sembrava incuriosito dalla “strega dagli occhi d’argento”, così la guerriera decise di dargli corda. A prescindere da tutto, in quella situazione ogni amico poteva fare comodo. Il piccolo si chiamava Kristopher, anche se tutti lo chiamano Krik, era uno degli sguatteri che lavorava alla prigione, un orfano che era stato venduto come servo all'intero reggimento delle guardie le quali, con lui erano state rudi ma buone.
Nonostante temesse che Krik cercasse di cavarle informazioni con le buone, il ragazzino era la prima persona che si mostrava buona e gentile con lei da quando era stata catturata e non era di sicuro colpa sua se lei era stata messa ai ferri. La guerriera decise quindi di mostrarsi gentile con lui e, mantenendo lo sguardo mite, gli rivolse un piccolo sorriso, mentre replicava, parlando di se ma senza rivelare nulla riguardo l’Organizzazione
Conclusa la sua storia, Seayne decise di ingoiare il suo orgoglio e si chinò per immergere la bocca nella ciotola del rancio, iniziando a mangiare. Ne aveva bisogno e non voleva correre il rischio che le portassero via il cibo se avesse indugiato troppo. Tuttavia, mentre mangiava, un altro pensiero le venne in mente, così si raddrizzò, deglutì il boccone che aveva in bocca e si rivolse nuovamente al ragazzino, chiedendogli se sapeva cosa ne volessero fare di lei. Krik aveva ascoltato con molta attenzione la breve storia di Seayne: la sua espressione concentrata mentre memorizzava ogni singola parola che usciva dalle labbra della guerriera. Fu allora che il piccolo spiraglio di luce che filtrava dalla porta illuminò gli occhi del ragazzo: occhi verdi come quelli di Stephan!-
Da quando era iniziata la sua missione, Seayne non aveva avuto modo di pensare molto a se stessa, così i ricordi del bell'attore conosciuto durante il suo test e delle forti emozioni che aveva provato quando l’aveva baciata, non erano giunti a turbare il suo cuore e i suoi pensieri ma ora, ridotta all'impotenza e umiliata, alla vista di quegli occhi così diversi eppure così simili a quelli di Stephan, quegli stessi ricordi le si affacciarono alla mente, e le lacrime che caddero nella ciotola dove la guerriera era costretta a mangiare come un cane, non erano soltanto di rabbia.
Un sospiro di Krik strappò Seayne dai suoi ricordi, appena in tempo per accorgersi che il ragazzo stava rispondendo alla sua domanda, informandola che l’attendeva un processo davanti all'alto consiglio di Rabona! Prima che il giovane potesse finire, la guardia lo richiamò all'ordine, ordinandogli di uscire. Seayne lo pregò di tornare da lei.
Impossibile per Seayne dire quanto tempo passò dopo che la porta della sua cella venne richiusa, immersa com'era nella pressoché totale oscurità della sua cella… La ragazza finì come meglio poteva il suo cibo e poi rimase lì, sola nel buio, malinconicamente ripensando a tutto quanto accadutole da quando era arrivata a Staph e rammaricandosi per non esser morta durante lo scontro con lo yoma. Non nutriva infatti molte speranze per il processo.
All'improvviso, il rumore di una serratura che scattava attrasse la sua attenzione: uno spiraglio si aprì nella porta e la piccola figura di Krik scivolò rapidamente dentro; lo stava facendo di nascosto dalle guardie? Un raggio di luce illuminò un ampio sorriso sul volto del ragazzo, che aveva in mano qualcosa che porse a Seayne attraverso le sbarre: un pezzo di pane fresco e fragrante! Krik affermò di averlo preso dalle cucine, di nascosto! Un pezzo di pane: una cosa semplice, che due persone semplici come loro, due orfani, potevano apprezzare. Seayne rivolse un sorriso a Krik e poi, nonostante non avesse fame, si sporse in avanti per addentare quel semplice dono, ringraziando il ragazzino il quale, in cambio, le chiese di raccontargli ancora qualcosa di se e delle “streghe dagli occhi d'argento”. Seayne accettò e, nelle sue parole, cercò di trasmettere al ragazzino due concetti: il primo è che le guerriere non vendevano l’anima ai demoni, anzi ne erano le più feroci avversarie e, secondo, che né lei né le altre uccidevano gli esseri umani.
Prima che il ragazzino potesse replicare alle parole di Seayne, una delle guardie delle prigioni si accorse che era sgusciato alla chetichella nella cella della guerriera, provvedendo a spedirlo via con un pedatone nel didietro. Ignorando la richiesta di Seayne di non punirlo, la guardia l’informò che era giunta una missiva dai suoi superiori, i quali avrebbero mandando qualcuno a presenziare per lei!
Una miriade di domande le esplose in testa: chi mai sarebbe venuto dal quartier generale? Uno dei supervisori o qualcun altro? E cosa intendeva la guardia con la parola “presenziare”? L’uomo di Staph avrebbe preso parte alla sua difesa o sarebbe stato solo uno spettatore incaricato di osservare e riferire? Troppe domande e nessuna possibilità di trovare una risposta. Non rimaneva che aspettare, anche se Seayne non sapeva per quanto…
Altro tempo passò, con Seayne immersa nel buio, con l’umore mutevole e la mente che vagava soffermandosi ora sui ricordi del passato, ora soffermandosi sul presente, sull'amato Stephan e sul suo destino se e quando fosse riuscita a tornare a Staph. Ogni pensiero portava con se un nuovo carico di tristezza e la ragazza faticò non poco per non cedere alla disperazione e non tentare qualche gesto inconsulto, sfogando nelle lacrime la sua rabbia. Krik non tornò più a farle compagnia e nessuno le aveva più portato da bere o mangiare. Finché, all'improvviso, la porta della sua cella si spalancò e la guardia che piantonava la sua cella, chiamandola “mostro”, le annunciava una visita da parte dei “suoi”. La cosa riempì nuovamente Seayne di rabbia nei confronti di quella e di tutte le guardie di Rabona, ma ben presto la sua attenzione venne catturata da un tintinnio metallico, ma più leggero di quello dell’armatura del piantone
Una voce diversa, una voce femminile la chiamò per nome… Seayne alzò la testa per guardare in direzione della porta: illuminata dallo spiraglio di luce si stagliava una figura vestita con l’uniforme e l’armatura di una guerriera dell’Organizzazione! Per un terribile istante Seayne temette che la compagna fosse stata mandata per epurarla e istintivamente cercò di ritrarsi, ma poi quest’ultima si mosse verso di lei e, mentre si avvicinava, la vista di Seayne si abituò alla luce che entrava e riuscì a mettere a fuoco la nuova arrivata, notando subito che, oltre gli occhi d’argento, i suoi capelli corti, con un lungo ciuffo sulla parte destra della faccia avevano più o meno la stessa sfumatura argentata e l’espressione del suo viso era amichevole e un po’ preoccupata, non severa come ci si sarebbe aspettati da qualcuno che deve infliggere una punizione. Ma la cosa che più sconcertò Seayne fu che si accorse, quando la compagna le venne vicino e si accoccolò sui talloni di fronte a lei, che non aveva la sua claymore con sé. Immaginando che quegli uomini infidi avessero imposto alla compagna di lasciare l’arma di fuori per consentire di farle visita e temendo un’imboscata nei suoi confronti, stava per metterla sull'avviso quando questa, mantenendo un’espressione conciliante, tirò fuori una lettera da consegnarle dietro ordine di Mastro Araldus.
Seayne era confusa da quanto stava accadendo. Tuttavia era felice di aver incontrato una nuova compagna, una che condivideva il suo stesso destino e che poteva capirla forse meglio di chiunque altro. Seayne tentò di muovere le braccia e questo fu sufficiente affinché l’altra guerriera si accorgesse delle costrizioni che la tenevano bloccata. La nuova arrivata senza alzarsi girò la testa in direzione del secondino, chiedendogli e ottenendo di liberarle le braccia, dietro promessa di tenerla d’occhio. Malvolentieri la guardia accettò

“Sei fortunata che Araldus abbia insistito tanto per venire personalmente lui a recuperare un cumulo di sterco come te. Fosse dipeso da me ti avrei fatta epurare nelle segrete e avrei cancellato ogni prova!”

Questo era il contenuto della missiva indirizzato a lei, letto a voce alta a sufficienza affinché anche la compagna udisse. Inaspettatamente la lettera non era di Araldus, ma era stata scritta e firmata di suo pugno da un altro dei supervisori: Domino! Tutto sommato, le supposizioni che la guerriera aveva fatto riguardo al suo destino non erano poi del tutto errate. Non si aspettava però che Araldus fosse venuto fin là di persona, portando con sé la sua compagna evidentemente come guardia del corpo, ma perché?
La guardia interruppe la conversazione, dicendo che le due avrebbero potuto continuare il giorno dopo, al processo… Seayne ebbe appena il tempo di restituire alla compagna la lettera e di pregarla di riferire a Mastro Araldus che, comunque, il compito che le era stato affidato era stato eseguito. La guerriera, che si era rivelata a lei come Aurora, la numero diciotto dell’Organizzazione, le poggiò una mano sulla sua spalla, nel tentativo di infonderle un po’ di speranza, prima di salutarla e uscire, lasciandola nuovamente sola nel buio. Seayne avrebbe voluto che Aurora rimanesse con lei ancora un pò. Vedere il volto di una compagna dopo i giorni di prigionia, sentire la sua voce, vedere il dispiacere nei suoi occhi quando si era chinata di fronte a lei e aveva visto i suoi polsi martoriati e quando aveva letto la lettera di Domino era stato… bello. Forse per la prima volta Seayne si era sentita a suo agio con una compagna, tanto che la guerriera prigioniera aveva concentrato su di lei la percezione dello yoki, quasi a voler trattenere la sua presenza, finché l’aura dell’altra s’era fatta troppo lontana per essere percepita.
Dopo un po’, tante domande e congetture si affollarono nuovamente nella sua testa finché Seayne, stanca. dopo tanti giorni passati costretta in una posizione a dir poco scomoda dai ceppi alle braccia, sapendo di non poter trovare delle risposte, cercò una posizione che le desse un minimo di comodità e, con in mente il volto di un giovane uomo dalla pelle ambrata e gli occhi verdi, lentamente Seayne scivolò nel sonno.
Seayne era ancora intontita quando quattro guardie vennero a prelevarla dalla sua cella per sbatterla dentro una gabbia di ferro arrugginito montata su delle ruote, spinta dalle stesse per farla avanzare attraverso i corridoi ampi a sufficienza per permettere alla gabbia di procedere. Seayne, triste, affranta e, a dirla tutta, un po’ impaurita, si accorse durante una sosta che, fuori da una finestra, brillava il sole, e allora si spostò dentro la gabbia in attesa, fino a rannicchiarsi sotto il fascio di luce che entrava dalla vetrata, beandosi di quel chiarore che le forniva un po’ di conforto.
Ma niente avrebbe potuto preparare la guerriera a quel che vide e subì di lì a poco: dentro la sala c’era una folla enorme che esplose in un boato alla vista della guerriera, iniziando a inveire pesantemente contro di lei. Insulti arrivavano alle orecchie di Seayne da tutte le direzioni; ovunque la guerriera girasse la testa veniva fatta bersaglio di invettive e sputi che in breve la colpirono dappertutto, volto compreso. Colta dalla disperazione, nonostante i ceppi a braccia e gambe, la ragazza spaventata cercò di rannicchiarsi sul fondo della gabbia, inutilmente tentando di sfuggire a quel tormento. Ma la rabbia che le esplodeva in petto nei momenti di massima tensione emotiva le fece ritrovare quella determinazione che pensava d’aver perduto e si raddrizzò, per quanto consentitole dalle catene, sulla sua figura, testa alta e schiena diritta, con gli occhi d’argento che ignoravano la folla, cercando le figure di Mastro Araldus e Aurora, seduti su un piccolo palco assieme a un’altra figura incappucciata che Seayne non ebbe tempo e modo di riconoscere. La guerriera rivolse al trio un cenno col capo in segno di saluto e rispetto, poi distolse lo sguardo da loro, rivolgendolo verso altre tre figure, quelle che probabilmente erano i tre grandi Giudici della città santa: Padre Antoin: il tesoriere dei monastero, Padre Thierry: sacrestano e custode dei sacri testi e Cerio il capitano della guardia cittadina.
Il processo iniziò. Mastro Araldus aveva risposto rapidamente alla domanda del giudice e, a giudicare dal suo atteggiamento la cosa gli era costata uno sforzo non indifferente.
Aurora, la sua compagna, era sembrata all'inizio un po’ in imbarazzo ma poi, a mano a mano che il suo discorso procedeva, le sue parole si erano fatte a poco a poco più convinte, difendendo la compagna con calore e passione. Seayne, grata per quelle parole, avrebbe voluto allungare il suo braccio per stringere la mano che Aurora aveva allungato verso di lei, ma i ceppi ai polsi glielo impedirono. Credendo ancora nella giustizia delle autorità di Rabona, Seayne si lasciò guidare dalla sua indole e lasciò che quel che aveva da dire venisse dal suo cuore: cercò quindi di sistemarsi in una posizione il più possibile eretta e, fissando i giudici con espressione mite, con voce misurata ma decisa raccontò la sua versione dei fatti, senza profferire menzogna, concludendo il suo intervento chiedendo perdono per qualunque mancanza si reputava avesse commesso.
Seayne aveva sbagliato a credere nella giustizia di quegli zeloti ma, oltre a essere zittita senza tanti complimenti dal capitano, cosa che tutto sommato si aspettava, dovette incassare anche l’occhiataccia e il gesto eloquente di Araldus, un gesto che la mente semplice e esausta della guerriera interpretò nel peggior modo possibile, mentre Padre Antoin scrutandola con sguardo severo e deciso, continuava a rampognarla. La ragazza si sforzò per non ridergli in faccia e chinò la testa in modo tale che i capelli nascondessero il sorriso rabbioso che le era comparso sulle labbra. Impotente, rassegnata, sforzandosi di non cedere alla disperazione che le bruciava dentro mescolata alla sua rabbia, Seayne cercò con lo sguardo l’unica persona lì presente che aveva cercato di darle conforto e che, realmente aveva cercato di difenderla: Aurora, la sua compagna. Proprio in quel momento, i giudici chiamarono l’ultimo testimone, il quale si fece avanti e si tolse il cappuccio… Gli occhi di Seayne si sbarrarono per lo stupore, il suo respiro le si mozzò mentre il cuore in petto iniziò a batterle all'impazzata: quell'uomo era… Stephan!…
Un’incredula Seayne ne scandì il nome con voce strozzata, mentre tutti i momenti, tutte le sensazioni che la ragazza aveva vissuto e provato assieme all'attore dagli occhi verdi si riversarono nella sua mente come la piena improvvisa di un fiume, lasciandola immobile e impotente come quando Stephan la baciò per la prima volta. I ceppi a mani e piedi le ricordarono che era ancora incatenata, quando la ragazza cercò di muoversi verso di lui. Seayne era completamente disorientata da quell'apparizione del tutto inattesa, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime frammiste di gioia per aver rivisto il suo amato e di tristezza, nell'imminenza di una separazione che, lo sapeva, questa volta sarebbe stata definitiva. Persa nella marea di emozioni e sensazioni che l’avevano travolta, Seayne si era a malapena resa conto che c’era stato uno scambio di battute tra il giudice e Stephan, che però non rispose, rimanendo come inebetito a fissare negli occhi Seayne la quale non distolse lo sguardo, come se volesse fissare gli occhi di smeraldo dell’amato nella mente, per portarli con se nell'aldilà…
Il giudice bollò la difesa di Seayne come ridicola e priva di prove e fondamento. La guerriera udì quelle parole e, comprendendo di essere oramai giunta alla fine, con un sorriso triste sul volto rigato dalle lacrime si rivolse al suo amato, parlando a voce bassa in modo tale, sperava, da farsi udire solamente da lui, confessandogli il suo amore e dicendogli addio. Quel tragico idillio venne bruscamente interrotto da Aurora, che era improvvisamente apparsa vicino a Stephan e gli aveva afferrato il polso nel tentativo di riportarlo alla realtà e, subito dopo lo fissò negli occhi e capendo che, forse, le ultime speranze di salvezza di Seayne erano legate a lui, cercando di spronarlo a testimoniare in favore della compagna; aggrappandosi a quell'ultimo barlume di speranza, anche Seayne cercò di scuotere l’amato, ma prima che Stephan potesse dire o fare qualcosa, lestamente Araldus lo prese per le spalle, spingendolo verso l’uscita, lasciando l'udienza nelle mani di Aurora
Seayne balbettò qualche parola senza senso con voce strozzata, mentre le sue ultime speranze si allontanavano, assieme all'uomo che amava, probabilmente per sempre e le sue mani, nonostante i ceppi, afferravano le sbarre della gabbia nella direzione verso la quale i due uomini si stavano allontanando. La guerriera prigioniera, sconvolta, disorientata e, onestamente, un po’ impaurita dalla piega presa dagli eventi, non riusciva a dare un senso a tutto questo: perché Stephan non aveva detto o fatto nulla? Perché i suoi occhi sembravano assenti, vacui, mentre la fissava, come se non l’avesse riconosciuto oppure come se avesse avuto paura. Seayne ricordava molto bene che, tempo addietro, Stephan era svenuto dallo spavento alla vista del sangue che sgorgava dalle sue ferite e così pensava Seayne, cercando di convincere se stessa che Stephan non l’aveva coscientemente abbandonata al suo destino. La voce del giudice la strappò dai suoi tristi pensieri, e riportò la sua attenzione su Aurora, la coraggiosa, leale compagna, alla quale Araldus aveva sbolognato l’ingrato compito di tentare la difficile impresa di toglierla dai guai. Sola, davanti a un pubblico e una giuria ostili, dopo aver fatto vagare lo sguardo dalla compagna, alla folla e, infine, sui tre giudici, Aurora iniziò la sua arringa, dapprima esitando ma prendendo via via coraggio, mentre parlava.
Con una supplica, Aurora, la numero 18 dell’Organizzazione, aveva concluso il suo intervento. Seayne era sicura che le fosse costato un enorme sforzo e, fosse servito o meno, le era grata, semplicemente perché… ci aveva provato, come una vera caposquadra che si preoccupa della sua compagna. La guerriera prigioniera sperava che le fosse concesso almeno il tempo per poterla ringraziare. Ma tutto fu inutile.

COLPEVOLE! Verrà rinchiusa nelle segrete di Rabona a espiare i suoi peccati finché morte non sopraggiunga!

Seayne aveva ascoltato in silenzio la sentenza che, come si aspettava, non le lasciava scampo, ma ciò che la riempì d’angoscia fu il modo in cui le sarebbe stato fatta scontare la pena capitale: morte per fame e sete il che, considerata la naturale resistenza di una guerriera, si sarebbe tradotto in una lunga, straziante agonia. Durante il tragitto verso le segrete, il sole che filtrava dalle finestre, questa volta, non le fu di nessun conforto. Ciò che temeva non era tanto la morte, quella l’aveva messa in conto il giorno in cui era diventata una guerriera dell’Organizzazione, quanto la paura di perdere il senno nell'oscurità della cella e, di conseguenza, il controllo di sé…
Più tardi, nuovamente immersa nel buio della sua cella Seayne, dopo essersi concessa un pò di tempo per recuperare, nei limiti del possibile, la stanchezza e lo sfinimento che la pervadevano, nonostante si sentisse sola e abbandonata al suo destino, la ragazza cercò di non farsi prendere dal panico, sforzandosi per mantenere la calma e pensare razionalmente a un modo per uscire da quella cella. Ma nonostante i buoni propositi, non passò molto tempo che la mente di Seayne cominciò di nuovo a perdersi in quell'oscurità umida e fredda, che le strappò un brivido nonostante il suo fisico ibrido non risentisse degli sbalzi di temperatura. Senza quasi rendersene conto, la ragazza iniziò a pensare a voce alta, quasi che il suono della sua voce fosse un’ancora che la teneva aggrappata alla realtà, cercando di scacciare i pensieri sempre più cupi che le rintronavano nella testa, alimentati da quel buio immobile e perenne. Pensieri che nascevano nel punto più oscuro e rabbioso della sua anima, laddove alloggiava la bestia che si portava dentro, la quale facendo leva sulle sue paure e insicurezze, si prendeva gioco di lei, cercando di spingerla verso quel confine che ogni guerriera sa di non dover mai superare, fino al punto da farle perdere per qualche istante il controllo dello yoki che però Seayne, con uno sforzo di volontà riuscì a sopprimere, aggrappandosi a tutto quello che di umano conservava ancora in se, ricacciando il suo lato oscuro nel profondo della sua anima.
Altro tempo passò e Seayne, forse per timore che le cose le sfuggissero di mano non aveva ancora trovato la risolutezza necessaria per tentare la fuga. Tuttavia la giovane guerriera cominciava ad avere un po’ di sete, segno che il tempo comunque passava, ma il suo stava, lentamente, iniziando a scadere. Fu proprio allora che la ragazza udì una voce femminile e vagamente familiare che sembrava la stesse chiamando: era Aurora! Aurora che era tornata indietro per lei!
Con la speranza che le rinasceva in petto, Seayne incrementò il suo yoki per spezzare le catene e i ceppi che ancora la bloccavano, mentre chiamava con tutto il fiato che le rimaneva la compagna. Gli sforzi di Seayne furono ricompensati dallo spezzarsi dei legami che la tenevano avvinta. La ragazza non poté fare a meno di provare una momentanea soddisfazione, subito rovinata dalle conseguenze di quel gesto: il suo grido e il rumore della ferraglia che andava in pezzi avevano messo in allarme la ronda di guardia alle segrete. La compagna la rassicurò, dicendole che era venuta per portarla via, mentre afferrava le sbarre della cella. Seayne si unì a lei, afferrando le sbarre con le sue mani vicine a quelle di Aurora, con l’intento di aiutare la compagna a piegarle, tenendosi pronta a fuggire assieme a lei non appena il passaggio fosse stato aperto. Forse a causa di un momentaneo mancamento dovuto agli sforzi eccessivi dopo giorni di immobilità forzata, forse per l’impeto di gioia provato nel vedere le sbarre della sua cella sfondarsi, nonostante l’avvertimento di Aurora, nel momento in cui la porta cedette, Seayne le rovinò sopra, sbucciandosi le ginocchia e i palmi delle mani nella caduta. Oramai si cominciava a intravvedere la luce tremolante delle torce che si avvicinavano, assieme a delle grida di allarme che Seayne udì nonostante le urla e i lamenti spaventati degli altri condannati; delle grida che le fecero tornare in mente la notte della sua cattura a Trem: le grida delle guardie di Rabona! Aurora cercava di prendere una sbarra della porta da usare probabilmente come arma, ma Seayne l’implorò di lasciar perdere. Certo, lei era disposta a rischiare la sua vita per tentare di scappare, ma l’idea che Aurora potesse venir catturata per aver cercato di aiutarla le risultava intollerabile.
Tuttavia, rispettandone l’autorità, la ragazza non disse altro, attendendo le decisioni della compagna, notevolmente più alta in grado rispetto a lei, abbassando un pò il livello dello yoki che le scorreva nelle vene, ma senza azzerarlo del tutto, pronta a correre via. Ma, poco dopo, un’imprecazione di Aurora e il linguaggio del suo corpo rivelarono a Seayne che la compagna era in difficoltà, con le guardie che oramai le avevano individuate da un lato e l’oscurità delle segrete dall'altro: il rischio di andare a infilarsi in una strada senza uscita era molto, molto alto tuttavia, grazie a un raggio di luna che filtrava da una feritoia e a quel poco d’orientamento che aveva imparato da bambina per non perdersi nei boschi del nord, uniti al ricordo del percorso che la gabbia le aveva fatto fare quella mattina, permisero a Seayne di guidare la compagna fuori dalle segrete, prima che le guardie fosser loro addosso. Uscite nell'aria fresca della notte, Seayne avrebbe voluto gridare di gioia a pieni polmoni, quasi a voler sfidare gli uomini di quella città, ma sapeva bene di non poterlo fare, non ancora almeno… Lei e Aurora non erano ancora fuori dai guai. Araldus le aspettava poco distante, ma dovevano muoversi con attenzione: se le guardie le avessero scoperte sarebbe stato un problema. Seayne ricordò a quel punto che Araldus aveva portato via con se Stephan e, pregando che l’amato fosse ancora con il suo superiore, ignorando grazie allo yoki stanchezza e sete, Seayne si lanciò nei vicoli di Rabona, seguendo Aurora, la quale si destreggiò con abilità nel labirinto di stradine e vicoli della città santa, finché gli occhi di Seayne non videro un grosso carro, il cui portello posteriore era aperto, come a invitare le due guerriere a salirci sopra. Vicino a esso una figura avvolta in una lunga veste: Araldus! L’uomo in nero dava l’impressione di essere, in quel momento, di buon umore, visto che aveva etichettato come “birichina” Seayne, ma poteva essere tutta un’impressione, dovuta alla concitazione del momento. La guerriera non ci badò, pensando unicamente a salire sul carro e, subito dopo, estinse lo yoki che l’aveva sostenuta fino a quel punto.
Alla giovane guerriera mancò il fiato, quando il dolore proveniente dai polsi e dalle caviglie martoriati dai ceppi e sforzati durante la fuga, nonchè la spossatezza dovuta alla lunga corsa e al periodo trascorso in cella dopo le gravi ferite subite nello scontro con lo yoma, non più tenuti a bada dall'energia demoniaca la travolsero. Seayne si accasciò sul fondo del carro e rimase lì rannicchiata ansimando e gemendo…
Avrebbe voluto solo bere, rigenerarsi e poi dormire, rilassarsi sul serio, non quella sorta di riposo forzato a cui si era sottoposta nelle segrete e dovuto più che altro allo sfinimento, mentre le giungevano alle orecchie il fragore delle armature e le voci concitate delle guardie di Rabona le quali, tenacemente, continuavano l’inseguimento; rumori sovrastati all'improvviso dalla voce di Mastro Araldus che urlava degli ordini al cocchiere. Come Seayne sperava, nel carro c’era anche Stephan, il quale però sembrava non reagire per il momento alla sua presenza e aveva ancora gli occhi vacui, come la mattina nell'aula del processo. Seayne non capiva cosa stesse succedendo al suo amato e, a causa di questo, iniziò ad avvertire un freddo nodo allo stomaco, una sensazione di dolore e impotenza che prevalse sulla sofferenza che provava in tutto il corpo.
A quel punto, spinta dall'amore che provava per Stephan, la guerriera cercò di prendere tra le sue mani il volto dell’uomo, per fissare i suoi occhi d’argento in quelli di smeraldo del giovane, sperando che la vista del suo volto sarebbe servita a scuotere l’amato dalla sua apatia.e, se non fosse bastato, avrebbe poi avvicinato lentamente il suo viso, cercando di parlargli dolcemente, revocando la notte del loro primo bacio, finendo col baciarlo sul serio cosa che, in quel momento, Seayne desiderava più di ogni altra cosa al mondo: Mentre nel suo corpo una miriade di sensazioni si mescolavano: gioia, tormento, estasi e panico, alcune lacrime iniziarono a sfuggirle dagli occhi. Da qualche parte, nella sua mente, la giovane guerriera sapeva che Mastro Araldus ed Aurora la stavano probabilmente osservando, ma in quel momento non le importava…
Quell'idillio venne bruscamente interrotto da Araldus il quale, cercando disperatamente un modo per scrollarsi di dosso le guardie di Rabona che tenacemente li inseguivano, con una sberla staccò Seayne dal suo amato, facendole sbattere la testa per terra e buttando l’uomo dal carro in corsa. D’istinto Seayne voleva accorrere in suo aiuto, ma Araldus proibì tassativamente a lei e ad Aurora di soccorrere l’uomo, pena una condanna all'epurazione!
Seayne si ritrasse in un angolo del carro, piangendo rannicchiata su se stessa. Traumatizzata da quanto appena avvenuto davanti ai suoi occhi e incapace, nella sua mente semplice, di comprendere la logica dell’azione di Araldus, rimase a chiedersi perché, dopo aver sentito per anni, da parte dell’Organizzazione, il mantra che recitava di non uccidere mai, per nessun motivo, neanche il più spregevole degli umani, uno dei suoi superiori avesse gettato un uomo mite e gentile come Stephan dal loro carro in corsa, rischiando così di ucciderlo con il solo impatto al suolo, figuriamoci poi con le guardie di Rabona…
Stretta in una morsa di dolore, onore gratitudine e rabbia, Seayne cedette sotto il peso di quelle emozioni, attribuendo a se stessa la colpa di quanto accaduto al suo amato, pregando per la sua salvezza e, consapevole che il suo cuore sarebbe per sempre rimasto con Stephan. Cercando un appiglio per la sua esistenza sconvolta, Seayne si risolse di aggrapparsi all'unica certezza della sua vita, ovvero l’Organizzazione che per ben due volte l’aveva salvata, rinnovando silenziosamente il giuramento di fedeltà alla stessa e sperando, un giorno, nei suoi vagabondaggi, di avere notizie sulla sorte di Stephan.
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31-12-2012, 03:54 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 01:20 AM da Kelsier.)
Messaggio: #5
Scheda di Seayne [Nardo]
CAPITOLO IV: IL RIMPIANTO DI UNA STELLA (Allenamento in Arena)

Al suo ritorno a Staph, la prima cosa che Seayne aveva fatto era stato darsi una bella ripulita e indossare una uniforme nuova e integra. Tuttavia non aveva gettato lo straccio a cui era stata ridotta la sua tuta precedente: era l’unica cosa che le rimaneva di quel maledetto giorno…
I giorni però passavano e nessuno era venuto a dirle nulla, né l’avevano convocata per chiarimenti o, alla peggio, per sottoporla a giudizio, forse i capi non avevano ancora deciso cosa fare di lei
Quel periodo d’attesa era interminabile, e più il tempo passava, più spesso le ritornavano in mente i ricordi di Stephan e del modo in cui il loro legame era stato spezzato, seguiti sempre dai sensi di colpa perché, per quanto cercasse una giustificazione, alla fine Seayne giungeva sempre alla stessa conclusione: era stata colpa sua!
Alla fine, la guerriere albina non riuscì più a sopportare l’attesa: doveva fare qualcosa altrimenti temeva d’impazzire! Presa la sua decisione, Seayne uscì dal suo alloggio e si diresse ai magazzini per procurarsi un’armatura di ricambio e, dopo averla indossata, i suoi passi si diressero verso l’arena ove le guerriere come lei erano solite mettersi alla prova duellando contro una compagna. Proclamò la sua sfida ad alta voce, sperando che qualcuna delle altre guerriere l’udisse e accettasse il confronto, mentre l’adrenalina e l’eccitazione per l’imminente - sperava – scontro la pervadevano e il pensiero di conoscere e confrontarsi con una nuova compagna scacciava per il momento la sua malinconia…
Dopo una lunga attesa, una voce rispose: si trattava di Alicia, Alicia la numero trentacinque, che si disse lieta di potersi confrontare con una compagna più in alto in graduatoria, per poter imparare da una guerriera con più esperienza. Effettivamente, nonostante tutto, Seayne era appena stata insignita del numero ventisette…
La guerriera albina finalmente aveva l’occasione di conoscere una nuova compagna e confrontarsi con lei: fisicamente non era molto differente da Seayne e l’unica differenza apprezzabile tra le due era che Alicia portava i suoi lunghi capelli legati in una coda di cavallo.
Seayne sorrise alla nuova arrivata e aveva iniziato a rivolgerle un saluto, quando venne interrotta da un uomo in nero che non aveva ancora conosciuto ma che, dalle voci che aveva sentito, non poteva essere altri che Duran, fece la sua comparsa, interrompendola e avviandosi poi di buon passo verso il perimetro dell’arena. Seayne, lo seguì senza obiezioni, ma lungo la strada, con la voce un po’ esitante, si rivolse nuovamente ad Alicia, ringraziandola per aver accettato la sua sfida.
Il trio in breve giunse all'arena vera e propria: la calura del deserto era mitigata da una leggera brezza, e la cosa a Seayne, pur non soffrendo ella gli sbalzi di temperatura, non dispiaceva affatto. Duran ordinò alle due guerriere di riporre le loro spade, mentre lui procurava loro un paio di claymore da allenamento: Seayne purtroppo non aveva con sé la sua arma, le era stata sottratta dalle guardie di Rabona. Duran lasciò alle due contendenti il decidere quando iniziare, dopo aver porto loro le spade che teneva una per mano, ritirandosi poi verso la rastrelliera dalla quale aveva prelevato le armi.
Seayne, dopo aver lasciato ad Alicia la scelta dell’arma, prese la claymore rimasta e, dopo averla fatta roteare in mano un paio di volte per saggiarne il peso e il bilanciamento, si distanziò dalla compagna di alcuni passi e poi si girò verso di lei, mettendosi in guardia, mentre la sua espressione passava da triste ad attenta e concentrata e l’adrenalina iniziava a scorrerle nelle vene: la guerriera albina supponeva che Alicia fosse veloce quanto lei e, se voleva avere una possibilità, doveva cercare di sorprenderla, in qualche modo! Innanzitutto Seayne concentrò la sua percezione dello yoki sull'avversaria: non tanto per anticiparne le mosse, ma per cercare di capire se c’era uno schema nei suoi movimenti. La guerriera albina sperava infatti che i suoi occhi, assieme alla sua percezione, le dessero un’idea di come si muoveva Alicia. Dopodiché cercò di calcolare la distanza alla quale Alicia avrebbe potuto colpirla rimanendo là dov'era, valutando la lunghezza del suo braccio e della sua Claymore.
Quando fu soddisfatta, chiese all'avversaria se era pronta e, alla sua conferma, Seayne partì all'attacco, caricando Alicia frontalmente, tenendo saldamente la sua Claymore innanzi a sé con due mani, per tentare di parare eventuali colpi dell’avversaria: quando sarebbe giunta al limite del raggio d’azione di Alicia, Seayne avrebbe alzato momentaneamente il suo yoki per accelerare all'improvviso, scartando bruscamente alla sua sinistra nel tentativo di mandare fuori tempo l’avversaria, rimbalzando subito dopo alla sua destra per cercare di scivolare alle spalle della Numero 35 e tentare di portare un fendente di piatto con la claymore mirando al gancio portaspada o agli spallacci dell’armatura dell’avversaria, quel che bastava per fare un pò di rumore: non intendeva certo farle male. Poi Seayne avrebbe tentato di proseguire sullo slancio, per cercare di sottrarsi alla risposta di Alicia, fermandosi lontano della sua portata e riportando lo yoki alla normalità.
Il colpo a sorpresa portato da Seayne riuscì ben oltre le aspettative della giovane guerriera: sbilanciata dalla finta dell’avversaria, Alicia cadde in avanti quando il fendente di Seayne si abbatté sugli spallacci della sua armatura. Seayne girò su se stessa, pronta a incalzare l’avversaria, quando udì la voce di Duran dire ad Alicia che era già morta… Seayne rimase sconcertata dalla franchezza del supervisore, ma ancor di più quando l’uomo in nero si rivolse direttamente a lei, apparentemente imperturbabile e annoiato, ordinandole di finire l’avversaria a terra!
Quelle parole ebbero su Seayne lo stesso effetto che avrebbe avuto su di un umano una secchiata di acqua gelida, smorzando di colpo il suo entusiasmo: ma come? Non si trovavano nell'arena? E le regole non vietavano alle guerriere di uccidere o ferire un’avversaria? E allora perché quell'ordine? Tutte quelle domande si accavallarono nella mente della guerriera albina… Si trovava di fronte ad un altro paradosso? Un altro controsenso nelle regole che guidano la vita delle guerriere e dei loro superiori? Le parole di Duran fecero riaffiorare alla mente di Seayne dolorosi, recenti ricordi che nella concentrazione del duello la giovane guerriera era riuscita a sopprimere. Seayne non sapeva che pesci pigliare: non voleva uccidere una compagna ma, mentre la sua mente lavorava furiosamente per trovare una via d’uscita, per fortuna fu Duran stesso a suggerire una scappatoia: ricominciare da capo!
Seayne si aggrappò a quella possibilità con tutte le sue forze, ricacciò i suoi pensieri nel profondo della sua anima strinse forte entrambe le mani sull'impugnatura della claymore e si rimise in guardia, concentrandosi nuovamente sulla sua avversaria mentre la sollecitava a rialzarsi con una evidente nota di preoccupazione nella voce, la percezione dello yoki sempre concentrata sulla numero 35, mentre arretrava di due-tre passi per poter riprendere lo slancio, attendendo che l’avversaria si rimettesse in guardia.
Questa volta però Alicia non attese che Seayne portasse il suo attacco. Le due si caricarono a vicenda, e quando furono molto vicine entrambe sprigionarono il loro Yoki. La guerriera albina fintò un balzo mentre la numero 35 la superava di slancio, mandando così in fumo la sua strategia. Seayne decise allora di saltare un passaggio e passare direttamente a un balzo laterale, per evitare ripercussioni. La decisione fu provvidenziale, perché Alicia tentò di colpirla alle giunture delle ginocchia da sinistra, fendente che andò a vuoto per un soffio grazie alla schivata di Seayne, la quale capì che Alicia aveva tentato di utilizzare la sua stessa idea contro di lei, mostrando di imparare molto velocemente. Tuttavia, Seayne non ne era dispiaciuta, anzi, se le cose stavano così, la guerriera albina poteva fare a meno di preoccuparsi per l’avversaria e concentrarsi soltanto su se stessa, mentre sentiva in lei l’euforia della battaglia che prendeva nuovamente il sopravvento su tutti gli altri pensieri.
Non avendo però previsto una simile situazione, le due contendenti si rimisero una di fronte all'altra, cercando di riflettere su una nuova tattica. Ora però erano molto più vicine, appena fuori portata l'una dell'altra, e quindi una carica era improponibile a meno di non allontanarsi. Dalla rastrelliera, Duran lanciò un incitamento, affermando che poiché le due finalmente avevano cominciato a danzare, voleva vedere qualche volteggio.
Cercando di accontentare l’arbitro, Seayne serrò la presa a due mani sull'elsa della sua claymore, tenendola di traverso davanti a se, poi guardò Alicia negli occhi, rilasciando in quel momento un po’ di yoki. A quel puntò, sempre tenendo la sua percezione sulla compagna, la guerriera albina cercò di scattare avanti il più rapidamente possibile, fintando di menare un fendente mirato allo spallaccio sinistro dell’armatura dell’avversaria…Seayne sperava che Alicia si muovesse per intercettare la lama che calava su di lei ma, nel momento in cui le spade fossero giunte al contatto, lei non avrebbe opposto resistenza al colpo, cercando di utilizzare la forza della spada di Alicia, assieme alla propria, tentando di eseguire un volteggio al massimo della velocità consentitale dallo yoki, che le avrebbe consentito di scivolare lungo il fianco destro dell’avversaria, fino a ritrovarsi nuovamente alle sue spalle… A quel punto, molto probabilmente la compagna sarebbe stata sbilanciata dall'impeto del suo stesso colpo e allora, come nel primo assalto, Seayne avrebbe tentato di piazzare un altro fendente di piatto mirando al portaspada o agli spallacci dell’armatura di Alicia, sempre controllando la forza per non farle male, scartando poi lateralmente per evitare la risposta dell’avversaria se il colpo non avesse funzionato. Ma Alicia non collaborò e, mentre Seayne rimodellava alla bell'e meglio la sua tattica, Alicia si abbassò e menò una botta di piatto all'interno delle sue ginocchia, sbilanciandola e mandandola poi al tappeto con uno sgambetto in piroetta. La lama della numero 35 fu sul collo della guerriera albina.
Duran non poté trattenersi dal puntualizzare l’ovvio, sottolineando che stavolta sarebbe stata Seayne a lasciarci le penne, sollecitando le due contendenti a risistemarsi per un ultimo scambio. Seayne tossì e sputò sabbia per alcuni istanti dopo essere stata buttata a terra faccia in giù da Alicia, la quale aveva pareggiato il capitombolo iniziale, ma non replicò alle parole dell’uomo in nero: aveva ragione, non c’era altro da dire. Il fatto di non aver sottovalutato Alicia non era di conforto all'impolverata guerriera la quale però non intendeva arrendersi… lo yoki che le scorreva nelle vene la esaltava: desiderava dare addosso ad Alicia con tutta la sua forza ma ebbe la forza di volontà necessaria a mantenersi lucida.
Seayne improvvisò un’idea al volo: approfittando di quel minimo di yoki che le scorreva nelle vene, non appena rialzatasi sarebbe balzata all'indietro, quel che bastava per mettersi momentaneamente fuori dalla portata di Alicia, senza però perderla di vista un solo istante anzi, l’avrebbe tenuta sotto controllo con gli occhi per quel che riguarda il movimento e con la percezione per quanto concerneva lo yoki. Non appena l’avversaria si fosse mossa, Seayne avrebbe agito, cercando di anticiparla… La sua prima idea era di aumentare repentinamente lo yoki, compiendo un balzo e atterrando sul lato sinistro di Alicia, accucciandosi il più possibile per caricare le gambe per un balzo successivo; contemporaneamente avrebbe tentato di portare un fendente di piatto sul retro delle ginocchia dell’avversaria per cercare di sbilanciarla – nel tentativo di renderle pan per focaccia – e subito dopo avrebbe spiccato un balzo alle sue spalle, tentando di afferrarla per il gancio portaspada, con l’obbiettivo di buttarla a terra, sempre cercando di non farle male. Tuttavia Alicia aveva dimostrato di saper improvvisare molto bene e quindi Seayne si sarebbe tenuta in tasca un paio di alternative da utilizzare se, come accaduto prima, Alicia avesse reagito diversamente dal previsto.
Infatti così accadde anche in quell'ultimo assalto ma fu Seayne ad avere la meglio: la sua mossa, potenziata grazie allo yoki, fu più veloce e colpì anche se per poco l'interno delle ginocchia dell’avversaria; non riuscì a completare la sua tattica, perché era troppo lontana, ma Alicia finì di nuovo rovinosamente a terra.
Duran emise uno sbuffo: evidentemente non aveva gradito la tattica seguita dalle due contendenti. Sempre appoggiato alla rastrelliera, l’uomo in nero le rimproverò, rimarcando il fatto che, per combattere gli yoma, ci voleva ben altro modo di combattere Tuttavia, proclamò la vittoria di Seayne, disse alle due di allontanarsi prima che cambiasse idea e decidesse di far proseguire il combattimento a oltranza e poi si spinse avanti e presentò le mani alle due per farsi restituire le spade da allenamento.
Seayne, senza replicare alle parole di Duran, estinse completamente lo yoki, si chinò sopra l’avversaria a terra e, mentre le porgeva la mano per aiutarla a rialzarsi, le rivolse un sorriso, ringraziandola: la cosa sembrò stupire Alicia, che accettò la mano e si fece tirare in piedi. Poi la guerriera albina restituì la sua spada, tuttavia desiderava tentare di chiarire una cosa con Duran. Sperando che la lasciasse esporre le sue ragioni - non conosceva infatti il carattere del loro arbitro - mantenendo lo sguardo e il tono della voce miti e rispettosi, si rivolse al superiore, riconoscendo la verità delle sue parole, ma affermando di aver richiesto questo duello per provare un paio di cose che le erano venute in mente e per scaricare un po’ di tensione. Infatti aveva cercato ove possibile di mirare all'armatura dell’avversaria per non rischiare di farle male, nel rispetto delle regole dell’arena. Seayne voltò quindi il capo in direzione di Alicia e stavolta, con gli occhi e il tono della voce che esprimevano gratitudine, si rivolse a lei, ringraziandola per aver accettato il duello, riconoscendo che confrontarsi con un’avversaria veloce quanto lei le fosse servito molto. Seayne concluse affermando di doverle un favore, sperando di rivederla e di poter ricambiare presto, sperando in cuor suo che questo potesse essere l’inizio di un’amicizia.
Alicia le sorrise, mentre replicava che doveva essere lei a ringraziarla per averle mostrato che doveva farne di strada per diventare una brava guerriera e che era d’accordo con lei per quel che riguardava la risposta alle parole di Duran.
Quest’ultimo nemmeno badò alle parole di Seayne. Rimise a posto le spade da allenamento e se ne andò senza proferir parola. Qualunque cosa significasse, almeno non aveva deciso di punirla. Le due guerriere potevano tornare ai loro alloggi… Le attendevano giorni duri, su questo non poteva esserci dubbio.

 
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08-10-2013, 10:39 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 01:28 AM da Kelsier.)
Messaggio: #6
Scheda di Seayne [Nardo]
 CAPITOLO V: Urla,Torce e Forconi

 Pochi giorni dopo la sessione d’allenamento in arena, Seayne venne convocata da un altro supervisore, un giovane di nome Brera, per una nuova missione. L’uomo fu avaro di particolari, che le sarebbero stati forniti da un altro supervisore quando la guerriera albina avesse raggiunto il villaggio di Lore, situato nelle terre del nord. Seayne non avrebbe viaggiato da sola, una compagna sarebbe venuta con lei… Con gioia Seayne scoprì che la compagna in questione era Alicia, la guerriera che si era scontrata con lei in arena e che, alla fine, aveva dimostrato sentimenti di amicizia nei suoi confronti.Il viaggio verso nord richiese alcuni giorni di marcia, ma fu piacevole grazie alla compagnia di Alicia finché, in un mattino nuvoloso e ventoso, con la neve che scendeva fine e non disturbante e il Sole che si affacciava alto oltre le nuvole, le due guerriere arrivarono, a un crocevia vicino al villaggio, dove trovarono due figure ad attenderle. Una era indubbiamente una guerriera dell’Organizzazione: l’uniforme, l’armatura e, soprattutto, la claymore che le pendeva dalla schiena non davano adito a dubbi; portava i capelli raccolti in una coda di cavallo come Alicia, ma i suoi occhi erano duri e freddi. L’altro, un uomo, era vestito nel modo più stravagante che Seayne avesse mai visto: indossava, nonostante il freddo, solo con una camicia bianca e una giacca nera sopra, pantaloni neri e scarpe nere, più un cappello a cilindro, guanti bianchi, un bastone dal pomello d'oro, e... due strani occhialini scuri che ne nascondevano gli occhi.Quest’ultimo era il supervisore cui Brera aveva fatto accenno: il suo nome era Hayez e presentò la compagna come la Numero 23, Saphelia. L’uomo le informò che il Capo Villaggio di Lore aveva richiesto il loro intervento: molti suoi compaesani erano stati trovati nei boschi circostanti privi di budella; secondo Hayez erano un po’ troppi per pensare a un solo Yoma. Nulla di strano, perché erano state chiamate in tre. L’unica cosa che dava una certa preoccupazione era il fatto che sembrava che gli abitanti del villaggio, fosse per rabbia o solo per paura, sembrava stessero dando segni di intemperanza…Hayez non indugiò oltre in chiacchere inutili: l’obiettivo delle guerriere era, come sempre, stanare gli Yoma e farli fuori; nominò Saphelia Caposquadra, cosa logica dato il suo numero più alto tra tutte le guerriere presenti e, cosa che stupì Seayne, rivolse alla Numero 23 delle parole di incoraggiamento e di sprone a lasciarsi alle spalle le brutte esperienze e a non farsi abbattere. Poi se ne andò, lasciando le tre sole con la loro missione da compiere.Il linguaggio del corpo di Saphelia tradiva un certo disagio, tuttavia la Caposquadra cercò di mettere al loro agio le compagne, affermando di non sentirsi un capo e quindi di non trattarla come tale; Seayne replicò che allora l’avrebbe trattata come una semplice compagna, dopodiché le tre si avviarono verso il villaggio.Una volta entratevi, le tre percepirono chiaramente un forte odore di bruciato e un vociare concitato di persone; non essendoci incendi in vista, le tre si diressero verso il vociare, il che le condusse in una piazza sulla quale sorgeva la chiesa del villaggio. Una turba di persone stava vociando e inveendo contro il sacerdote e un uomo apparentemente di mezza età. Accortisi delle guerriere, la folla a poco a poco cominciò a inveire anche contro di loro e, mentre Saphelia commentava amaramente quell’accoglienza e la gente minacciava di ricorrere ai forconi per cacciarle, l’uomo di mezza età, il capo villaggio, corse loro incontro e le invitò a seguirle a casa sua. Mentre le tre si accodavano Seayne, che chiudeva la fila, temendo che uno Yoma stesse sobillando la gente, sondò la turba con la sua percezione, senza rilevare nulla.Giunte alla casa del Capo Villaggio, che si presentò come Harold, le tre rifiutarono cordialmente gli onori di casa e ascoltarono la storia dell’uomo. In un mese erano morte quindici persone, sei forestieri e nove abitanti del paese, uomini donne e bambini, di cui l’ultima, Jan il figlio del fornaio, era stato rinvenuto il giorno prima. Secondo il marito di una delle vittime, un estrattore di torba di nome Wit il quale, nonostante fosse praticamente sempre ubriaco dalla morte della moglie, aveva un gran seguito tra gli abitanti di Lore, la colpa era da attribuirsi a una famiglia di albini, la famiglia Whitby, la cui casa in paese era stata bruciata dagli abitanti esasperati e il capofamiglia Arthur, un cacciatore di animali notturni, era stato costretto a trasferirsi con la moglie Bianca e la figlia Candice in una casa nascosta nella foresta. Harold non credeva alla colpevolezza degli albini e, secondo lui, la colpa era da attribuirsi a un misterioso uomo avvolto in un mantello con cappuccio che era stato visto dal falegname del villaggio, morto poi anche lui, aggirarsi nei pressi di un luogo dov’erano state rinvenute alcune vittime.La prima idea di Saphelia fu quella di setacciare la foresta, interrogando però prima sia la famiglia Whitby sia Wit, nella speranza di ricavarne qualche indizio utile che potesse indirizzare le ricerche; Seayne si disse d’accordo proponendo di iniziare dai Whitby perché sperava che il suo aspetto albino avrebbe contribuito a ridurre i timori nei cuori della famiglia ostracizzata, mentre la sempre sorridente Alicia si dichiarava d’accordo e non vedeva l’ora di iniziare. La loro iniziativa però venne frustrata da mastro Harold.Infatti, temendo per se e per la propria famiglia, pur facendosi vedere in giro, Arthur Whitby non aveva rivelato a nessuno la locazione della sua nuova dimora e, se le guerriere volevano trovarla, avrebbero avuto bisogno di una guida tra i paesani per cercarla e, tra tutti questi, Harold indicò proprio Wit come il migliore, mostrandoglielo attraverso una finestra mentre arringava la folla e auspicando che le guerriere riuscissero nella loro missione affinché anche quell’uomo riuscisse a trovare pace.Saphelia decise di andare a parlamentare con la folla per cercare una guida, chiedendo alle due compagne di rimanere in casa per non turbare ulteriormente la gente e per non esasperarla a causa dell’aspetto albino di Seayne, scusandosi con la compagna per averlo pensato. Seayne liquidò la faccenda dichiarandosi d’accordo e affermando che lei e Alicia avrebbero tenuto d’occhio la situazione attraverso la stessa finestra dalla quale Mastro Harold aveva indicato loro Wit.Per un po’ era sembrato che tutto andasse bene… Seayne dalla finestra non riusciva a sentire quello che Saphelia, il Capo Villaggio e la folla dicevano. Certo, c’erano stati alcuni attimi concitati, soprattutto in uno scambio di battute tra Mastro Harold e Wit, ma tutto era sembrato svolgersi come era auspicabile… fino a un certo punto! Infatti, dopo uno scambio di battute tra Saphelia e Wit, quest’ultimo la prese per le braccia; la Caposquadra, forse non gradendo quel gesto, si tolse di dosso le mani dell’uomo e disse ancora qualcosa, arringando la folla… che evidentemente non prese bene quelle parole. Infatti, Seayne poté notare che la turba iniziò nuovamente a schiamazzare e, cosa che turbò Seayne non poco, iniziò a lapidare la compagna e il Capo Villaggio.Preoccupata per la piega presa dagli eventi, Seayne si precipitò fuori dalla casa, chiedendo ad Alicia di seguirla, ma quando le due arrivarono in strada, la situazione era ulteriormente degenerata. Infatti, probabilmente infuriata per il trattamento ricevuto, Saphelia era passata, per così dire, al contrattacco, picchiando tutti i paesani sui quali riusciva a mettere le mani, mentre Harold implorava le neo arrivate di fermare la furia della guerriera. Temendo che la Caposquadra potesse con la sua forza uccidere qualcuno, cosa che avrebbe comportato conseguenze nefaste per lei, Seayne zafferò Saphelia per le spalle, bloccandola, mentre ordinava ad Alicia di frapporsi tra loro e la folla la quale, comunque, se la stava dando a gambe e a Harold di cercare e proteggere Wit. Le parole urlate dalla caposquadra contro la folla, prima di calmarsi tra le braccia di Seayne, fecero intuire alla guerriera albina che, sicuramente, la sua compagna era stata provocata. Dopo alcuni momenti Saphelia si calmò e, rendendosi conto di cosa aveva fatto, si scusò con le sue compagne. Nel frattempo Mastro Harold avvisava che Wit era scappato.Cosa fare per rimediare? Seayne ebbe un’idea: annunciò a Mastro Harold che si sarebbe recata da sola a rendere omaggio alla salma del giovane Jan, chiedendogli di avvisare i suoi concittadini che lei era disposta a parlare con chiunque di loro avesse voluto veramente liberarsi dagli Yoma e promettendo solennemente, sotto la pace della chiesa, che non avrebbe fatto del male a nessuno. Saphelia e Alicia non ebbero di che obbiettare, ma entrambe sostennero la necessità di trovare un posto dal quale poterla tenere d’occhio, per essere pronte a intervenire in caso di necessità. Un rincuorato Mastro Harold si diresse così verso la chiesa, ritornandone poco dopo assieme a Padre Gerold, il loro sacerdote, che rivolse loro delle parole gentili, stranamente (almeno per Seayne) lieto per il loro intervento.Il prete le condusse dapprima in chiesa e poi in una cappella laterale dove giaceva la salma del giovane Jan, in attesa di essere preparata per il funerale e poi indicò loro uno sgabuzzino laterale, dal quale però si poteva udire tutto quel che veniva detto nella cappella, restando nascosti. Saphelia e Alicia vi si nascosero, mentre Mastro Harold andava ad avvisare la gente e Padre Gerold si ritirava.Rimasta sola, Seayne si ritrovò a fissare il volto del giovane e, mentre con una mano gli spostava una ciocca di capelli dal viso, la tensione gli giocò un brutto scherzo, facendo apparire il volto del giovane Jan simile a quello del suo amato Stephan! Una lacrima rigò il viso marmoreo della giovane, mentre realizzava quanto le mancasse il suo bell’attore ma, con uno sforzo di volontà Seayne si costrinse a concentrarsi nuovamente sulla missione.Passò molto tempo e Seayne stava per richiamare le compagne, quando la porta della cappella si aprì e apparve Wit, ubriaco come lo aveva descritto il Capo Villaggio, la cui prima preoccupazione era quella che non ci fosse la guerriera che aveva picchiato tutta quella gente poco prima. Dopo averlo rassicurato, Seayne iniziò a spiegare le sue ragioni, spiegando all’uomo che le guerriere come lei erano in grado di percepire gli Yoma se gli arrivavano sufficientemente vicine e quindi, se davvero la famiglia Whitby lo fossero stati, non ci avrebbero messo molto a capirlo e, di conseguenza, a eliminarli. Ma nonostante tutta la passione che Seayne aveva messo nelle sue parole, l’ubriacone non si fidò e le ribatté che, se le tre volevano il suo aiuto, avrebbero dovuto cercare e portargli una prova della colpevolezza degli albini, una prova che, ragionò a posteriori Seayne, non serviva a convincere lui, ma le tre guerriere: in pratica, Wit le avrebbe aiutate se le guerriere gli avessero dimostrato di essere convinte della colpevolezza dei Whitby, così come lo era lui.Al momento però, la presa di posizione da parte di Wit risultò frustrante per Seayne, la quale troncò la discussione e, dopo aver aspettato che Wit se ne andasse, raggiunse le compagne e tutte e tre assieme decisero di provare a cercare le prove suddette.Ma da dove cominciare? Le tre decisero di comune accordo di iniziare dai resti della casa dei Whitby; Padre Gerold si offrì di accompagnarle, ammonendole però che della casa rimaneva ben poco. Giunte sul luogo le guerriere scoprirono che il prete non aveva esagerato: della casa non rimaneva altro che pochi ruderi anneriti dal fumo. Seayne però non si arrese. La guerriera albina estrasse la claymore e, mettendo piede tra i ruderi, nonostante sembrava non ci fosse nulla, iniziò a sondare l’area con la percezione, spostando le macerie con la spada e chiedendo alle compagne di fare altrettanto. Le altre la imitarono e tutte e tre passarono al setaccio il luogo. Fu Alicia a scoprire qualcosa: un cardine di una finestra che emanava una debole traccia di Yoki. Le altre due guerriere si strinsero attorno per esaminare l’oggetto. Nel vedere questo Padre Gerold, anche lui convinto dell’innocenza dei Whitby e timoroso che le guerriere potessero aver invece trovato una prova del contrario, iniziò a dare segni di nervosismo e, parlando, si fece sfuggire una frase che insospettì Alicia: pressato dalle domande delle guerriere, Padre Gerold rivelò che, dopo l’incendio, il Capo Villaggio aveva dato disposizione affinché tutti gli oggetti rimasti venissero raccolti e conservati, per poterli poi restituire ai Whitby quando la faccenda fosse stata chiarita. Gli oggetti in questione erano custoditi da Mastro Harold stesso.Tutti assieme, guerriere e prete, ritornarono quindi alla casa del Capo Villaggio, ove Padre Gerold gli disse che le guerriere avevano bisogno di esaminare gli oggetti dei Whitby. Anche se non ne capiva la necessità, mastro Harold diede il suo consenso e condusse tutti nella sua soffitta, ove custodiva il baule che conteneva gli oggetti raccolti alla casa dei Whitby. Bastò aprirlo e le tre guerriere percepirono l’aura demoniaca provenire dal suo contenuto. Il che dissipò ogni dubbio residuo che le tre potevano avere nei confronti della famiglia albina… o no? Seayne confidò a Saphelia un dubbio che le frullava in testa da un po’: fidandosi ancora delle parole del Capo Villaggio, la guerriera albina ipotizzò che soltanto uno dei Whitby potesse essere uno Yoma e, visto la stanza dove avevano ritrovato il cardine contaminato e gli oggetti contenuti nel baule, i suoi sospetti convergevano sulla moglie: Bianca Whitby! Questo però poteva porre un problema: visto il numero dei morti, se lo Yoma fosse stato uno solo, significava che aveva una fame notevole, il che faceva pensare a una bestia della quale Seayne aveva sentito parlare in allenamento: uno Yoma particolarmente forte, feroce e scaltro, un Divoratore!Saphelia riconobbe che la teoria stava in piedi, ma rassicurò le compagne affermando che già due volte aveva affrontato creature simili. Il fatto che fosse là a raccontarlo rassicurò Seayne. La Caposquadra si prese qualche minuto per curarsi il lividi riportati durante la lapidazione, poi le tre guerriere decisero di recarsi da Wit per chiedere nuovamente il suo aiuto, mentre il Capo Villaggio, Mastro Harold, visto il comportamento del trio e grazie al supporto morale di Padre Gerold realizzava che i Whitby, che lui aveva sempre difeso da ogni accusa, probabilmente erano gli Yoma.Il sacerdote accettò di accompagnare le guerriere alla casa di Wit e, quando vi giunsero, il perennemente ubriaco estrattore di torba, le accolse con il boccale in mano, attendendo la loro risposta. Saphelia, forse ritenendo di non essere la persona più adatta a trattare con quell’uomo, sospinse gentilmente Seayne alle spalle, quasi a invitarla a parlare in sua vece. Stupita e inorgoglita dalla fiducia dimostratale dalla Caposquadra, la guerriera albina avanzò di un passo verso Wit ed esibì tre oggetti che aveva in precedenza prelevato dal baule, affermando che erano stati raccolti dalla casa dei Whitby e che erano impregnati dal potere degli Yoma. Loro tre erano oramai convinte che gli albini fossero i colpevoli, ma avevano bisogno di lui per trovarli.Fosse che Wit avesse creduto a Seayne, fosse che lei e le altre gli avevano dimostrato di essersi veramente impegnate, fino al ritrovamento delle prove, fosse che temeva un’altra bastonata da Saphelia, in ogni caso l’uomo finì la sua birra, rientrò in casa e ne uscì completamente vestito, facendo strada alle guerriere nel bosco, mentre Padre Gerold rimaneva in paese. Lungo la strada Seayne, nata e cresciuta nei boschi del nord, non poté non ammirare l’abilità di Wit nel destreggiarsi lungo il percorso e aguzzò lo sguardo, cercando di carpire qualche trucco dall’estrattore di torba il quale, giunto a un certo punto, fece fermare la comitiva, asserendo di voler far vedere loro una cosa. Prese da una sua bisaccia alcuni stracci di cuoio annodati e li scagliò lungo il sentiero, facendo scattare tre tagliole nascoste: trappole per animali, asserì Wit, spiegando che i suoi sospetti nei confronti dei Whitby erano stati confortati dopo che aveva visto i segni delle tagliole sul corpo del giovane Jan. Dopodiché rassicurò le guerriere sul fatto che, oramai, il terreno non permetteva più di piazzare trappole, perché di lì a poco iniziava una palude, una palude profonda nella quale gli albini avevano piazzato delle passerelle per giungere a casa loro. Dopodiché Wit si congedò da loro, affermando di attendere loro notizie in paese.Seayne si scusò con la Caposquadra perché, pur avendone avuto l’occasione, aveva tralasciato di esaminare il cadavere del giovane, subito perdonata da Saphelia. A ulteriore conferma dei sospetti sulla famiglia albina, anche le tagliole emanavano Yoki. Dopo un veloce conciliabolo sul da farsi, le tre decisero di seguire il suggerimento di Seayne la quale propose di cercare di allestire una trappola per gli Yoma, per attirarli fuori dalla loro capanna, fingendo che una di loro fosse stata presa dalle tagliole, piuttosto che attaccare allo sbaraglio un posto dove gli Yoma sarebbero stati indubbiamente in vantaggio. Saphelia si propose come “vittima sacrificale” ma Seayne, con la scusa di voler evitare ogni rischio per la caposquadra, corse nel luogo ove erano sistemate le tagliole e si ferì leggermente alle braccia, inzuppando le maniche della tuta, in modo tale da rendere più credibile l’inganno per gli Yoma,aggiungendovi l’odore del suo stesso sangue. Saphelia inizialmente non prese bene quel gesto, ma non per l’insubordinazione di Seayne ma perché animata dalla sincera volontà di proteggere le sue compagne: la stessa motivazione che aveva spinto Seayne a compiere quel gesto… Le due si chiarirono immediatamente ma Saphelia fece valere i suoi gradi di Caposquadra e rivendicò per sé il ruolo di esca; vista l’impossibilità di convincere la compagna, Seayne si strappò di dosso le maniche insanguinate e, dopo aver rigenerato i tagli, asciugò il sangue residuo col suo mantello, gettando il tutto nel punto ove si trovavano le tagliole, lo stesso punto dove si stese Saphelia, iniziando a urlare e tenendo vicino la sua claymore, mentre Seayne e Alicia si nascondevano sugli alberi.L’attesa fu lunga, ma alla fine gli sforzi delle tre guerriere furono premiati. Infatti, dalla sommità di un dosso che segnava il confine della palude tre figure: un uomo, una donna e una bambina vennero a controllare chi stesse urlando e riconobbero Saphelia per quello che era: una guerriera Claymore. La donna parve confusa e intimidita dalla presenza della Caposquadra, mentre l’uomo gongolò per averne, apparentemente, presa una in trappola. Ma la “bambina” non si fidò: percependo nell’aria che l’odore di sangue non veniva da una direzione precisa, decise di far scattare la trappola rivelandosi per quello che era, uno Yoma, e scagliando le sue dita artigliate contro Saphelia, facendo loro percorrere una traiettoria a parabola.Preoccupata per la Caposquadra, Seayne attinse allo Yoki e si lanciò dal suo nascondiglio, spada ben stretta tra le mani, tranciando al volo tre dei cinque artigli del mostro e atterrando a destra di Saphelia, la quale aveva schivato ruzzolando gli artigli rimasti e arrestandosi contro il corpo della guerriera albina, mentre Alicia, con molto coraggio, si gettava in mezzo agli Yoma. Confusa e intimidita da quanto stava accadendo, lo Yoma-Bianca reagì d’istinto, scagliando tutti e dieci i suoi artigli in direzione di Saphelia e Seayne; la prima reagì abbassandosi e la seconda saltando sopra la traiettoria, con l’intento di tranciare quante più “dita” avesse potuto durante la ricaduta. Per sua fortuna la guerriera albina aveva tenuto d’occhio lo Yoma-Candice, temendo che lei fosse la vera mente del gruppo, e fece bene perché la mostruosa bambina cercò d’intercettarla al volo con due artigli, che Seayne parò col piatto della sua claymore, perdendo però l’equilibrio e finendo addosso alla Caposquadra.Evidentemente temendo la velocità di Seayne, lo Yoma-Candice riorganizzò la sua “squadra”, spedendo contro Seayne lo Yoma-Maschio, colui che una volta era stato Arthur, non senza proteste da parte di quest’ultimo, che però ubbidì, mentre lo Yoma-Bianca si scagliava su Alicia. Seayne, rialzatasi nel frattempo, si gettò subito alla carica dello Yoma-Arthur, cercando di non dargli il tempo di ragionare e tentando di utilizzare la stessa mossa con la quale aveva atterrato Alicia la prima volta in arena. Ma Saphelia, tentando di schivare l’attacco dello Yoma-Candice diretto su di lei, tentò a sua volta di gettarsi sullo Yoma-Arthur, ma alcuni artigli la sbilanciarono e lei finì col cadere addosso al suo bersaglio, finendo a terra con lui. Se Seayne fosse stata un po’ più umile, avrebbe forse pensato di arrestare la sua carica o cercato di cambiare bersaglio in corsa, ma non lo fece, sopravvalutando nuovamente le sue capacità, col risultato di finire anche lei a terra assieme alla Caposquadra e allo Yoma.Stupita e divertita dalla goffaggine delle avversarie, lo Yoma-Candice ordinò al compagno di tenere ferme le due guerriere, mentre lei scagliava nuovamente i suoi artigli contro di loro; le due guerriere non furono leste a districarsi e finirono afferrate entrambe per una gamba. Conscia del pericolo Seayne aumentò lo Yoki che le scorreva nelle vene, poi si piegò sul busto e menò un fendente che recise il braccio dello Yoma che la teneva ferma, mentre Saphelia riusciva a sua volta a districarsi ma, nonostante la guerriera albina avesse cercato di ruzzolare via, venne colpita da due artigli: uno alla gamba sinistra e uno in pieno stomaco! Gli artigli vennero ritratti di scatto, facendo sanguinare le ferite e infliggendo a Seayne un dolore lancinante e la terribile sensazione di rivivere quanto accadutole nel villaggio di Trem. Lo Yoma-Arthur si lamentava per l’amputazione, ma venne rimesso in riga da Candice, che gli ordinò di calmarsi e gli lasciava il compito di finire la sofferente guerriera albina, mentre lei si concentrava sulla caposquadra.Forse perché stordita dal dolore, Seayne credeva che l’avversario avrebbe cercato di travolgerla con una carica e si teneva pronta a reagire, ma lo Yoma-Arthur le scagliò invece contro gli artigli che gli erano rimasti, artigli che quasi tutti rimbalzarono sullo spallaccio dell’armatura, tranne uno, che le si conficcò nel bicipite destro, rendendo di fatto inutilizzabile il suo braccio dominante. Infuriata con se stessa e col suo avversario, utilizzando la mano sinistra, Seayne riuscì a tranciare tutti gli artigli rimasti allo Yoma-Arthur e, avendo notato che lo stesso era facilmente incline all’ira e temendo che lo stesso potesse fuggire ora che era “disarmato”, la guerriera albina iniziò a insultarlo, col risultato di provocare una carica da parte dello Yoma, diretta contro di lei.Dal momento che lo Yoma avrebbe potuto, ridotto com’era, soltanto prenderla a calci o tentare un affondo con le zanne della bocca Seayne, sempre tenendo la spada con la mano sinistra si preparò a contrastare entrambe le eventualità ma il suo fendente, non molto preciso per ovvi motivi e ulteriormente sballato dalla corsa disordinata dello Yoma-Arthur, colpì l’avversario alle costole e gli fece perdere l’equilibrio e cadere su di lei. Indomita, Seayne cercò di colpirlo alla testa con l’elsa acuminata della sua claymore, ma il colpo rimbalzò sul solido cranio dello Yoma, facendolo però scivolare sulla destra della guerriera la quale, facendo ricorso alle sue forze residue, riuscì a sfilarsi da sotto lo Yoma-Arthur quel che bastava per portare un ultimo, disperato fendente al collo dell’avversario il quale, stavolta, non riuscì né a pararlo né a schivarlo, finendo quindi decapitato.La gioia per la vittoria calmò la rabbia di Seayne la quale, conscia di essere quasi allo stremo, ridusse drasticamente il livello di Yoki, trattenendone solo una minima frazione per cauterizzare il dolore delle ferite ma, poco dopo, la guerriera albina si accorse che i rumori della battaglia erano cessati… Era forse tutto finito? E, se sì, con che esito?La gioia della vittoria venne rimpiazzata dall’ansia per la sorte delle compagne. Ignorando dolore e stanchezza Seayne si rimise in ginocchio e si diede un’occhiata attorno: non ci mise molto a individuare Alicia, a poca distanza da lei, inginocchiata vicino a un groviglio informe, da sotto al quale spuntavano gli stivaletti metallici di un’altra guerriera, che non poteva essere altri che Saphelia. Seayne gridò il nome delle compagne col poco fiato che le rimaneva, compiendo uno sforzo supremo per rialzarsi in piedi, usando la sua claymore, sempre tenuta nella mano sinistra, come bastone per puntellarsi e dirigersi verso le compagne. Il suo istinto le suggeriva che c’era qualcosa che non andava, ma lei era troppo esausta e dolorante per capirlo a quella distanza… Lentamente, troppo lentamente secondo lei, a causa della sua gamba ferita, Seayne raggiunse le compagne e le bastò un’occhiata per comprendere la terribile realtà: lo Yoma-Candice era stata decapitata, ma aveva fatto in modo di trascinare con sé la sua avversaria! Con orrore Seayne vide che la carcassa dello Yoma, ancora sopra il corpo della caposquadra, prima di morire aveva piantato gli artigli che le erano rimasti nel collo di Saphelia, lacerandone tutte le vene… Il respiro gorgogliante della compagna lasciava pochi dubbi: Saphelia stava morendo…Seayne tentò di fare qualcosa per aiutare la compagna, per cercare di estrarle gli artigli dal collo, ma tutto fu inutile e, comprendendo di non poter fare più nulla per Saphelia, Seayne cominciò a piangere disperata, chiedendo il perdono della sua Caposquadra per non aver saputo aiutarla. Saphelia, con le ultime forze, riprese fermamente la sua compagna, assumendosi la responsabilità di tutto quanto accaduto e, quando sentì che Seayne le aveva preso la mano, ringraziò di tutto le sue compagne, chiamandole amiche e, dopo essersi rivolta con l’ultimo anelito di vita ai suoi cari, Saphelia spirò.Seayne aveva avuto poco tempo per conoscere Saphelia, tuttavia aveva cominciato ad ammirarla, spinta anche dal fatto che Saphelia le era sembrata l’incarnazione dell’aspetto più triste e cupo del suo animo. Per questo non aveva mai osato giudicarla, sarebbe stato come giudicare se stessa! E ora la guerriera albina si sentiva come se un altro pezzo della sua anima le fosse stato strappato via. No, non avrebbe lasciato il suo corpo alla mercé degli spazzini del bosco, non l’avrebbe lasciata lì a marcire. Alicia sembrava ancora sconvolta da quanto accaduto, ma Seayne le consigliò lo stesso di guarire le sue ferite, cosa che fece anche lei. Una volta rigeneratasi, Seayne scavò una tomba per l’amica sulla piccola altura che dominava la palude e, dopo avervi deposto il corpo della Caposquadra, vi conficcò la sua claymore la quale, come da tradizione, le avrebbe fatto da lapide. Dopodiché rivolse una preghiera per l’amica rivolta alla Grande Stella del Nord e, dopo alcuni istanti di raccoglimento, intonò una canzone di commiato, per accompagnare l’ultimo viaggio dell’amica.A quel punto, non rimaneva molto altro da fare. Conoscendo oramai la diffidenza degli abitanti di Lore, Seayne raccolse le “prove” della loro vittoria, ovvero le teste dei tre Yoma e, utilizzando quel che rimaneva del suo mantello, ne fece un fagotto che aveva intenzione di esibire al cospetto dei paesani dopodiché, seguita dalla sempre silente Alicia, per la quale iniziava seriamente a preoccuparsi, iniziò a scendere verso il paese, ai margini del quale trovarono Wit ad attenderle: Seayne gli indicò il sacco con le teste degli Yoma e lo ringraziò per il suo aiuto.Non aveva sbagliato, Seayne, nell’intuire che avrebbe avuto bisogno delle teste mozzate dei tre Yoma.Infatti, come prima cosa, Wit diede un'occhiata alle tre teste contenute nel fagotto, poi lo riavvolse e se lo caricò in spalla. Poi fissò le due guerriere con i suoi occhi da ubriaco, osservando che, all’inizio le guerriere erano in tre… Sembrava che Wit avesse avuto ancora quel minimo di lucidità per evitare commenti inappropriati, almeno in quel momento. Ma in realtà i pensieri dell’estrattore di torba erano rivolti in tutt’altra direzione, ovvero al fatto che avesse avuto ragione a proposito dei tre albini che gli avevano ucciso la moglie e che ora, al villaggio, lo avrebbero saputo tutti. Con quel commento, Wit voltò le spalle alle due guerriere e se ne tornò verso il villaggio, incurante della loro presenza.Il primo impulso di Seayne fu di seguirlo, ma… fatto il primo passo, si bloccò… Assistere a un’ennesima lite tra i cittadini di questo posto non le avrebbe portato alcuna gioia, senza contare che, se le cose avessero preso una brutta piega, i cittadini infuriati se la sarebbero potuta prendere anche con le due guerriere. E poi Alicia non si era ancora ripresa da quanto successo. Sarebbe poi stato del tutto inutile spiegare ai paesani che i Whitby erano stati probabilmente le prime vittime degli Yoma, dal momento che, su tutto il resto, Wit aveva avuto ragione. Nonostante l’ubriaco estrattore di torba non le piacesse come persona, Seayne doveva riconoscerne le ragioni- Era meglio lasciare che gli umani se la sbrigassero tra di loro, in fondo a lei non importava cosa fosse successo a Lore. Gli Yoma erano morti, il villaggio era al sicuro, l’ultima parola spettava ai capi.Poi Seayne guardò Alicia… L’amica sembrava invece non aver ancora superato il trauma della morte di Saphelia… anche questo fatto contribuì a rafforzare la decisione di Seayne di tornare subito a Staph.    

 

 
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31-01-2014, 10:22 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 17-02-2015 10:05 PM da Nardo.)
Messaggio: #7
RE: [In Attesa] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO VI: Allenamento con Angela

Era mezzogiorno di una giornata calda, col sole che splendeva nel cielo senza traccia di nubi, quando Seayne, desiderosa di distrarsi, almeno per un po’ dal ricordo della morte di Saphelia, della quale aveva appena ereditato il Numero, il 23, decise di recarsi nell’arena per allenarsi con una compagna…
Non dovette nemmeno lanciare una sfida perché, poco prima di lei, si era fatta avanti la Numero 23, Angela; nonostante il divario tra le due, Seayne accettò l’invito: in fondo, solo affrontando avversarie migliori di lei la guerriera albina avrebbe potuto migliorarsi.
Angela, il cui sguardo sembrava, se possibile, ancora più duro e freddo di quello di Saphelia, almeno per il momento non si rivelò essere una persona molto loquace, così le due guerriere iniziarono a dirigersi verso l'ingresso dell'arena vera e propria, dove incrociarono un gruppo di accoliti che portavano delle pale sporche di terra e sembravano reduci da un duro lavoro. Il più anziano dei quattro disse loro che era tutto pronto e così, presa una claymore da allenamento, Seayne seguì la compagna all'interno e capì il perché di quelle pale sporche! Infatti, proprio al centro dell'area, quegli uomini avevano scavato una buca che, a occhio e croce era larga un paio di metri e profonda altrettanto. Considerando l'ora e il caldo, non c'era da stupirsi dell'aspetto provato di quegli uomini.
Seayne rimase interdetta per alcuni istanti, fissando la fossa. Poi udì Angela borbottare qualcosa e, guardandola, si accorse che stava fissando gli spalti e seguendone lo sguardo, Seayne vide un'unica presenza, colui che probabilmente avrebbe arbitrato il duello: un uomo che indossava delle pesanti vesti nonostante il caldo, e il cui volto era immerso nell'oscurità  del suo cappuccio. Pur non avendolo mai incontrato di persona, da quello che aveva sentito dire, Seayne era convinta di trovarsi al cospetto di Mastro Duncan il quale diede inizio allo scontro.
Prima che Seayne potesse dire o fare qualcosa, Angela si mise in posizione, mentre Seayne si affrettò a farlo a sua volta, cercando di sistemarsi in modo tale che lei, la buca e Angela formassero i vertici di un triangolo, con Angela davanti e a destra della guerriera albina e la buca davanti a sinistra.
Fece appena in tempo a schierarsi che Angela partì immediatamente all'attacco, brandendo la spada con due mani e facendola roteare, probabilmente tentando di non far capire a Seayne da che parte avrebbe fatto partire il colpo. Seayne, tenendosi sempre in guardia e pronta a parare, attese che l'avversaria arrivasse quasi al limite della sua portata, per liberare un po' di yoki e fare un piccolo balzo alla sua destra  quel che bastava per mettersi fuori tiro e sperando che Angela, trascinata dall'impeto della sua stessa rincorsa la sorpassasse e/o si sbilanciasse, la guerriera albina avrebbe a quel punto eseguito un altro piccolo controbalzo, stavolta sulla sua sinistra, ruotando velocemente su se stessa e  abbassandosi sulle ginocchia per cercare di colpire la sua avversaria da dietro all'interno dell'incavo del ginocchio sinistro di Angela.
Il colpo di Angela andò vicino, forse anche troppo ma, cosa peggiore, l’avversaria di Seayne era rimasta sul posto il che aveva mandato in fumo buona parte del piano della guerriera albina. Tuttavia un seppur  minimo risultato Seayne l’aveva raggiunto: la gamba sinistra di Angela si era un po’ piegata, sbilanciando leggermente l’avversaria sulla di lei sinistra… Cercando di approfittarne, Seayne, ricorrse a un po’ di Yoki per tentare di scivolare alle spalle di Angela, cercando  di colpirla all’interno del ginocchio destro con un fendente di taglio della spada, nella speranza di farla cadere, saltando via subito dopo, indipendentemente dal risultato dell’attacco, per evitare una possibile risposta di Angela e per rimettersi in guardia.
Angela, riuscì a mandare a vuoto il colpo di Seayne, rotolando via da lei quel che bastava per evitare il fendente anche se, per contro, anche il suo colpo in risposta non aveva tagliato altro che aria. Così le due avversarie si trovavano nuovamente a fronteggiarsi a un paio di metri di distanza, con la buca che incombeva poco distante, alla sinistra della guerriera albina, pronta a scattare.
Però, all’improvviso, a Seayne  tornarono in mente le critiche di Duran al suo duello precedente e decise di correre un rischio: Angela non si era ancora girata completamente, esponendo il fianco sinistro e Seayne aumentò ancora lo yoki afferrando la claymore con entrambe le mani e scattò con tutta la velocità di cui era capace, per portarsi a tiro del  fianco sinistro di Angela per tentando di colpirla con un fendente di taglio alle costole o al gomito del braccio sinistro, se la Numero 17 lo avesse ripiegato per proteggersi, con una forza pari al suo livello normale, per evitare di infliggerle danni troppo gravi nel caso il fendente fosse andato a segno, pensando  di fare poi un piccolo balzo indietro per sottrarsi alla probabile risposta dell’avversaria, se l’attacco fosse fallito… e questo fu un errore!
Angela, come aveva preventivato Seayne, aveva ritratto il braccio sinistro per proteggersi il fianco ma, indubbiamente, la guerriera albina aveva sottovalutato la forza fisica dell’avversaria la quale non solo aveva praticamente parato il colpo col braccio, ma rispose replicndo con un violento fendente laterale che le fratturò l’omero, facendola volare a terra a un paio di metri di distanza. A Seayne sfuggì un gridò di dolore non appena colpì il suolo e l’impatto riverberò attraverso il suo corpo, fino alla spalla offesa. La guerriera albina era “atterrata” sul fianco destro, ma si lasciò subito dopo scivolare sulla schiena, tentando di riprendere fiato e gemendo leggermente… Seayne era confusa, non si capacitava del perché Angela avesse replicato con tanta violenza: in fondo Seayne, pur essendo più debole della media delle compagne, aveva utilizzato lo yoki solo per guadagnare ulteriore velocità, non per infliggere maggior danno ad Angela la quale, evidentemente, non intendeva ricambiare il favore.
Questo fatto causò a Seayne un accesso d’ira che le fece riprendere coraggio: notò che Angela le si avvicinava ostentando sicurezza, quella sicurezza che la loro differenza di forza e di grado probabilmente le dava… Seayne rinserrò la presa della mano destra sull’elsa della sua claymore e allungò il braccio in modo che fosse esteso sul terreno e perpendicolare al suo corpo, rimanendo per il resto totalmente passiva. Perso per perso, voleva tentare un’ultima sorpresa, lasciò cosi avvicinare l’avversaria…
La Numero 17 si accostò alla guerriera albina, la quale vide muoversi la lama avversaria che si dirigeva verso il suo collo. La regola diceva che non si poteva tentare di uccidere un’avversaria nell’arena: questo, il fatto che la lame fossero senza filo e che, apparentemente, non le sembrava che Angela stesse caricando un colpo, rendevano Seayne sicura che l’avversaria non poteva decapitarla e ciò la spinse ad attendere ancora. Infatti Angela si limitò ad appoggiarle la claymore sul collo, svettando su di lei e chiedendole nel contempo ad alta voce se voleva arrenersi: a quel punto Seayne fece la sua mossa: stringendo i denti per sopportare ancora per un po’ il dolore, innalzò ancora di più il suo yoki e, mentre il suo fisico si gonfiava le urlava contro il suo diniego, vibrando poi un ultimo colpo con la spada di taglio, con tutta la forza, la velocità e la precisione di cui era capace, cercando di impattare il polso della mano che reggeva la spada avversaria subito sotto il bracciale dell'armatura. Questa volta Seayne non trattenne la forza del colpo: se voleva infliggere un danno ad Angela o, quantomeno, tentare di disarmarla, doveva dar fondo a tutto quello che aveva, e doveva farlo in quel preciso momento. Sapeva che, probabilmente, non avrebbe avuto un’altra possibilità. Il colpo non andò esattamente come Seayne aveva sperato, ma almeno la precisione del fendente aveva avuto l’effetto di disarmare Angela, la cui pesante claymore le piombò però sul petto, causandole un probabile livido sui suoi poco pronunciati seni e procurandole un’altra fitta alla spalla fratturata: Seayne gemette, mentre cercava con tutte le sue forze di rimanere lucida...
Passato l’attimo di smarrimento, dovuto forse alla sorpresa alla reazione della guerriera albina, Angela sembrava comunque non aver risentito in maniera particolare del colpo subito. A quel punto, Seayne sapeva che la reazione di Angela non si sarebbe fatta attendere, infatti, punta sul vivo, la Numero 17 iniziò a rilasciare altro Yoki, fissandola con gli occhi dorati e snudando i denti che la trasformazione aveva mutato in zanne. La situazione stava per precipitare, mentre Angela iniziava a piegare le gambe: probabilmente voleva chinarsi su di lei per colpirla. Seayne sapeva di non poter reggere a un colpo del genere e reagì d’istinto: appoggiò rapidamente a terra il braccio destro, senza mollare la spada e, puntellandosi sull’avambraccio e sulla gamba sinistra, piegata in modo da poggiare la pianta del piede a terra, con uno scatto di reni sferrò un calcio a tutta forza con la gamba destra, cercando di colpire Angela al costato non protetto dall’armatura, nel disperato tentativo di scrollarsela di dosso o, almeno di evitare di essere colpita.
Fu tutto inutile! Il pugno di Angela colpì Seayne in pieno volto, fracassandole letteralmente la faccia e facendola cadere al suolo come un sacco di patate… Il dolore fu talmente intenso che la guerriera albina perse quasi i sensi, sentendo in bocca il sapore del sangue che le colava fuori dal setto nasale fratturato… la sua vista era offuscata dalle lacrime che sgorgavano dai suoi occhi a causa del trauma facciale che aveva riportato e aveva l’impressione che uno sciame di vespe avesse deciso di fare il nido nella sua testa.
Nonostante ciò, Seayne riuscì a udire gli aspri rimproveri che Mastro Duncan rivolse prima ad Angela e poi a lei, nonché il saluto “Stammi bene, Seayne!” che Angela le rivolse prima di congedarsi: era sincera? Oppure aveva aggiunto la beffa al danno? Seayne non avrebbe saputo dirlo, non in quelle condizioni…
A un certo punto, nonostante la vista parzialmente offuscata, Seayne si accorse che il sole non era più nella stessa posizione… Probabilmente era svenuta per qualche tempo. Nessuno le aveva offerto aiuto ma Seayne nemmeno lo chiese. Arrabbiata, forse più con se stessa che con altri, Seayne si fece forza e si alzò… appoggiò la mano destra sul volto per nascondere la menomazione e, con ciò che le rimaneva di forza, barcollò fino al suo alloggio. La guerriera albina non avrebbe saputo dire se qualcuno l’avesse vista in quello stato e, a dirla tutta, non le importava poi molto. Raggiunta la sua celletta, chiuse la porta alle sue spalle e si afflosciò sul giaciglio, iniziando subito la rigenerazione: prima il volto, poi la spalla e infine il petto. Fece le cose con calma, prendendosi il tempo necessario. Al tramonto era tornata come prima, si era riposata un po’ e si era data una bella ripulita. Osservando il sole che calava dalla finestrella del suo alloggio, ripensò al rimprovero di Mastro Duncan e se ne vergognò, sentendo di aver disonorato la memoria di Saphelia, della quale portava il numero: la guerriera albina si sentiva come se avesse tradito la sua amica.
Ma poi, a poco a poco, le lacrime della guerriera albina scemarono, quasi come se lo spirito della compagna fosse venuto a confortarla, mentre sentiva una nuova speranza nascere in lei. Comprese che doveva aumentare la sua forza, non tanto per rivalsa nei confronti di Angela, ma per sopravvivere alle sfide e ai pericoli che la sua posizione in graduatoria avrebbero comportato.
Tuttavia, poter un giorno tentare di prendersi la rivincita nei confronti di Angela, era un pensiero allettante e a questo pensava quando, uscita nel corridoio, osservò le porte delle varie cellette, cercando di indovinare quale fosse quello della Numero 17…

I am the one, the only one! I am the god of kingdom come! Gimme the prize!
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16-02-2015, 11:01 PM
Messaggio: #8
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO VII: NASCOSTO NEL BUIO II

Seayne ebbe alcuni giorni a disposizione per recuperare dalla sonora batosta inflittale da Angela e meditare sulle parole di Mastro Duncan, prima di venire nuovamente chiamata alle armi.

La guerriera albina ebbe così modo di fare la conoscenza di un altro supervisore: Kelsier, il quale si presentò (inserisci descrizione). Assieme a lui c’era un’altra guerriera, la Numero 31: Olivia, la quale sarebbe stata la sua compagna per questa missione. Presentatasi educatamente, Seayne passò ad ascoltare le istruzioni dell’uomo in nero. Kelsier allora disse loro che la richiesta proveniva dalla città di Durenor, nelle Terre Centrali, verso la quale erano già stata inviate due guerriere: la loro missione però si era risolta con un fallimento e la morte di una delle due. La nuova richiesta informava che il male era ancora presente e che sembrava addirittura che si fosse formata una vera e propria setta con occhi e agganci in tutti i livelli sociali della città. Per questo motivo, le due guerriere sarebbero state inviate laggiù opportunamente camuffate per non farsi riconoscere e, una volta là, avrebbero dovuto prendere contatto con una vecchia guardia cittadina di nome Jason, che le avrebbe attese alla taverna del “Tasso che Ringhia”, per fornire loro ulteriori istruzioni. A parte Seayne la quale, tra le due, era quella col grado più elevato, Kelsier affermò che Olivia era stata appositamente scelta per essersi ben comportata in un’altra missione sotto copertura. Cosa che tranquillizzò molto la guerriera albina. La competenza di Olivia si fece subito sentire quando, invitate dal superiore a esporre i loro suggerimenti per intrufolarsi a Durenor, Seayne ammise che l’idea della compagnia era più verosimile della sua ma, in realtà, Kelsier aveva solo scherzato con le due guerriere, infatti aveva già predisposto tutto. Prima di iniziare la missione infatti, le due guerriere avrebbero dovuto recarsi prima a Nord, presso la città di Holmgard, là avrebbero preso contatto con delle persone al soldo dell’Organizzazione le quali, oltre a fornire loro ulteriori istruzioni, le avrebbero preparate al ruolo che avrebbero dovuto interpretare sotto copertura: quello di due cortigiane! Dopo aver fornito alle due una cospicua riserva di pillole inibitrici dello Yoki, Mastro Kelsier congedò le due guerriere, ammonendole che non sarebbero stati tollerati errori e intimando loro di partire immediatamente.

Una volta fuori dalla vista delle mura di Staph, Seayne ritenne opportuno ripresentarsi alla compagna in maniera meno frettolosa e, non volendo far pesare il suo ruolo di caposquadra, disse a Olivia che, a missione iniziata, avrebbe voluto sapere qualunque idea le fosse passata per la testa. Quindi le due proseguirono per la loro strada con la compagna che, trovandosi evidentemente a suo agio fuori dalle mura, iniziò a fischiettare allegramente, accompagnando così il ritmo della loro marcia, con Seayne che reggeva il passo senza profferire parola, apprezzando la sensazione di allegria che il fischiettare di Olivia le instillava. Dopo due giorni di cammino, le due compagne giunsero finalmente in vista delle massicce mura di Holmgard, laddove si accorsero che l’ingresso alla città era ostruito da una lunga fila di persone che attendevano di entrare. Seayne decise di non attendere e, facendo segno a Olivia di seguirla, si diresse risolutamente verso la fila: spinta da un pizzico di malizia, voleva infatti mettere alla prova le persone accodate all’ingresso: era convinta infatti che i pregiudizi della gente nei confronti delle guerriere avrebbe fatto sì che la gente avesse ceduto il passo, pur di non avere nulla a che fare con loro. Prima però che la teoria di Seayne venisse messa alla prova, le due vennero intercettate da un piccolo uomo riccamente vestito e con le mani curate e ingioiellate. Egli si presentò come Bernard Michael Morhaime II° ed era effettivamente l’uomo incaricato dall’Organizzazione per prepararle alla missione: le due sarebbero state sue ospiti finché i preparativi non fossero stati ultimati. Nessuno fece domande né si oppose quando Mastro Bernard le condusse dentro le mura.

Il loro ospite le condusse attraverso le ampie vie cittadine, facendo loro da guida, decantando le bellezze della città a mano a mano che procedevano lungo la strada. Seayne fu colpita dalla varietà di profumi, rumori e immagini che via via la avvolsero, finché il gruppo giunse all’inizio di un massiccio ponte che separava la parte alta della città dal resto: la casa di Bernard doveva ovviamente trovarsi in quella zona. Così, oltrepassato il ponte, il terzetto si ritrovò in un quartiere composto da case imponenti e da strade lastricate in marmo nel quale si inoltrarono finché Seayne, persa nella contemplazione di quanto la circondava, non si accorse che erano giunti davanti alla sontuosa dimora del loro temporaneo mentore.

Ad attenderle c’era un altro uomo, magro e con dei baffetti piegati all’insù che accolse il suo padrone e le sue ospiti con un inchino: dalle sue parole e dalle risposte di Bernard, Seayne intuì che il nuovo arrivato, che era stato loro presentato come Alfred, doveva essere il maggiordomo o il capo della servitù. Bernard lasciò le due guerriere alle sue cure e Alfred si mise immediatamente a loro disposizione. Seayne chiese il permesso di potersi fare un bagno ed evidenziò al maggiordomo la necessità di tingere i suoi lunghi capelli bianchi per dare meno nell’occhio, riservandosi la possibilità di avanzare ulteriori richieste una volta conosciute nel dettaglio le istruzioni di Kelsier. Mentre Olivia le chiedeva di unirsi a lei per il bagno, Alfred lei informava che aveva già dato istruzioni in tal senso e, senza perdere ulteriore tempo, condusse le compagne all’interno della villa, ricordandosi solo in un secondo momento – e scusandosi per questo - di descrivere alle stupefatte guerriere quanto le circondava. Dopo qualche minuto arrivarono davanti a una sala che era stata attrezzata per consentire alle due di concedersi il bagno che anelavano. Alfred si congedò da loro lasciandole alle cure di un’altra inserviente che si presentò come Imoen, la quale gentilmente chiese prima di tutto alle compagne di togliersi tutto quello che avevano indosso, uniformi comprese, per permetterle di disporne in modo adeguato. Forse stordita da quanto visto fino a quel momento, Seayne ubbidì senza pensarci due volte, mentre Olivia faceva altrettanto, salvo poi ricordarsi, una volta che fu nuda, della cicatrice che le deturpava il corpo, tentando vanamente di nasconderla con le braccia. Forse intuendo il suo disagio, Imoen si affiancò alle due compagne e rassicurò le due sul fatto che tutti coloro che erano in quella casa erano stati opportunamente avvisati da mastro Kelsier riguardo lo stato dei loro corpi e delle sofferenze che loro avevano dovuto sopportare fin da bambine e pertanto nessuno le avrebbe trattate in modo ingiusto. A conferma delle sue parole, due coppie di inservienti, alle quali era stata affidata una guerriera ciascuna, mentre osservavano le due compagne mostrarono pietà e comprensione nei loro sguardi. A quel punto, le due compagne si abbandonarono ai piaceri del bagno… Seayne non avrebbe saputo dire quanto tempo trascorse; coccolata e accudita dalle due ragazze a sua disposizione, si rilassò completamente, perdendosi in quella prima e meravigliosa esperienza fino a perdere la cognizione del tempo e, quando il bagno finì, la guerriera albina si trovò avvolta in un caldo e morbido accappatoio che trattenne su di lei le sensazioni provate fino a quel momento. Poi, senza quasi rendersene conto, Seayne venne condotta assieme a Olivia in una stanza messa a loro disposizione nella quale, come disse loro Alfred, improvvisamente ricomparso, avrebbero potuto rilassarsi in attesa della cena, mentre le quattro ragazze a loro disposizione avrebbero atteso eventuali loro richieste nell’anticamera, pronte ad accorrere se una delle due avesse suonato un campanello poggiato su un comodino. Rimaste sole, Olivia si sdraiò su uno dei due letti della camera, rilassandosi, mentre Seayne iniziò a pettinare la sua fluente chioma sia per rendere meno selvaggio il suo aspetto per rispetto nei confronti del padrone di casa, sia per favorire il lavoro di tintura dei suoi capelli. Quand’ebbe finito però, riconobbe nell’immagine riflessa la novizia che aveva osato innamorarsi di un umano e i dolorosi ricordi che sempre cercava di tenere a bada le tornarono prepotentemente in mente. Così, per tentare di soffocarli nuovamente, Seayne si alzò e iniziò a rovistare tra armadi e cassetti, inseguita dai bonari inviti di Olivia a rilassarsi e prendersela comoda, per vedere se quella stanza custodisse ancora qualche segreto. Alla fine, la sua “Caccia al Tesoro” fu premiata: infatti dentro un armadio Seayne scoprì due meravigliosi vestiti i quali suscitarono anche la curiosità di Olivia, prontamente giunta al suo fianco. A completare il tutto, per ciascun abito c’era a disposizione una elaborata collana che sarebbe servita ottimamente per nascondere la parte superiore delle loro cicatrici, che gli abiti non coprivano. Tuttavia, nessuna delle due compagne aveva esperienza nell’indossare abiti così elaborati e allora, eccitate come due bambine alle prese con un nuovo gioco, chiamarono le loro attendenti per farsi aiutare a indossarli. L’effetto finale lasciò senza parole anche le loro cameriere. Terminata la sfilata e rimaste nuovamente sole, dopo aver scherzato un po’ le due guerriere si ritrovarono a dover ingannare il poco tempo che mancava all’ora di cena. Seayne si offrì di spazzolare i capelli di Olivia, istintivamente tentando di stabilire con lei un legame più profondo della semplice conoscenza ma, nonostante la risposta scherzosa della compagna, che comunque accettò, il suo sguardo le disse invece che, forse, la proposta della guerriera albina era stata un po’ troppo intima e imbarazzante. Seayne si mise a lavorare di buona lena sulla chioma paglierina della compagna ma tra le due calò un silenzio carico di imbarazzo. L’annuncio che la cena era servita risolse quella situazione di stallo emotivo e le due guerriere in tutto il loro splendore furono l’oggetto dei complimenti tanto di Mastro Bernard che del maggiordomo Alfred dopodiché, prima che le pietanze venissero servite, il padrone di casa annunciò alle due guerriere che sarebbero ripartite l’indomani assieme a Imoen la quale, per tutta la durata della missione, avrebbe recitato la parte della loro cameriera. Inoltre le tre sarebbero state accompagnate da una “guardia del corpo” assunta allo scopo, come era usanza tra le cortigiane: le due guerriere però avrebbero dovuto prestare attenzione in quanto il loro accompagnatore era all’oscuro delle loro vere identità e dei loro scopi. A quel punto la cena fu servita: Seayne e Olivia si trovarono di fronte praticamente qualunque cosa avessero desiderato mangiare, in quantità tale che, anche se fossero state umane, avrebbero avuto comunque difficoltà a divorare tutto. Mastro Bernard, pur invitandole a non fare complimenti, le rassicurò comunque sul fatto che nulla di quel pasto sarebbe stato sprecato: infatti ciò che fosse avanzato sarebbe stato prima destinato alla servitù e, successivamente, ai poveri. Olivia iniziò a servirsi per conto suo mentre Seayne, indecisa su cosa scegliere perché voleva assaggiare un po’ di tutto, ricorse al consiglio e all’aiuto della loro “cameriera” Imoen per farsi preparare degli “assaggi” di quante più pietanze possibili, compatibilmente con le dimensioni del suo stomaco. Al termine della cena, Mastro Bernard offrì alle due guerriere l’opportunità di visitare il giardino della casa, orgoglio e vanto del buon Alfred, che le due guerriere colsero con entusiasmo e nel quale Seayne si perse, avvolta dal caleidoscopio di colori e profumi, finché non giunse il momento di ritirarsi per la notte.

La mattina seguente dopo una colazione nella quale Seayne si limitò moltissimo, ricordando ancora il suo stomaco la cena della sera prima, le due guerriere vennero condotte nuovamente nella sala dove avevano fatto il bagno il giorno prima e una volta là, sotto la guida esperta di Imoen, le quattro attendenti sottoposero le due compagne a un vero e proprio “trattamento di bellezza”, grazie al quale i capelli paglierini di Olivia divennero rosso fuoco e quelli candidi di Seayne nero corvino: inoltre le due vennero truccate talmente bene da sembrare, almeno agli occhi di Seayne, due ragazze completamente diverse. A quel punto, rivestite con gli abiti lussuosi che avevano scelto, erano praticamente pronte per partire sennonché, rimirandosi un’ultima volta allo specchio, Seayne si accorse di un ultimo particolare da sistemare e si affrettò a chiedere a Imoen una pillola di soppressore dello Yoki per sé e la sua compagna, in modo tale che la guardia del corpo loro assegnata non si accorgesse dei loro occhi d’argento. Risolto quell’ultimo particolare, le tre ragazze uscirono all’esterno per fare la conoscenza del loro protettore: costui era un omone di dimensioni ragguardevoli (Inserire descrizione di Minsc) il quale, in quel preciso momento, si stava occupando di caricare su un carro i bauli che costituivano il loro bagaglio: L'uomo era molto alto e piuttosto muscoloso, completamente pelato e con uno strano disegno blu sul viso; i suoi occhi castani comunque denotavano gentilezza, nonostante piccole e grosse cicatrici erano visibili sulle parti nude del suo corpo. Inoltre l’uomo aveva un compagno, un minuscolo criceto che lui trattava come fosse un essere umano, senza smettere mai di parlargli e di coccolarlo! Alfred e Imoen sorridevano, probabilmente divertiti dalle facce delle guerriere alla vista del grosso guerriero e del suo criceto. Esauriti i convenevoli, le guerriere e Imoen salirono sul carro e partirono alla volta di Durenor

Durante il viaggio Seayne ebbe modo di capire che Imoen, accolta in casa sua da Mastro Bernard quand’era ancora una bambina, sembrava molto eccitata per il fatto stesso di partecipare a questa missione, probabilmente non rendendosi pienamente conto dei rischi che tutte loro avrebbero corso. Il viaggio non fu proprio tranquillo in quanto un gruppo di banditi li assalì dopo un giorno di viaggio, ma grazie all’abilità delle due compagne e alla potenza di Minsc il gruppo riuscì a respingere l’assalto, graziando i sopravvissuti.

Arrivati senza ulteriori problemi alle porte di Durenor, fu sufficiente consentire alle guardie alle porte un’ispezione visiva delle due compagne e un controllo sommario dei loro bagagli per ottenere sia il permesso di entrare, sia informazioni per raggiungere la locanda del “Tasso che Ringhia”. Fu a questo punto che Imoen consegnò loro una lettera da parte di Kelsier, la quale conteneva ulteriori indizi su come contattare Jason e l’ordine più o meno esplicito di prendersi cura dei loro due… tre compagni di viaggio. Una volta entrate nella locanda, l’aspetto delle due guerriere non mancò di fare effetto sugli avventori, i quali ammutolirono tutti e iniziarono a rivolgere alle due degli sguardi che andavano dall’affascinato al lascivo. Nemmeno Dudeley, l’oste, pareva immune al fascino esercitato dalle due, soprattutto di Olivia, indubbiamente la più prosperosa delle due compagne, finché non intervenne Brienne, la moglie dell’oste la quale, scusandosi per l’atteggiamento del marito, si prodigò per offrire alle tre donne un’accoglienza degna. le compagne presero una stanza e, mentre Minsc si occupava dei bagagli, le due guerriere ne approfittarono per chiedere di poter farsi un bagno prima di pranzo. Spaziando con lo sguardo sul salone, Seayne notò due uomini i quali potevano essere Jason il loro contatto: entrambi infatti portavano sul braccio destro un segno di riconoscimento, ovvero un pezzo di tessuto rosso ma, come poi le fece notare Olivia, uno dei due, quello seduto vicino alle scale, aveva un “fazzoletto” rosso annodato sul braccio, quindi rispondeva appieno alla descrizione che il loro superiore aveva loro indicato. Mentre Olivia si godeva il suo bagno, Seayne ne approfittò per uscire sul balcone del quale la stanza era provvista, al fine di dare un’occhiata alla disposizione dei palazzi nel caso avessero dovuto utilizzare quel percorso come via di fuga ma, mentre lo faceva, la guerriera ebbe la sensazione che una figura intabarrata la stesse osservando ma quest’ultima, quando Seayne diede segno di essersi accorta della sua presenza, si dileguò tra la folla. Seayne rientrò prontamente nella stanza, informando le compagne dell’accaduto. Finito che ebbe il bagno, la guerriera si fece aiutare da Imoen per rifarsi il trucco, dopodiché la cameriera annunciò che sarebbe uscita per saldare il conto della locanda e per fare delle compere: le due guerriere invece attesero ancora un po’ poi scesero nella sala comune per pranzare. Mentre scendevano lo scalone, attirando nuovamente su di loro l’attenzione degli avventori, Seayne notò che il “Jason” col fazzoletto rosso al braccio era ancora al suo posto ed ebbe un’idea: dopo aver chiesto sottovoce a Olivia di reggerle il gioco, la guerriera improvvisò uno scivolone, finendo col sedere sui gradini e, mentre si rialzava aiutata dalla compagna, profferì alcune frasi rassicuranti sul suo stato di salute, infilandoci in mezzo le parole che avrebbe informato Jason della loro identità, sperando che l’uomo l’udisse e capisse. Il tentativo ebbe successo: infatti, mentre le due guerriere attendevano il pranzo su un tavolo un po’ defilato dal resto della sala, “Jason” si avvicinò al loro e fece cadere sul tavolo un foglietto ripiegato che Seayne fu lesta a far sparire nelle pieghe del suo abito. Poi, mentre attendevano il pasto, le due guerriere vennero avvicinate da un paio di giovanotti, uno decisamente male in arnese, l’altro messo un po’ meglio, i quali senza troppi preamboli volevano già acquistare i “beni” dei quali si supponeva le due mettessero in vendita. Con tutta la locanda che sembrava ascoltare, Seayne diede loro una risposta che mirava unicamente a prendere qualche giorno di tempo; i due giovanotti però non la presero bene e se  ne andarono, mentre una parte degli avventori sembrava aver perso il loro entusiasmo iniziale. Il pranzo arrivò e, mentre Seayne mangiò moderatamente Olivia, forse per non destare sospetti, trangugiò tutto quello che aveva a a disposizione; finito che ebbero, le due ritornarono nella loro camera e, finalmente, lessero il messaggio lasciato loro da Jason. In esso, l’uomo le esortava a raggiungerlo entro un’ora in una stanza della locanda sita allo stesso loro piano, ma dal lato opposto, bussando alla porta con una determinata sequenza per farsi riconoscere. Le due guerriere attesero fino all’ultimo per vedere se Imoen ritornava poi, visto che di lei non v’era traccia, spedirono Minsc a cercarla, mentre loro due si recarono all’appuntamento con Jason.

La vecchia guardia le accolse ostentando un atteggiamento prudente e raccontò loro una storia agghiacciante che parlava di sparizioni misteriose e di ritrovamenti di cadaveri squartati, mutilati e/o bruciati. Lo stesso figlio di Jason rientrava nel conteggio delle vittime. Dopo aver ricevuto parole di conforto dalle guerriere quando l’uomo si fece ovviamente cogliere dall’emozione al ricordo del figlio, Jason esternò i suoi sospetti riguardo il nascondiglio della setta assassina della quale, secondo lui, facevano parte personaggi influenti della città, al punto da riuscire a impedire che si indagasse su quelle morti misteriose: le fogne cittadine! Infatti, nonostante le stesse fossero già state oggetto delle ricerche da parte delle prime guerriere arrivate sul posto, dopo la loro partenza il nuovo sindaco che aveva sostituito il precedente, scomparso subito dopo la partenza delle prime due compagne, aveva continuato a stanziare denaro pubblico per presunti lavori di migliorie delle fogne, cosa inutile secondo Jason stante il comunque buon funzionamento delle stesse. Tali lavori erano andati talmente avanti da avere praticamente degli accessi in ogni parte della città.

Alla fine della lunga discussione, durante la quale Seayne dovette reprimere una fiammata di rabbia, lei e Olivia appresero che l’accesso alle fogne più vicino era situato subito dietro la locanda, in un vicolo cieco usato per gli scarichi della stessa, al quale si poteva accedere uscendo fuori dalla finestra della stanza di Jason e concordarono con la vecchia guardia che, a missione compiuta, nessuno avrebbe fatto nulla per divulgare l’accaduto: le guerriere se ne sarebbero andate e Jason sarebbe rimasto a osservare come evolvevano le cose a quel punto. Le due guerriere appresero anche che, dato il fallimento delle guerriere che le avevano precedute, il contatto di Jason con l’Organizzazione, probabilmente Mastro Kelsier, aveva rinunciato al compenso ma anche che le altre due guerriere erano entrambe ancora vive quando furono “licenziate” dal vecchio sindaco, il che contrastava con quanto loro riferito dallo stesso Kelsier. Seayne preferì accantonare la questione e concentrarsi sulla missione in corso. Al momento del congedo, le due guerriere avvisarono Jason che avrebbero agito quella notte stessa – per attendere la fine degli effetti del farmaco inibitore - e lui di rimando disse che le avrebbe attese nella stanza per aprir loro la porta e là le avrebbe attese fino alla fine della caccia. Tornate nella loro stanza, le due compagne scoprirono che Imoen era finalmente tornata, sana e salva!

La loro cameriera, dopo essersi scusata con le due per essersi attardata a passeggiare per la città, volle subito essere messa al corrente delle ultime novità e Seayne, senza ulteriori indugi, le riassunse gli ultimi eventi. Subito dopo, mentre Imoen estraeva dal doppio fondo di uno dei bauli le spade delle guerriere Seayne, dopo essersi impossessata della propria, iniziò a esporre il suo piano che prevedeva essenzialmente di equipaggiarsi completamente con armi e armature e, coperte dai mantelli che Imoen aveva comperato su suggerimento di Seayne, introdursi di soppiatto nelle fogne mentre Olivia, che nel frattempo aveva dato un’occhiata all’esterno senza vedere nessuno spione, suggeriva per contro di utilizzare un vestiario più adatto o, al limite, gli stessi vestiti che stavano indossando. Seayne ribatté elencando i motivi per i quali, secondo lei, la cosa non andava bene, ma fu a un suo suggerimento alla compagna riguardo l’utilizzo del pomo della claymore come arma che provocò la risposta apparentemente piccata e sarcastica di Olivia: Seayne, forse a causa della tensione e all’ansia dell’attesa, non colse le sfumature scherzose nella risposta della compagna e questo le causò un altro sbalzo d’ira, trattenuta a stento. Concessasi qualche istante per riprendere il controllo sui suoi nervi, la guerriera albina replicò nuovamente a Olivia, ribadendo la sua posizione ma questa volta, stranamente, Olivia capitolò senza ulteriori obiezioni. La cosa stupì non poco Seayne e le insinuò il sospetto che la compagna potesse più tardi agire di testa sua, ma fu quando Imoen mostrò loro i vestiti che Mastro Kelsier aveva procurato per quell’evenienza, informandola che le loro armature non erano state portate che Seayne capì di essersi comportata male e, subito dopo, si scusò con le compagne per il suo atteggiamento, adducendo come giustificazione i suoi problemi di controllo della rabbia, forse cercando inconsciamente il loro conforto o la loro solidarietà. Appianato il dissidio, le due guerriere si cambiarono e attesero la fine degli effetti del farmaco e poi, mentre Imoen distraeva Minsc, le due tornarono nella stanza dove le attendeva Jason e da lì saltarono nel vicolo dietro la locanda, aprirono la grata che dava accesso alle fognature e vi entrarono.

Entrambe le guerriere utilizzarono la loro percezione per scovare tracce del nemico ma, sulle prime, nessuna delle due avvertì la benché minima traccia, così decisero di incamminarsi seguendo il corridoio che proseguiva alla loro destra. Dopo alcuni minuti di cammino le due compagne si trovarono di fronte a un altro bivio destra-sinistra e, questa volta, Seayne avvertì chiaramente non una, ma ben due tracce che portavano, Seayne ne era sicura, a due Yoma distinti e separati in entrambe le direzioni e dei quali, quello del corridoio a sinistra, sembrava essere il più forte dei due. Seayne informò immediatamente Olivia e le propose di separarsi per affrontare contemporaneamente i due Yoma senza dar loro la possibilità di dare l’allarme o di fuggire nel momento in cui uno dei due fosse stato affrontato dalle guerriere, arrogando poi a se l’onore e l’onere di affrontare lo Yoma più forte, quello nascosto nel corridoio a sinistra. Olivia non trovò nulla da obiettare e così le due si separarono, con l’impegno di tornare sui propri passi quando avessero ucciso il proprio avversario, per dare eventualmente una mano alla compagna. Seayne s’incamminò dunque nel corridoio di sinistra e, dopo esser sfuggita senza farsi notare a tre gruppi distinti di settari aggrappandosi a delle piccole tubature che correvano sul soffitto dei canali, arrivò davanti a una porta di ferro arrugginito oltre la quale, ne era certa, si nascondeva la sua preda. Dopo una veloce supplica alla Grande Stella del Nord, la guerriera aprì la porta che si spalancò con uno stridio chiaramente udibile da chiunque si fosse trovato dietro di essa, ovvero un massiccio Yoma seduto su un rozzo trono e una dozzina di settari intenti a scuoiare l’ennesima vittima legata su un altare, i quali rimasero momentaneamente interdetti a causa dell’intrusione.

Richiamata una discreta quantità di Yoki, Seayne partì all’assalto schivando gli umani stupefatti e puntando direttamente sullo Yoma per cercare di sorprenderlo grazie alla sua velocità, ma questi si dimostrò particolarmente abile, cercando di colpirla con una manata che non fece danno ma che costrinse Seayne a rinunciare all’attacco. Senza perdere un istante lo Yoma, probabilmente un Divoratore, afferrò uno dei suoi discepoli e lo scagliò contro la guerriera con tutta la sua forza, per poi caricarla a sua volta: se Seayne lo avesse schivato l’uomo sarebbe probabilmente morto schiantandosi contro il muro, mentre se la guerriera fosse stata colpita, oltre a farsi male si sarebbe trovata il mostro addosso. La ragazza tentò quindi una mossa elaborata: con la mano sinistra afferrò al volo l’umano, facendo perno su se stessa per deviarne la traiettoria e caricare di forza il fendente trasversale che, contemporaneamente stava vibrando con l’altra mano, tentando di intercettare il nemico. La disparità di forza fisica però giocò a sua sfavore: infatti lo “strattone” che subì per fermare il volo dell’umano la sbilanciò, togliendo efficacia al suo fendente che produsse solo una ferita non letale al petto dell’avversario il quale, pur essendo costretto a fermare la sua carica, riuscì a darle un calcio che la colpì alla bocca dello stomaco, tagliandole momentaneamente il fiato e sbalzandola via. Contemporaneamente si iniziò a udire un distante scampanio che crebbe a poco a poco: Seayne intuì che potesse trattarsi di un sistema d’allarme e questa constatazione la fece temere per la sorte di Olivia, riempiendola di rabbia! La guerriera non si arrese, sapeva di avere nella velocità il suo unico punto di vantaggio nei confronti dell’avversario e cercò di sfruttarlo, eseguendo la mossa che aveva usato un arena contro Alicia: correre verso l’avversario aumentando all’improvviso lo Yoki, fare una schivata diversiva e scivolargli alle spalle per poi tentare di decapitarlo, aumentando lo Yoki in circolo fino a raddoppiare la massa muscolare per avere più forza... Tutto bene ma, all’ultimo, lo Yoma si abbassò lasciando Seayne a fendere l’aria e calciandola nuovamente via ma questa volta il suo volo venne intercettato da uno dei settari che si schiantò con lei sulla parete, proteggendola dall’urto ma lasciandoci le penne. Senza un briciolo di pietà o rimorso per la morte dell’uomo, Seayne continuò a concentrarsi sull’avversario, anzi, sugli avversari in quanto i settari si erano ripresi dallo stupore e si apprestavano a dare man forte al loro “capo”, mentre quest’ultimo decise di affrontare l’avversaria a distanza, scagliandole contro gli artigli della mano destra, il che era quello che Seayne stava aspettando. Senza indugiare, la guerriera balzò in alto, lasciando che gli artigli passassero sotto di lei e, ricadendo menò un fendente dall’alto verso il basso, che divise lo Yoma in due, ma non poté evitare che quest’ultimo, vistosi oramai spacciato, le puntasse contro il braccio sinistro sul quale, a causa della forza di gravità, Seayne andò a impalarsi all’altezza dello stomaco. La ferita era molto grave e la guerriera lo sapeva, tuttavia dovette minacciare un paio di volte gli umani rimasti e colpire uno di essi per convincerli ad andarsene e potersi dedicare in pace a rigenerare la ferita, impresa tutt’altro che facile. Infatti fu un processo lungo e doloroso tappare quel buco nella sua figura ma alla fine, confortata dal ritorno di Olivia, la quale sembrava sopportare bene una brutta ferita subita in battaglia, Seayne riuscì nel suo intento e la sua ferita si chiuse, lasciandole come strascico una stanchezza che avvertiva in tutte le sue membra.

Che fare a quel punto? Gli Yoma erano stati uccisi tutti? La prospettiva di aggirarsi nelle fogne lei esausta e con Olivia ferita per cercare forse vanamente altri Yoma non l’attirava affatto. Fortunatamente c’era ancora a terra l’uomo ferito alle gambe da Seayne e la guerriera ragionò che, essendo stato vicino al grosso Yoma forse avrebbe saputo darle l’informazione di quanti demoni ci fossero sati là sotto così, copertasi la faccia per non farsi riconoscere, gli propose un patto: portarlo fuori in cambio del numero degli Yoma che si aggiravano là sotto; l’uomo non ci mise molto a decidere e confermò alle guerriere che gli Yoma erano due. Rinfrancata dalla notizia Seayne raccolse l’uomo tra le braccia e chiese a Olivia di far loro strada, con l’intenzione di lasciare l’uomo alla prima uscita disponibile per poi tornare indietro. Lungo il tragitto Diego, così disse di chiamarsi l’uomo, raccontò loro l’intera storia, rivelandosi come il fondatore della setta assassina ben prima che essa venisse usurpata dagli Yoma; forse l’uomo voleva solo liberarsi la coscienza ma né Seayne né tantomeno Olivia furono indulgenti con lui e proseguirono il percorso, desiderose di liberarsi di lui il prima possibile.

Dopo aver abbandonato l’umano alle cure dei suoi concittadini, Seayne e Olivia riuscirono a ritornare al Tasso che Ringhia senza incontrare ulteriori problemi. Seayne si soffermò a parlare con Jason, ragguagliandolo su quanto accaduto, consegnandogli le zanne che aveva strappato allo Yoma come prova delle sue parole e, soprattutto, raccontandogli la storia di Diego, del fatto che era rimasto contuso alle gambe durante la lotta – ma guardandosi bene dal rivelargli di essere stata lei a colpirlo – salutandolo poi cordialmente. Dopodiché, rientrata nella stanza si tolse di dosso il mantello e i vestiti sporchi, laceri e puzzolenti, chiedendo a Imoen di sbarazzarsene, concedendosi poi il meritato riposo sul pavimento, per non sporcare inutilmente un letto, anche perché non sarebbe riuscita a fare un passo in più. Prima di addormentarsi però, la sua mente ripensò alle compagne che le avevano precedute in quella missione, dedicando un pensiero a colei che aveva perduto la vita. Al risveglio, rientrata nei panni di Lanfear, la guerriera si concesse un indispensabile bagno e una buona colazione - il suo rigenerato stomaco non vedeva l'ora di rimettersi all'opera - dopodiché dedicò il resto del tempo a organizzare il ritorno con Imoen e Olivia. Ritornata a Holmgard, Seayne fu felice di “riconsegnare” Imoen al suo padre adottivo, Mastro Bernard e al fedele maggiordomo Alfred; chiese e ottenne il permesso di farsi ancora un bagno, anche e soprattutto per rimuovere la tinta posticcia dai suoi capelli, ripristinando il loro candore innaturale: la missione era finita e quindi non c’era motivo che Lanfear continuasse a esistere.

Recuperate infine la sua uniforme e la sua armatura, con più di qualche rimpianto nel cuore Seayne prese congedo da Mastro Bernard, Alfred, Imoen e le ragazze che avevano assistito lei e Olivia, incamminandosi verso il Quartier Generale assieme alla compagna. Lungo la strada le due compagne ingannarono il tempo chiacchierando tra di loro, finché non giunsero alle porte di Staph. A quel punto Seayne rivolse un ultimo saluto e un ultimo sorriso alla compagna e poi si avviò lentamente verso il portone della fortezza…

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04-03-2015, 09:41 PM
Messaggio: #9
RE: [In Attesa] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO VIII: POLARIS

A seguito dei fatti avvenuti nella città di Durenor, nei quali Seayne aveva rischiato di farsi uccidere da dei folli umani e sapendo di non poter agire direttamente contro di loro, la guerriera albina cercava un modo per rendere temporaneamente inoffensivi i suoi avversari...

Ispirandosi alla divinità alla quale Seayne è devota: la Grande Stella del Nord (ovvero la Stella Polare) e al ricordo di colei che fu la Numero 1 della sua generazione: Serena la Splendente, Seayne ritenne che, utilizzando lo Yoki in maniera adeguata, potesse far brillare il suo intero corpo di una luce talmente intensa da accecare temporaneamente ogni avversario in grado di vederla. Con questa idea in testa decise di recarsi nella grande biblioteca di Staph, luogo di antica sapienza, con la speranza di apprendere almeno i rudimenti di questa abilità.

La guerriera si trovò quindi poco dopo davanti alle massicce porte della biblioteca: bussò ma nessuno le rispose: Seayne si azzardò allora ad entrare percorrendo lentamente i corridoi, rimanendo stupefatta dalla quantità di libri che la circondava. A un certo punto, la sua attenzione venne attirata dalla figura di un Uomo in Nero dalla corporatura massiccia e dalla grossa testa completamente calva: l’uomo pareva indaffarato, così Seayne decise di non disturbarlo, attendendo con pazienza che il superiore le dedicasse un po’ della sua attenzione. Alla fine l’uomo, il quale assomigliava molto alla descrizione che Seayne aveva udito di Cort, si accorse di lei e, senza delicatezza e mezzi termini le chiese che cosa volesse.

Seayne si presentò e quindi cercò di spiegare meglio che poteva la sua idea, rimarcando come l’ispirazione le fosse venuta anche grazie al soprannome della oramai defunta Numero 1 della sua generazione, credendo che le fosse stato conferito perché La Splendente possedesse un’abilità similare a quella che aveva in mente. Cort replicò con un commento che poteva far pensare rimpiangesse la perdita di Serena, ma le fece capire senza mezze misure che nessuno mai aveva sentito parlare di un’abilità come quella che aveva in mente e che quindi, secondo lui, il suo tentativo era destinato al fallimento. Seayne però non si perse d’animo: testarda e cocciuta com’era cercò, senza mancare di rispetto al superiore, di convincerlo che, se nessuno non ne aveva mai sentito parlare, forse era perché nessuna guerriera ci aveva mai provato.

Forse la sua determinazione fece breccia nelle convinzioni dell’Uomo in nero, poiché questi  le ordinò di seguirlo e insieme si diressero verso il fondo della biblioteca attraverso un largo passaggio, per entrare poi in una stanza in penombra, illuminata solamente da una piccola candela: a quel punto il superiore, prima di sedersi su uno sgabello le rivolse un altro “gentile” commento riguardo la sua sanità mentale ma poi, rimanendo serio, le chiese di spiegargli come intendeva realizzare il suo proposito.

Le sue parole non la sorpresero più di tanto. Seayne si aspettava di dover “spiegare” a qualcuno la sua idea, a maggior ragione dopo che Cort le aveva confermato che “non si era mai sentita una cosa del genere”. Quindi, cercando di non mostrare turbamento a causa degli occhi del massiccio uomo in nero che la fissavano, iniziò a spiegargli di come, durante l’allenamento, venisse insegnato alle guerriere come utilizzare il loro Yoki per curare le ferite, concludendo che la rigenerazione della pelle fosse la parte più facile del processo. Seayne era convinta che ciò fosse dovuto al fatto che, a differenza di quello che c’è “dentro” i loro corpi, la pelle le guerriere ce l’avevano sotto gli occhi tutto il giorno e quindi ne conoscessero ogni singolo tratto, ogni pregio e ogni imperfezione. A questo punto Seayne aveva pensato che, quando si rilascia lo Yoki per potenziare le capacità in battaglia, esso si diffonde in modo uniforme all’interno del corpo, fornendo più potenza: ma cosa sarebbe accaduto se la guerriera albina si fosse concentrata per invertire il flusso e “spingere” lo Yoki all’esterno del suo corpo anziché all’interno? E se avesse cercato di concentrare lo Yoki per avere più potenza cercando di convogliarlo verso la parte del suo corpo che conosceva di più, la sua stessa pelle, in modo uniforme, come se dovesse curare un’ustione estesa su tutto il corpo, se non fosse per il fatto che stesse usando lo Yoki per potenziarsi e non per guarire? E infine, quand’anche fosse riuscita a concentrare lo Yoki verso la sua pelle, Seayne era convinta di non doversi fermare lì ma avrebbe dovuto continuare a spingere il flusso, cercando di superare la barriera costituita dalla sua cute per far sfogare all’esterno di essa la sua energia demoniaca!

Cort ordinò quindi a Seayne di mettere in pratica la sua idea. Seayne rimase un attimo perplessa, credendo che l’approccio avesse dovuto essere diverso, tuttavia non si perse d’animo e decise di procedere: presi un paio di respiri profondi, la guerriera albina iniziò, visualizzando nella sua mente l’immagine di se stessa, del suo corpo nudo senza nulla che ne occultasse neanche una porzione minima di pelle. Fatto questo, iniziò a rilasciare una piccola quantità di Yoki, appena il 10% ma questa volta, cercò di focalizzare la sua attenzione nel tentativo di “sentire” il flusso di energia demoniaca che scorreva dentro di lei, cercando di “ascoltare” ciò che il suo corpo provava a dirle nel tentativo di capire, forse per la prima volta, se lo Yoki scaturiva istantaneamente da tutto il suo essere oppure se vi era in lei un “punto d’origine”, una fonte del flusso di energia che poi si diffondeva in tutto il suo corpo. Seayne avrebbe poi cercato di trasferire le sue sensazioni all’interno dell’immagine che aveva creato di se stessa, visualizzandole come delle aree luminose che si “accendevano” all’interno del suo corpo, quasi a creare nella sua mente una sorta di “mappa” del normale flusso di Yoki che scorreva in lei. A quel punto, avrebbe poco a poco aumentato gradualmente la percentuale dell’energia rilasciata, fermandosi al 30%, ovvero poco prima del punto in cui, solitamente, la muscolatura di una guerriera inizia a mutare, nel tentativo di percepire sempre più chiaramente l’energia demoniaca scorrerle dentro, anche nei punti nei quali il flusso precedente sarebbe stato probabilmente  troppo debole da sentire per lei, cercando nel contempo di evitare di rilasciare un flusso eccessivo che, forse, sarebbe stato troppo difficile da comprendere e che avrebbe potuto alterare la sua percezione di quanto stava accadendo in lei, “coprendo” delle sensazioni che avrebbero potuto essere fondamentali. Poi, poco dopo aver iniziato ad avvertire la sensazione del suo volto che mutava aspetto e quindi l’interno della “mappa mentale” del suo corpo sarebbe stato a quel punto completamente illuminato, allora Seayne avrebbe cercato di deviare il flusso dello Yoki come se, effettivamente, avesse dovuto guarire un esteso danno alla sua epidermide ma, questa volta, non avrebbe lasciato scorrere normalmente in lei il flusso di energia: questa volta avrebbe tentato di contrarre tutti i suoi muscoli all’unisono, in uno sforzo collettivo di tutto il suo corpo per cercare di “spremere” tutto lo Yoki da se stessa, e spingerlo al di fuori da tutta la superfice della sua cute nella maniera più uniforme possibile, mentre nella sua mente avrebbe cercato di “guidare” quel processo, immaginando che quella luminosità dentro il suo corpo si diffondesse istantaneamente e in sincronia col suo sforzo su tutta la sua pelle, per poi andare oltre e sprigionarsi fuori da tutto il suo corpo…

Il risultato fu un tenue bagliore azzurrino che eruppe dal suo corpo, accompagnato da una spossatezza improvvisa, come se Seayne avesse compiuto uno sforzo immane, cosa che Cort non mancò di sottolineare, rimproverandola per non averci messo abbastanza impegno, spronandola quindi a usare più Yoki e dandole l’impressione di essere maggiormente interessato a quanto stava accadendo. Dopo essersi concessa qualche momento per recuperare le forze, Seayne ci riprovò: ripercorse gli stessi passi del tentativo precedente ma, arrivata al punto del rilascio dello Yoki, incrementatò la sua energia, arrivando al limite del 60%, prima di riversare il potere demoniaco al di fuori di lei.

Una luce azzurra, molto più intensa di prima, sfolgorò al di fuori del suo corpo! La sensazione provata da Seayne era di pura meraviglia! Certo, era un primo risultato, ma non bastava, come fece giustamente osservare Cort: ora Seayne avrebbe dovuto concentrare tutta la sua energia in un singolo istante, anziché dilapidarla nel tempo; già, ma quanta liberarne? Seayne sapeva benissimo che c’era un limite alla quantità massima di Yoki che una guerriera poteva scatenare in un solo istante e che questo limite variava a seconda di quanto la stessa era abile nel gestire il suo potere. Seayne non aveva mai esplorato a fondo le sue possibilità, forse per paura di spingersi “troppo oltre”, così decise di prendersi un margine rispetto al tentativo precedente. Ancora una volta intraprese il percorso interiore che doveva portarla a manifestare il suo potere ma stavolta anziché rilasciare gradualmente lo Yoki gradualmente fino al 60%, ne rilasciò il 50% in un istante, estinguendolo subito dopo.

Questa volta l’aura venne emessa in modo intenso e luminoso, in un unico istante. Forse non era come Seayne si aspettava, ma fu sufficiente a costringere Cort a distogliere lo sguardo e a coprirsi gli occhi con una mano. Il superiore sembrava soddisfatto dei progressi della guerriera, tuttavia le ordinò di provare ancora, usando meno Yoki, in modo tale da non esaurirlo in poco tempo, quando avesse dovuto utilizzare la sua abilità in battaglia. Pur essendo d’accordo, Seayne fu rosa da un dubbio: come fare a generare tanta energia, riducendo lo Yoki al minimo? La soluzione che Seayne trovò fu di ricorrere alla sua rabbia, la rabbia latente che covava in lei e che tante volte l’aveva spinta a non cedere anche di fronte alle situazioni più disperate. E allora ci provò un ultima volta, rilasciando solo il 10% di Yoki ma richiamando alla mente tutte le situazioni tristi e dolorose che aveva vissuto, finché sentì l’ira crescere in lei e a quel punto la guerriera albina cercò di mettere assieme le due cose. Per un attimo, per un terribile attimo sentì lo Yoki sfuggirle a causa della sua furia e, prima di riprenderne il controllo esso era salito al 30%, per poi esplodere in una vampata di luce azzurra di una intensità mai raggiunta prima la quale però, Seayne lo percepì nel suo intimo, rimase legata a quel valore minimo di energia demoniaca!

Cort, nuovamente con gli occhi coperti da una mano, esternò la propria soddisfazione per il risultato raggiunto dalla guerriera, apostrofandola con un epiteto gentile, molto diverso da quelli volgari che era solito usare. A quel punto il superiore decise di finire quella sessione di studio e allenamento, forse perché s’era accorto della stanchezza della guerriera albina, stanchezza che solo ora Seayne iniziava a sentire. Così la giovane ringraziò Cort per il tempo dedicatole e, esausta ma felice per l’impresa compiuta, ritornò al suo alloggio dove, dopo aver gongolato un po’ per la soddisfazione, si addormentò sul suo giaciglio.

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31-05-2015, 03:53 PM
Messaggio: #10
RE: [In Attesa] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO IX: IL VECCHIO EREMITA

Ubbidendo agli ordini dell’Organizzazione, Seayne raggiunse dopo alcuni giorni di cammino la zona a lei assegnata: la regione di Guernica, nei boschi a meridione del deserto di Staph. La guerriera albina intendeva tenersi il più lontano possibile dagli insediamenti umani, tuttavia non poteva neanche vivere all’addiaccio nei giorni a venire, quindi iniziò a cercare un luogo dove insediarsi. Nei primi giorni non ebbe fortuna: a parte qualche anfratto roccioso o qualche riparo occasionale, non le riuscì di trovare nulla che la soddisfacesse, finché, in un pomeriggio soleggiato, non si trovò a camminare in una piccola radura che si allargava all’interno del bosco, sovrastata da una bassa collinetta erbosa che era alta circa quanto gli alberi stessi; un torrentello non molto ampio attraversava la radura e l’erba che la ricopriva era corta, probabilmente era stata brucata da qualche erbivoro selvatico. La guerriera albina trovò il luogo, immerso nel mormorio della natura selvaggia, estremamente piacevole e decise di fermarsi per riposare un po’: si sbarazzò quindi del peso dell’armatura per sciogliere i muscoli per poi rimanere immobile per alcuni momenti, godendosi la sensazione del sole sulla faccia e una leggera brezza che le faceva ondeggiare i lunghissimi capelli, poi si inginocchiò sulla riva del torrentello, chinandosi in avanti per bere un po’ d’acqua, mentre i suoi occhi individuarono alcune trote che nuotavano placidamente nella corrente…
Fu a quel punto che un saluto colse Seayne completamente alla sprovvista: più per la sorpresa che per lo spavento: la guerriera reagì d’istinto e si mise in guardia, pronta a ghermire chiunque le si fosse avvicinato ma, non appena vide chi le aveva rivolto il saluto e non percependo nessuno Yoki, la ragazza si rilassò e rispose educatamente. Davanti a Seayne, poco lontano dalla base della collinetta, un omino era seduto a terra a gambe incrociate: alto poco più di un metro e mezzo, la sua pelle era molto scura, come se fosse stata esposta al sole per molti anni e i suoi capelli, lunghi oltre le spalle, incanutiti ma tuttora folti nonostante un’incipiente calvizie che lasciava scoperta tutta la parte superiore della suo cranio, spiccavano al confronto con la sua carnagione. Indossava una sorta di tunica o di veste logora e scolorita dagli anni, la quale sembrava eccessivamente ampia per il fisico asciutto dell’omino, che sembrava molto vecchio. Quello che però maggiormente colpì Seayne furono gli occhi azzurri del vecchio: anche se oramai ridotti a due fessure, essi irradiavano come un’aura di pace e serenità e, uniti alla postura dell’uomo, conferivano alla sua figura un’aria placida e quieta.
Dopo alcuni istanti, l’omino rispose in tono gentile e allegro, lieto di avere qualcuno con cui parlare un po’ dopo tanto tempo. Il nome del vecchietto era Tahzay e le disse che, dopo aver vissuto la maggior parte della mia vita sul mare, aveva deciso di ritirarsi lontano da tutto e tutti per meditare e trovare pace. Seayne, incuriosita dai modi gentili dell’omino, reclinò il capo in segno di rispetto nei suoi confronti e poi, sorridendogli, rispose presentandosi a sua volta e ringraziandolo per i suoi modi gentili: infatti le parole dell’uomo, il quale poco dopo lodò l’operato suo e delle sue compagne lasciarono interdetta la guerriera albina la quale, viste le esperienze passate, mai si sarebbe aspettata un’accoglienza del genere da parte di un umano.
Fatte le presentazioni, Tahzay chiese a Seayne la cortesia di pescare per lui un paio di trote dal torrentello in quanto lui era ormai troppo vecchio e le sue mani tremavano troppo per riuscire a prenderle: mossa a pietà dall’umile richiesta, Seayne accettò intuendo anche che tale esercizio si sarebbe rivelato utile anche per lei, quando avrebbe dovrò procurarsi quel poco cibo che le serviva. Dopo alcuni fallimentari tentativi di pescare con le mani, aiutata dai consigli del vecchio, Seayne riuscì a mettere a punto una sua tecnica di pesca con le mani e così, circa mezz’ora dopo, tre grosse trote giacevano sull’erba del prato.
Al tramonto, le trote erano state arrostite a puntino su un bel fuocherello acceso da Tahzay all’interno del suo rifugio: esso era costituito da una piccola spelonca circolare e di profilo leggermente a cupola, che era situata all’interno della collinetta stessa. Il fumo del focolare usciva attraverso un foro scavato dallo stesso Tahzay, all’epoca del suo arrivo, sulla cima rocciosa della spelonca, evitando così di ristagnare all’interno. L’eremita e la guerriera albina mangiarono in silenzio, assaporando quelle trote; una volta finito di mangiare e aver fatto bruciare nel fuoco morente gli ultimi resti dei pesci, entrambi rimasero seduti a fissare le braci le quali, lentamente, andavano spegnendosi…
Ancora una volta fu Tahzay a rompere il silenzio, ringraziando Seayne per il suo gesto gentile e scusandosi con lei nel caso l’avesse distolta da una caccia. La guerriera albina lo rassicurò, affermando che la sua presenza in quel luogo era dovuta al fatto che l’Organizzazione aveva deciso di schierare le guerriere sul territorio, affinché esse fossero più veloci a intervenire quando fosse stato richiesto il loro aiuto e che a lei era toccato in sorte quel territorio e gli confidò che stava cercando un posto dove potersi sistemare in attesa di ordini, ringraziando poi il vecchietto per la gentile accoglienza. Seayne infine provò ad approfittare della gentilezza di Tahzay, chiedendogli alloggio per quella notte. Tahzay, che aveva osservato attentamente Seayne fin dal primo momento che l’aveva vista, fu all’improvviso scosso da alcuni colpi di tosse e Seayne si protese istintivamente verso di lui per aiutarlo e, appoggiandosi a lei, Tahzay riuscì a rimettersi a sedere con le gambe incrociate. Respirando a fatica, il vecchio richiamò l’attenzione della guerriera albina e le disse che poteva fermarsi quanto desiderava, in quanto quel posto non era di nessuno e lui non l’avrebbe occupato ancora per molto tempo in quanto era vecchio e malato.
Il vecchio eremita a quel punto affermò di aver vissuto a lungo e intensamente e di aver dedicato i suoi ultimi anni alla ricerca della pace per la sua anima. Di fronte allo sguardo perplesso della guerriera albina, la quale evidentemente non capiva il significato delle parole del vecchio, Tahzay tirò fuori da sotto la sua veste un cilindro di bambù largo tre dita, sigillato a un’estremità e con un evidente tappo di chiusura sull’altra e glielo porse… Di fronte allo sguardo perplesso di Seayne, Tahzay le spiegò di aver rinvenuto l’oggetto tra le mani di uno scheletro di un vecchio saggio che era vissuto su di un istmo nell’estremo sud: preso dalla curiosità, credendo che dentro ci fosse qualcosa di estremamente prezioso per quell’uomo: lo aprì e scoprì che esso in realtà conteneva dei fogli sui quali vi erano scritti tutti i suoi insegnamenti, vergati come brevi e importanti frasi scritte, me ne sono reso conto poi, per essere facilmente memorizzate, meditate e, se uno vuole, messe in pratica. Esse descrivono una sorta di cammino spirituale, uno stile di vita, una via che se percorsa con costanza e applicazione, mirava a portare chi la seguiva alla pace dello spirito, liberandolo dai tormenti dell’esistenza. Tahzay, inizialmente deluso, non seppe spiegare perché non se ne liberò ma poi, anni dopo, iniziò quasi per caso a leggere quel che c’era scritto in quei fogli e, nonostante l’iniziale scetticismo, alla fine ammise che quegli insegnamenti gli erano stati d’aiuto.
Seayne, ancora dubbiosa e un po’ preoccupata per la salute del vecchietto, gli chiese perché ora volesse lasciare a lei quell’oggetto e perché voleva lasciarle questo posto, dal momento che era malato e di sicuro non poteva mettersi in viaggio. Tahzay rispose che riteneva che, con quegli insegnamenti Seayne avrebbe potuto trovare la pace che la sua anima cercava. Negli anni l’eremita aveva incontrato tre guerriere molto diverse tra loro come carattere ma tutte, senza eccezione alcuna, avevano nei loro sguardi lo stesso dolore che Tahzay vedeva riflesso negli occhi d’argento della guerriera albina! Mentre Tahzay stava per concludere, dicendo che le lasciava quegli scritti in cambio del suo gesto generoso, altri colpi di tosse squassarono il suo fragile corpo. Tahzay si stese a terra, sorretto gentilmente da Seayne. Il vecchio non si accorse o fece finta di non accorgersi di un rivoletto di sangue che gli era colato dal lato destro della bocca…
Nonostante questo, il vecchio ebbe la forza di incoraggiare Seayne a leggere quegli insegnamenti e metterli in pratica senza esitare mai, per quanto potessero sembrare difficili convinto che, alla fine, la ricompensa sarebbe stata grande. Seayne balbettò alcune parole di ringraziamento e, vedendo quel rivoletto di sangue sentì che delle lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi d’argento: non era infatti difficile capire che il buon Tahzay stava morendo. Accortosi del pianto della guerriera, il vecchio cercò di consolarla e di spronarla poi a seguire gli insegnamenti che le lasciava in eredità. Dopo un altro colpo di tosse, oramai con un filo di voce, Tahzay chiese a Seayne un ultimo favore: dopo la sua morte la guerriera avrebbe dovuto bruciare suoi resti su una pira e gettare le ceneri nel ruscello. Questo perché il vecchio eremita avrebbe tanto voluto rivedere il mare un ultima volta, ma era oramai troppo vecchio e stanco per mettermi in viaggio. Però tutti i fiumi arrivano al mare e, se Seayne avesse esaudito la sua richiesta, prima o poi quel che sarebbe rimasto di Tahzay avrebbe raggiunto anch’esso il mare, portatovi dalla corrente. Seayne gli diede la sua parola.
Il mattino dopo, Tahzay non c’era più. Se n’era andato serenamente durante la notte. Seayne andò nel bosco vicino e raccolse della legna con la quale, assieme a paglia e sterpaglie trovate lì attorno, preparò la pira funebre per il vecchio e poi, depostovi sopra il corpo, bardata di tutto punto accese il fuoco, rimanendo a vegliare il falò finché le fiamme non si furono completamente estinte. Quindi raccolse le ceneri rimaste e le gettò nel torrentello, rivolgendo un ultimo saluto a quel gentile amico. In silenzio attese che l’acqua ritornasse limpida e poi la guerriera albina ritornò al rifugio nella collinetta, nel quale aveva deciso alla fine di fermarsi, si tolse l’armatura rimanendo solo con l’uniforme addosso, e si sedette a terra, riflettendo. Seayne cercò di immaginare qualcosa da fare per ingannare l’attesa della prossima missione. Infatti la ricerca di un posto dove stare le serviva anche per mantenere la mente impegnata. Ora che il problema dell’alloggio e del vitto era stato risolto, cosa avrebbe potuto fare per evitare che i suoi ricordi – soprattutto quelli di Stephan - e quella sua sinistra voce interiore tornassero a tormentarla? Fu a quel punto che il suo sguardo cadde sul cilindro di bambù contenente i fogli con gli insegnamenti di Tahzay, rimasto appoggiato a terra e le tornarono in mente le parole del vecchio eremita… I dubbi e le perplessità della guerriera riguardo il contenuto dell’oggetto lasciarono il posto alla curiosità, così Seayne raccolse il cilindro, lo aprì e ne estrasse i fogli che conteneva, cominciando quindi a leggere quello che c’era scritto…
Dopo alcuni giorni dedicati alla lettura di quel manoscritto, Seayne prese l’unica cosa che aveva portato con se da Staph: i resti dell’uniforme che aveva indosso a Trem e a Rabona, macchiata indelebilmente dal sangue suo e del primo Yoma che aveva ucciso da guerriera graduata: uniforme che era per lei la rappresentazione fisica dei suoi più tristi ricordi dalla morte dei suoi genitori e del suo villaggio: la guerriera albina rimase a osservarla in silenzio per alcuni minuti e poi, dopo aver tratto un lungo sospiro decise di seguire gli insegnamenti che Tahzay le aveva lasciato e di metterci tutto il suo impegno, convinta in cuor suo che il giorno nel quale sarebbe riuscita a guardare quella vecchia uniforme senza provare dolore o rabbia, avrebbe capito di aver raggiunto il suo scopo!

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07-02-2016, 05:30 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 07-02-2016 05:35 PM da Nardo.)
Messaggio: #11
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO X: THE FORGOTTEN II

Era la mattina di quella che si preannunciava come una calda giornata estiva quando Seayne, dopo un lungo ma piacevole e tranquillo viaggio arrivò alla destinazione che le era stata indicata nei suoi ordini: il minuscolo villaggio di Ben, situato in una tranquilla area dell'estremo sud-est di Toulouse, una zona isolata lontana dalle principali vie di comunicazione, nella quale sembravano vivere sì e no una trentina di persone tra uomini, donne, anziani, e bambini.
Mentre la guerriera albina attendeva all'ombra di una grande quercia che sorgeva poco lontano dal villaggio, altre guerriere si radunarono poco a poco nello stesso luogo. Erano: Crystal, la numero 34; Juliet, numero 36; poi fu la volta di una vecchia conoscenza di Seayne, la numero 35, ovvero la sua amica Alicia. Poco dopo giunse anche la quinta, la numero 27, Syhlvia. Infine, un'ora dopo Syhlvia, fu la volta della sesta e ultima guerriera, la numero 47, Anna. Sulle prime Seayne non ebbe occhi che per Alicia, che salutò con gioia e con un abbraccio, lieta che l’amica si fosse ripresa dallo choc che l’aveva colpita alla fine dell’ultima missione assieme, che era costata la vita alla loro caposquadra, Saphelia. Alicia rispose con calore al saluto, rassicurandola e apparendo allegra come sempre. Dopodiché Seayne si informò con le altre compagne se qualcuna conoscesse i dettagli della missione ma, stranamente, tutte sembravano esserne all’oscuro e dal villaggio non si avvertivano emanazioni di Yoki. Seayne non se ne preoccupò più di tanto, supponendo che presto qualcuno le avrebbe raggiunte per fornir loro ulteriori ragguagli e si appartò con Alicia per chiacchierare un po’ con lei.
Passarono così alcune ore, durante le quali le guerriere si trovarono a dover rassicurare gli abitanti del villaggio sul fatto che non correvano pericoli quando, verso mezzogiorno arrivò una grande, lugubre carrozza trainata da quattro cavalli: nera come la pece e dall'aspetto decrepito somigliava più ad un carro funebre che a qualsiasi altra cosa. Il veicolo si fermò davanti alle guerriere e il cocchiere – un accolito di Staph - un uomo pallido e ossuto che pareva un becchino, scese e prese in consegna le spade delle guerriere, depositandole in uno scompartimento per i bagagli, intimando poi a tutte loro di salire a bordo. Una volta accomodatesi, Seayne e le altre si trovarono di fronte l'inquietante figura del Maestro Duncan: Seayne rivolse un rispettoso cenno di saluto col capo all’uomo in nero, prima di spostarsi e liberare l’ingresso al carro a favore delle compagne. La guerriera albina cercò di sistemarsi abbastanza vicino al supervisore: la sua presenza non la turbava più di tanto: in fondo era uno dei capi e se si fosse rivolta a lui col dovuto rispetto, perché averne paura? Inoltre da quella posizione avrebbe potuto udire meglio le parole del supervisore a dispetto degli scricchiolii del mezzo e avrebbe permesso alle altre compagne, nel caso fossero state intimorite dalla presenza dell’uomo, di frapporre lei, una compagna, tra lui e loro. L’uomo in nero attese che il carro riprendesse la marcia, prima di iniziare a parlare, fornendo alle guerriere una stringata spiegazione del perché fossero state tutte convocate in quel posto sperduto, anziché al Quartier Generale… tutte loro erano state convocate per prendere parte a un’ indagine segreta riguardante certi avvenimenti dei quali l'Organizzazione non era ancora stata informata, perché vi erano alcune... circostanze che prima l’uomo in nero voleva verificare di persona e, viste le modalità di “convocazione” delle guerriere, la faccenda sembrava molto delicata. Il supervisore le informò che erano diretti a sud, verso un villaggio di nome Shaemoor. ove il maestro Duncan contava di trovare quel che cercava. Inoltre l’uomo prevedeva dei possibili scontri con qualche Yoma, ma anche con altre…guerriere? O addirittura con delle… risvegliate? Ma che voleva dire?
Seayne non desiderava uccidere delle compagne, o ex compagne che fossero: ragazze che avevano sofferto come lei e forse anche più di lei. Tuttavia ciò era implicito nelle regole che le erano state imposte come guerriera e che lei aveva accettato il giorno in cui si era graduata. E poi, se le guerriere di cui parlava Duncan si fossero macchiate di qualche crimine? Mentre rifletteva su questo, le venne in mente uno degli aforismi che aveva studiato: -Colui che ha realizzato la sua identità spirituale non ha interessi personali nell'adempiere i doveri prescritti né ha motivo di non compiere tali doveri. Egli non dipende da alcuno per nessuna cosa. Si devono dunque compiere il proprio lavoro e le proprie azioni per dovere, senza attaccamento ai frutti dell'azione, perché agendo senza attaccamento si raggiunge il Supremo!- Che l’aiutò a mettere ordine ai suoi pensieri e sentimenti. A quel punto Seayne ripassò mentalmente le parole del maestro. C’era un termine: “Risvegliate”, che lei non aveva mai udito e desiderava saperne di più, sia di quello che di altre cose, perciò si mise a sedere composta e, guardando verso il volto del supervisore, tentando di penetrare quella cappa oscura che lo avvolgeva, badando a non ostentare uno sguardo di sfida, con voce rispettosa gli chiese innanzitutto se sarebbe stato direttamente lui il comandante “sul campo” oppure se avrebbero dovuto agire loro sei ad agire per dargli la possibilità di cercare le informazioni delle quali avete bisogno. La guerriera albina desiderava inoltre sapere se le guerriere alle quali aveva accennato fossero delle ribelli e, se sì, qual’ era stato il loro numero in graduatoria quando se ne erano andate. E infine: chi o cosa fossero le “Risvegliate”, creature di cui non aveva mai sentito parlare…
Senza preoccuparsi di nascondere il suo fastidio, il maestro Duncan rimarcò il fatto che, essendo lui presente, era sottinteso che avrebbe avuto lui il comando; in seconda battuta chiarì che non si conosceva l’identità di queste guerriere e accertarsi della loro identità era uno degli scopi della missione e infine… svelò loro la vera natura delle “Risvegliate”: durante l’addestramento, alle guerriere veniva insegnato che se abusavano dei loro poteri, correvano il rischio di diventare degli Yoma, ma ciò era falso! Una guerriera che supera il suo limite non diventa un misero Yoma, ma bensì un mostro molto più potente e temibile di quanto il più feroce degli Yoma potrebbe mai essere! Per una guerriera “normale” non esisteva avversario peggiore che potesse incontrare. La verità contenuta in quelle parole ebbe su Seayne lo stesso effetto che ha su un umano una secchiata di acqua gelida… fu in quell’attimo che la guerriera albina realizzò cosa fosse quella voce che urlava nel suo intimo quando la rabbia la coglieva ed ecco perché era così difficile da reprimere! Non ero lei ma quella parte di lei che bramava di liberare tutta la sua potenza, anche a costo della mia anima umana! Tuttavia, riflettendoci un po’ su, quell’attimo di turbamento passò velocemente quando, forse grazie agli insegnamenti ereditati dal Maestro Tahzay, Seayne realizzò che in realtà però, non è che cambiasse molto! Yoma o Risvegliata, debole o potente, comunque non sarebbe più stata lei, ma un essere pericoloso che bisogna abbattere per il bene comune! Se le guerriere citate da Duncan si fossero rivelate delle risvegliate, allora per il loro stesso bene dovevano essere uccise! Realizzato ciò, Seayne si rasserenò e, pur non potendo assumere la posizione corretta per meditare, chiuse gli occhi assecondando le oscillazioni del carro, mentre cercava di eseguire i suoi esercizi respiratori: un atto che l’aiutava sempre a recuperare e mantenere la calma, ignorando il successivo scambio di battute tra il maestro e Juliet… evidentemente gli uomini in nero centellinavano le informazioni che fornivano alle guerriere in missione: solo quel che bastava per cercare di evitare che le stesse ci lasciassero la pelle… forse. A quel punto calò il silenzio, interrotto solo dallo stridio lamentoso della struttura della vecchia carrozza: Seayne ormai ci si era abituata e il rumore, nonché il tremolio del carro non le davano più fastidio. La guerriera albina chiuse gli occhi e, continuando a respirare in maniera cadenzata, si ritrasse in sé stessa… date le ultime rivelazioni, aveva molto su cui meditare.
Dopo cinque giorni di viaggio, sembrava che la comitiva avesse finalmente raggiunto, poco prima di mezzogiorno, la sua vera destinazione: il villaggio di Shaemoor. Mentre scendevano in un boschetto poco distante dall’abitato, Seayne diede una prima occhiata alla cittadina, illuminata da un sole splendente: sembrava tutto normale ma mentre scioglieva i muscoli vide infatti Crystal, la prima guerriera che aveva incontrato a Ben, dirigersi velocemente dal Maestro Duncan e avvisarlo riguardo l’aver percepito un folto numero di yoki in movimento provenire dal centro di Shaemoor; la maggior parte apparteneva a Yoma, la minoranza invece aveva un'emanazione diversa, forse guerriere. Senza quasi pensarci, Seayne attivò la sua percezione dello yoki, orientandola verso dove riteneva vi fosse il centro del villaggio, constatando che Crystal non solo aveva ragione, ma anche che la compagna era in grado di discriminare i tipi di yoki che percepiva, mentre per lei erano tutti uguali. Seayne era un po’ invidiosa della notevole capacità della compagna e del potenziale che questa poteva sviluppare in futuro, ma la sua invidia non era fonte di disprezzo, bensì di sincera ammirazione. La Numero 19 si complimentò con la compagna, ma in quel frangente le priorità erano altre: era il momento giusto per cercare di capire chi avesse comandato il gruppo sul campo, perciò Seayne con una mano si buttò i capelli all’indietro e si avvicinò al Maestro Duncan e, rivolgendosi a lui con tono rispettoso ma fermo, gli suggerirei di muoversi verso la direzione indicata da Crystal, con quest’ultima, lei e Juliet davanti e Shylvia, Alicia e Anna di retroguardia e l’uomo in nero in mezzo a loro. In ogni caso Seayne avrebbe preferito che Anna rimanesse vicino al superiore per protezione, non sapendo ancora di preciso a cosa andavano incontro. Seayne sperava in tal modo di riuscire anche a proteggere la Numero 47, la più debole del gruppo, evitandole di esporsi direttamente al pericolo. Seayne concluse mettendo in guardia le sue compagne sul fatto che gli Yoma potessero usare gli umani come scudi, le esortò a coprirsi gli occhi o a non guardarla qualora l’avessero sentita gridare “ORA”, ovvero nel momento in cui la guerriera albina avesse deciso di utilizzare la sua abilità: “Polaris”, chiedendo loro infine in quale delle loro doti si sentissero più forti.
Il maestro Duncan sembrava soddisfatto di essere arrivato in quel momento, un po’ meno delle esternazioni di Seayne, affermando poi che per quando sarebbero giunti, gli yoma non sarebbero più stati un problema, ammonendole di tenersi pronte a tutto ma di non agire senza un suo ordine diretto, incamminandosi poi subito dopo a passo spedito verso il centro del villaggio. Le guerriere lo seguirono, disponendosi in formazione come suggerito da Seayne; il gruppo così schierato fece il suo ingresso a Shaemoor e si diresse verso la piazza principale, al centro del villaggio. All'inizio incontrarono poca gente, ma man mano che si avvicinavano a destinazione il numero di abitanti che incrociavano sulla loro strada aumentava sempre di più. I più le osservarono con un misto di sorpresa e curiosità. Quando poi raggiunsero i bordi della piazza, trovarono una vera e propria folla, radunatasi lì per assistere a qualcosa che il gruppo ancora non vedeva; la gente comunque impiegò poco ad accorgersi del gruppo ma, a parte poche persone, la folla sembrò di buon umore, felice persino. Dopo qualche secondo di imbarazzo alcuni civili si avvicinarono addirittura per ringraziare le guerriere e per stringere loro la mano: un comportamento inusuale e bizzarro che lasciò perplesse le ragazze, le quali non ne comprendevano il motivo, non avendo Seayne e le altre fatto ancora nulla. Quando il gruppo sbucò nella piazza trovò che a terra, in mezzo ad un lago di sangue violaceo, c’erano i resti fatti a pezzi di almeno quindici Yoma; in piedi, accanto ad essi, vi erano cinque guerriere che indossano l'armatura dell'Organizzazione. Se ne stavano lì, immobili, armi in pugno e sguardo assente, apparentemente ignare dell'arrivo della squadra agli ordini di Duncan. La prima era alta e slanciata, con i capelli bianchi portati a caschetto; la seconda era di altezza nella media, robusta, e portava anch'essa i capelli a caschetto, anche se i suoi erano biondo spento; la terza era più bassa, magra, e portava i suoi capelli biondo vivo raccolti in una coda di cavallo; la quarta era alta come la seconda, ma decisamente più in carne, quasi grassa, e aveva la testa rasata; la quinta, infine, era alta come la terza e portava pure lei i capelli color paglia raccolti in una coda di cavallo, solo che la sua era collocata bizzarramente sul lato destro della testa. Anche dopo l’arrivo del gruppo di Duncan, nessuna di esse accennò ad alcuna reazione. Seayne non sapeva cosa pensare del loro atteggiamento, ipotizzando addirittura potesse essere una conseguenza del risveglio ma, ricordando le scarne informazioni che il superiore aveva fornito a lei e alle compagne, decise di accantonare per il momento le sue teorie e preoccupazioni cercando di concentrarsi sul presente. Quindi, per avere un’idea della potenza di quelle misteriose guerriere puntò su di esse la sua percezione e chiese a Crystal se fosse stata in grado di determinare quali di quelle ragazze avesse avuto lo yoki più forte. Seayne si fidava della sua percezione ma, avendo dimostrato Crystal un’abilità più affinata della sua, forse era in grado di cogliere delle sfumature che a lei potevano sfuggire. In pochi istanti tutto fu chiaro: le due guerriere con i capelli a caschetto e quella con la coda di cavallo sulla destra avevano lo yoki più potente tra le cinque, anche se "potente", nel loro caso specifico, equivaleva ad un livello analogo a quello che potrebbero avere delle guerriere che in graduatoria occupano una posizione dal numero 40 in giù; lo yoki delle altre due invece era così debole che poteva essere paragonato sì e no a quello delle semplici novizie. La situazione di stallo venne spezzata dall’improvviso suono di un corno che attraversò l'aria con una singola nota, alla quale le misteriose guerriere reagirono all’unisono, girandosi di scatto dando le spalle al gruppo di Duncan e si mettendosi a correre nella direzione opposta, tentando evidentemente di scappare. L’uomo in nero reagì ordinando alle “sue” guerriere di catturare le fuggiasche. L’ordine risultò gradito a Seayne la quale, non riuscendo a venire a capo della situazione, preferiva di gran lunga catturare una guerriera – o presunta tale – piuttosto che ucciderla e, dando una voce alle compagne, si gettò all’inseguimento della guerriera con la coda sulla destra, pensando di far valere la sua velocità superiore per prenderla.
All'ordine dell'uomo in nero, anche le altre guerriere della sua scorta si lanciano all'inseguimento delle fuggiasche; tutte meno una, Anna, che decide di restare al fianco del Maestro, forse perché memore delle parole pronunciate da Seayne al momento del loro arrivo, o forse perché, dato che le avversarie sono in cinque e le sue compagne (che tra l'altro sono tutte di rango ben più alto di lei) pure, non ritiene che ci sia bisogno di un suo intervento. Seayne corse dietro alla guerriera con la bizzarra coda di cavallo portata di lato: la sua idea è semplicemente quella di far cadere l'avversaria colpendola alle gambe, senza però tentare di amputarle alcunché. Tuttavia il distacco tra lei e la sua preda si mantenne, con stupore della Numero 19, pressoché costante, segno che loro due si muovono praticamente alla stessa velocità. Neanche il tempo di rendersene contro che il suono del corno si fa sentire un'altra volta, con una nota però diversa rispetto a prima. Reagendo al suono del corno, e ancora una volta muovendosi in perfetta sincronia, le guerriere misteriose smettono immediatamente di scappare e si lanciano invece all'attacco del gruppo! Nella concitazione, le avversarie di Shylvia e di Alicia rimangono uccise, mentre la nemica di Seayne si volta di scatto, e si scaglia contro di lei vibrando un affondo di spada diretto al petto della guerriera albina. Forse grazie all’addestramento spirituale al quale si era sottoposta negli ultimi tempi, Seayne riuscì a mantenersi calma e lucida di fronte all’improvviso voltafaccia dell’avversaria e rapidamente pensò alla sua contromossa, aumentando nel contempo il suo yoki al 30% per di guadagnare un po’ più di velocità rispetto alla nemica. Quell’atto le consentì di evitare elegantemente l'affondo dell'avversaria grazie ad uno spettacolare salto acrobatico con annessa piroetta a mezz'aria che le consentì di portarsi alle spalle della guerriera misteriosa: da quella posizione favorevole, la guerriera albina sferrò un fendente a due mani con il quale mozzò di netto la gamba sinistra dell'avversaria; quest'ultima, sbilanciata, stava per cadere in avanti, ma all'ultimo momento riuscì a mantenersi in posizione eretta puntellandosi con la spada. A quel punto la guerriera misteriosa, senza mostrare alcun cenno di dolore sul suo volto inespressivo, si voltò verso una evidentemente turbata Seayne e, dandosi la spinta con la gamba rimasta, tentò di saltare addosso alla guerriera albina, con la spada protesa in avanti per menare un nuovo affondo. Seayne però, aspettandosi una reazione da parte dell'avversaria, si mise fuori portata con un agile balzo all'indietro, sicché la guerriera misteriosa trovò solo aria di fronte a sé e finì per cadere lunga distesa per terra a pancia in giù. Eppure, nonostante tutto, non si diede per vinta e subito tentò, seppur a fatica, di rialzarsi aiutandosi con la sua arma. Ancora disorientata dalla capacità avversaria di ignorare il dolore, Seayne si portò con un balzo vicino alla guerriera misteriosa e, con un colpo di spada ben assestato, colpì l'arma dell'avversaria strappandogliela via dalle mani e scagliandola a qualche metro di distanza, in un'area vuota della piazza dove atterra senza conseguenze. La guerriera misteriosa, privata del suo sostegno mentre cercava di rialzarsi, finisce di nuovo con la pancia a terra. Eppure, ella ancora non si arrende e di nuovo tenta in qualche modo di rialzarsi, seppur con estrema difficoltà anche se, oramai, era sconfitta.
In quel preciso istante però, un evento inaspettato cambiò completamente il corso della battaglia. Ad un tratto infatti, tutte le guerriere presenti percepirono distintamente delle emanazioni di yoki provenienti dai cadaveri delle due guerriere misteriose uccise da Syhlvia ed Alicia. Il che non aveva alcun senso, dato che quelle due erano palesemente morte: una era stata trafitta al cuore, l'altra aveva avuto la gola tagliata ed era stramazzata a terra senza nemmeno tentare di rigenerarsi. Eppure, per quanto la cosa possa sembrare assurda, e lo è, quegli yoki che fino ad un attimo prima erano totalmente scomparsi, erano ricomparsi di nuovo. Anzi, non solo erano riapparsi, ma stavano anche aumentando in maniera vertiginosa. Esclamazioni di stupore proruppero all’unisono da Alicia e Syhlvia, un attimo prima che delle vere e proprie esplosioni di yoki inducessero in pochi secondi dei mutamenti drastici nei corpi delle due guerriere cadute: la grassona pelata di fianco a Syhlvia si trasformò in un mostro completamente nero e alto circa due metri, provvisto di un paio di grosse corna appuntite lunghe almeno 50 centimetri sulla testa, di una coda di un metro e mezzo, e di gambe e braccia così muscolose da far sembrare per contrasto meno grasso il torso che comunque rimaneva bello robusto; la guerriera con la coda di cavallo trafitta da Alicia invece mantenne un aspetto umanoide, se non fosse che era diventata una gigantessa alta 6 metri e completamente marrone, con zanne acuminate al posto dei denti, e artigli stile yoma su mani e piedi.
Entrambe le Risvegliate – tutte le guerriere presenti lo avevano ormai capito - attaccarono immediatamente le guerriere a loro più vicine: La gigantessa si china in avanti e cercò di afferrare Alicia con la mano destra, ma la numero 35 la evitò allontanandosi con un balzo all'indietro; il mostro nero invece partì alla carica contro Syhlvia con l'apparente intenzione di infilzare la guerriera con le sue corna. La numero 27 tuttavia balzò agilmente fuori traiettoria, sicché il mostro, che parve non essersene accorto, proseguì nella sua corsa e puntò ora in direzione di Seayne e della guerriera misteriosa a pochi passi da lei. Seayne avvertì chiaramente la sua rabbia innata ribollirle dentro: rabbia per essere stata messa in quella situazione, per quello che aveva visto, per quello che stava succedendo a lei, alle sue compagne e alle loro nemiche! Sarebbe stato facile abbandonarsi a quella furia combattere come una belva impazzita uccidere o essere uccisa, ma la guerriera albina si rifiutò di lascarsi andare, guidata dal suo addestramento spirituale e dal senso di responsabilità nei confronti delle compagne. Così Seayne scacciò dalla sua mente dubbi e tentazioni, regolò la sua respirazione e, così facendo, ricacciò la rabbia nei più profondi recessi della sua anima, recuperando la lucidità necessaria in quel frangente… la risvegliata, il cui livello di yoki sembrava ora paragonabile a quello di Shylvia, si stava precipitando su di lei e in pochi istanti le sarebbe stata addosso. Seayne aumentò il suo yoki al 50% per raddoppiare la massa muscolare e si preparò ad affrontare la carica dell’avversaria. La risvegliata taurina, lanciata nella sua carica a testa bassa, prima travolse e calpestò senza pietà la sua ex-compagna che tentava di rialzarsi e quindi puntò verso la guerriera dell'Organizzazione. Seayne però balzò agilmente fuori traiettoria portandosi alla destra della risvegliata, e da quella posizione sferrò un fendente a due mani contro la gamba destra del mostro nel tentativo di mozzargliela. L'attacco della Numero 19 andò a segno e colpì l'avversaria all'altezza della coscia, rivelandosi tuttavia inefficace: la trasformazione aveva indurito la pelle della risvegliata fino a renderla resistente quanto una corazza, e il fendente che Seayne sferrò con tutta la sua forza rimbalzò contro il bersaglio senza infliggere niente di più che una ammaccatura. La Risvegliata, praticamente illesa, superò Seayne e proseguì nella sua carica raggiungendo i bordi della piazza, fermandosi solo dopo aver abbattuto il muro perimetrale di un edificio che le sbarrava la strada. A quel punto, dopo qualche secondo impiegato per riemergere dai detriti, la risvegliata si guarda intorno alla ricerca del bersaglio più vicino, individuando Crystal e la guerriera misteriosa ad una ventina di metri da lei, ripartendo quindi con una nuova carica a testa bassa stavolta in direzione della Numero 34.
Come se ciò non fosse abbastanza, una nuova minaccia si materializzò sul campo di battaglia, annunciata da un'esplosione di yoki proveniente dal cadavere della guerriera travolta dalla carica della risvegliata con le corna. La nuova risvegliata – perché di questo si tratta - ha l'aspetto bizzarro di grosso occhio da Yoma circondato da otto tentacoli posto all'estremità di quello che sembra il corpo di un serpente che si tiene eretto sulla coda. Non è chiaro dove si trovi la bocca, ammesso e che ve ne sia una. La nuova nemica, che si trova a pochi metri da Seayne, ha uno yoki che rivaleggia con quello della Numero 19. Quest’ultima però, mentre attendeva l’inevitabile risveglio della sua avversaria, ebbe il tempo di dare un’occhiata al campo di battaglia e di notare che Juliet aveva decapitato la sua avversaria e che questa non si risvegliava, rimanendo semplicemente… morta! La caposquadra diede quindi ordine alla Numero 36 di aiutare Crystal, ancora alle prese con una guerriera non risvegliata e di decapitarla. Dopodiché si preparò ad affrontare la risvegliata più forte del gruppo e a utilizzare per la prima volta in battaglia la sua abilità speciale: Polaris. Il piano della Numero 19 era semplice: prima correre verso l'avversaria fino ad averla a portata di lama, poi spiccare un balzo verso l'alto gridando a pieni polmoni la parola in codice che avrebbe avvisato le compagne della necessità chiudere gli occhi (o quantomeno di guardare da un'altra parte), quindi abbagliare la risvegliata con Polaris, ed infine vibrare un fendente verticale a due mani dritto nel bulbo oculare della risvegliata accecata in modo tale da ucciderla o almeno ferirla gravemente. Facile. Veloce. Efficace. In teoria. Se non fosse per un piccolo particolare: Seayne non aveva considerato la possibilità che la nemica potesse essere più veloce di lei, e dunque perfettamente in grado di reagire alla sua offensiva. Una svista che alla Numero 19 costò cara. Appena Seayne spiccò il suo balzo per piombare addosso alla risvegliata infatti, la nemica la trafigge alla spalla sinistra e alla coscia destra con due dei suoi tentacoli mentre si trova a mezz'aria, e quindi impossibilitata a schivare; la guerriera albina riuscì comunque ad utilizzare Polaris e ad accecare la risvegliata, salvandosi così da altri quattro tentacoli che in caso contrario l'avrebbero sicuramente colpita in pieno, ma ora si ritrovava appesa a tre metri da terra e sballottata di qua e di là dalla nemica che si agitava in preda al panico per l'improvvisa cecità. I tentacoli del mostro, pur essendo veloci e forti non erano altrettanto robusti, motivo per cui Seayne riuscì a liberarsi dall'infelice situazione nella quale si era venuta a trovare mozzando prima il tentacolo che le aveva trafitto la spalla sinistra e poi quello che le aveva perforato la coscia destra con due fendenti di spada in rapida successione. A quel punto la guerriera albina si trovò a precipitare al suolo da un'altezza di tre metri, riuscendo però ad ammortizzare la caduta evitandosi di subire ulteriori danni. La guerriera albina si ritrovò quindi a fronteggiare l’avversaria la quale, nel frattempo, aveva smesso di agitarsi perché, terminato l'effetto abbagliante di Polaris, aveva recuperato la vista: inaspettatamente però la risvegliata non provò minimamente ad attaccare Seayne, ma anzi, schizzò via velocissima saltellando a zig-zag sulla sua coda come se fosse una molla, allontanandosi dalla Numero 19. Indolenzita e sorpresa, Seayne ne approfittò per fare nuovamente il punto della battaglia: sembrava che Crystal e Juliet fossero riuscite a decapitare l’ultima guerriera non ancora risvegliata; il problema per quelle due era che Cornuta stava per tornare alla carica! Ma prima che Seayne potesse dir loro qualcosa, un urlo lanciato da una voce a lei ben nota squarciò l’aria: la risvegliata gigante aveva acchiappato al volo Alicia e, stringendola nel pugno, le aveva probabilmente stritolato le gambe. Un urlo d’angoscia proruppe dalla gola di Seayne mentre questa, istintivamente, cercò di correre verso l’unica guerriera che, finora, le aveva dimostrato sincera amicizia, ma la ferita alla gamba destra non glielo permise, costringendola al passo e a imprecare! Fortunatamente, prima che Titania si mangiasse la compagna, Syhlvia intervenne riuscendo finalmente ad assestare un fendente alla gigantessa che riuscì a ferirla alla caviglia sinistra, il che fece infuriare l’enorme risvegliata la quale a quel punto tentò ripetutamente di schiacciare la guerriera che l’aveva ferita sotto i propri piedi: la sua mole però era tale che, almeno per il momento, Syhlvia riusciva a schivare agilmente tutti i suoi pestoni. Le manovre evasive della Numero 27 però ebbero l’effetto collaterale di farla avvicinare pericolosamente alla risvegliata occhiuta, senza che, apparentemente, la compagna se ne fosse accorta. Seayne urlò alla compagna di fare attenzione. La guerriera albina si rendeva perfettamente conto che, nelle sue condizioni, poteva essere di poco o nessun aiuto tanto ad Alicia quanto alle altre sue compagne: fosse stata la più debole avrebbe forse potuto ignorare la cosa ma, anche se Duncan aveva messo bene in chiaro chi comandava, Seayne non ricordava di averlo sentito profferire il benché minimo ordine: probabilmente stava osservando quanto stava accadendo, assimilando più informazioni possibili… No, toccava a lei, era la Numero 19, la più alta in grado e, teoricamente, la più forte del gruppo, colei sulla quale le compagne contavano: non poteva ignorarle. Fu a quel punto che Seayne realizzò che la risvegliata monocolo si era allontanata precipitosamente da lei dopo il lampo e la gigantessa stava cercando in maniera forsennata di calpestare Syhlvia! In pratica, avevano reagito a una loro mossa che sembrava avergli causato dolore: non si erano limitate ad attaccare senza senso a testa bassa come facevano prima! Forse, che assieme ai loro corpi, si era risvegliata in loro una scintilla di autocoscienza? Potevano sfruttare la cosa a nostro vantaggio?
Fu così che subito dopo aver avvisato Syhlvia della presenza della risvegliata occhiuta, Seayne le ordinò di cercare di far calpestare la risvegliata occhiuta dalla gigantessa e a Crystal e Juliet di cercare di portare la risvegliata taurina a caricare verso la risvegliata gigante, in modo che potesse andare a sbatterci contro. La speranza di Seayne era che se le risvegliate taurina e gigante avessero effettivamente anch’esse acquisito una briciola di autocoscienza, se ferite o spaventate, vista la robustezza dei loro corpi, a differenza dell’occhiuta si avventassero contro chi aveva causato loro del dolore, cioè tra di loro, anziché accanirsi contro di lei e le sue compagne. A quel punto, Seayne si genufletté, poggiando il ginocchio destro a terra, lasciando momentaneamente a terra la sua claymore e, con la mano destra libera, estrasse il moncherino del tentacolo dalla sua gamba. Avrebbe poi subito recuperato l’arma e convogliato il suo yoki nella guarigione della ferita alla coscia destra, per cercare almeno di ridurne la gravità nel minor tempo possibile e recuperare quindi la mobilità dell’arto. Grazie alla grande quantità di yoki utilizzata il processo di guarigione fu abbastanza rapido, ed in poco tempo la maggior parte del danno inflitto dal tentacolo viene riparata: per la completa guarigione sarebbe stato necessario ancora un po' di tempo, ma comunque ora Seayne era in grado di muoversi senza grossi problemi. Ma Syhlvia non riuscì a portare la ciclopica avversaria a tiro della risvegliata gigante perché la prima si dimostrò ancora una volta molto agile, evitando tutti gli attacchi.
Fu così che una nuovamente mobile Seayne, preoccupata dal fatto che Alicia non dava segni di vita e cercando di approfittare del fatto che la monocola al momento sembrava concentrata nel tentativo di seguire Syhlvia e contemporaneamente schivare le pestate della gigantessa, avrebbe cercato di caricare direttamente la risvegliata occhiuta, con l’obiettivo di colpirla al corpo serpentiforme con un fendente da sinistra a destra, per cercare di mozzarlo in due o, quantomeno, di ferirla quel che bastava per rallentarla e/o impedirle di saltellare di qua e di là. L’attacco della guerriera albina salvò Syhlvia da una sicura sconfitta: ferita gravemente all'addome da un tentacolo della monocola che non è riuscita ad evitare , la numero 27 era molto probabilmente destinata a soccombere se il provvidenziale arrivo della compagna non avesse messo in fuga la risvegliata, consentendole di scamparla… la risvegliata infatti, come si accorse del sopraggiungere di Seayne interruppe ogni azione offensiva per disimpegnarsi e saltellare via, salvandosi per un pelo dall'attacco di Seayne e allontanandosi dalla guerriera albina che sembrava farle davvero paura. Da quando era stata abbagliata dalla luce di Polaris, la risvegliata stava facendo del suo meglio per evitare di ingaggiare la Numero 19 in combattimento.
Nel frattempo sembrava che Juliet e Crystal stessero riuscendo a prevalere sulla risvegliata taurina e, vista la situazione, Seayne voleva tentare una nuova strategia, ma fu a quel punto che il maestro Duncan intervenne, ordinando a tutte loro di abbattere la risvegliata occhiuta, la più pericolosa in quanto estremamente veloce, rinviando in un secondo momento l’eliminazione delle altre due. La guerriera albina fu costretta a riformulare la sua strategia, da momento che Seayne non aveva nessuna intenzione di disubbidire al superiore. Fu così che entrò in azione per prima, accecando nuovamente la risvegliata con il bagliore intenso sprigionato dalla sua abilità speciale, Polaris. Proprio come accadde la volta precedente, la risvegliata si fece prendere dal panico per l'improvvisa cecità, e iniziò a dimenarsi furiosamente e a sferzare un'area ampia e profonda di fronte a sé con colpi casuali dei suoi otto tentacoli, probabilmente in un tentativo istintivo di tenere alla larga la pericolosa avversaria. Cosa che peraltro le riuscì, in quanto Seayne si rese conto che provare ad avanzare attraverso quel nugolo di colpi velocissimi e impossibili da prevedere per tentare di colpire l'occhio al di là di essi sarebbe stato praticamente un suicidio, sicché la guerriera albina dovette rinunciare ad attaccare. A Crystal e Juliet andò meglio: le due guerriere, arrivate in leggero ritardo perché all’inizio erano lontane da bersaglio e più lente della caposquadra, ebbero però il tempo di osservare la reazione della monocola e di aggirarla per attaccarla alle spalle, nell'area non coperta dallo sbarramento dei tentacoli. Riuscirono quindi a colpire entrambe il corpo serpentesco della risvegliata, e a tagliarlo in due con relativa facilità coi loro fendenti. Tuttavia, con stupore delle guerriere, la risvegliata interruppe il suo sbarramento di attacchi e il grande occhio ed i tentacoli che lo circondavano si separarono dal resto del corpo, così come una lucertola che si disfa della coda per sfuggire ad un predatore. La nemica era però oramai ridotta soltanto al suo occhio e agli otto tentacoli, due dei quali utilizzati come sostegni per muoversi e sei per difendersi da eventuali attacchi… Senza contare che, in tutta quella confusione, c’erano anche i pestoni della gigantessa da schivare, ma almeno la colossale risvegliata in quel modo stava dando tregua a Syhlvia la quale, forse, avrebbe in tal modo avuto la tranquillità necessaria per rigenerare la ferita. La risvegliata cornuta invece era rimasta ferma, distante dall’azione: forse stava cercando di rigenerare i danni subiti
-Cosa posso fare? Cosa posso fare? -Si chiedeva Seayne mentre un senso di frustrazione iniziava a impadronirsi di lei, il che minacciava di riportare a galla la sua innata rabbia... La guerriera albina iniziava a subire lo stress di quella situazione: gli infruttuosi attacchi alla monocola, le compagne ferite e, non da ultima, la consapevolezza di avere puntato su di se lo sguardo del maestro Duncan, stavano mettendo una enorme pressione sulla ragazza alla quale però, in quel momento, forse proprio grazie alla presenza dell'uomo in nero, ritornò alla mente il suo duello in arena con Angela, la claymore della compagna puntata su di lei e la sua domanda beffarda: Ti arrendi? E, nella mente di Seayne, risuonò come un rombo l’urlo della sua risposta: MAI! E non si sarebbe arresa ora! Quel pensiero ricacciò indietro gli istinti primordiali che stavano per sopraffarla e, ricordando gli esercizi spirituali ai quali si era sottoposta, si impose di calmarsi per meglio valutare la situazione. Fu così che si accorse che l’avversaria non aveva ancora smaltito del tutto gli effetti della sua abilità: bisognava approfittarne per darle il colpo di grazia, finché erano in tempo....
Finalmente le tre guerriere ebbero la meglio: mentre Seayne approfittava del fatto che la nemica era confusa e indebolita per mozzare un paio dei suoi tentacoli e attirare i rimanenti su di sé e riuscendo a schivarli, le altre due riescono finalmente a farsi strada verso il grande occhio e a colpirlo mortalmente con le loro lame, facendolo a pezzi. A suggellare definitivamente la vittoria ci pensò subito dopo la gigantessa la quale, nell'ennesimo tentativo fallimentare di colpire le guerriere, schiacciò i resti martoriati della sua ex compagna con uno dei suoi pestoni riducendoli ad una poltiglia informe. Una in meno: ne rimanevano due!
Il bersaglio successivo delle guerriere fu la gigantessa. Nel tentativo di far crollare a terra il mastodontico corpo della risvegliata, le tre guerriere concentrano i loro attacchi nell'area intorno alle sue caviglie: Crystal e Juliet attaccarono la gamba sinistra, che era stata precedentemente ferita da Syhlvia, mentre Seayne attaccò la destra. I colpi delle guerriere andarono a segno colpendo i loro bersagli quasi in simultanea, tuttavia solo il fendente di Seayne si rivelò abbastanza forte da infliggere dei danni al mostro. Proprio come la numero 19 aveva sperato, il suo attacco recise il tendine d’Achille della risvegliata proprio mentre quest'ultima si preparava a sollevare la gamba sinistra per colpire con l'ennesimo pestone, e il danno inflittole fu tale da costringerla in ginocchio. La risvegliata ruggì per il dolore e la rabbia, e tentò di colpire le guerriere con delle spazzate fatte con le braccia nonostante la sua posizione sfavorevole: Seayne e Crystal schivarono i suoi goffi contrattacchi senza problemi; Juliet rischiò un po’ di più ma anche lei alla fine se la cavò con solo uno spavento e niente di più.
A quel punto, su ordine di Seayne, Crystal e Juliet fecero del loro meglio per attirare l'attenzione della gigantessa mentre la guerriera albina, sfruttando la sua agilità superiore, ne approfittò per portarsi velocemente alle spalle della risvegliata e arrampicarsi sulla sua schiena per raggiungere la testa, impresa resa possibile dal fatto che la nemica, in quel momento, si trovava con il busto leggermente inclinato in avanti. Naturalmente il mostro si accorse della presenza di Seayne appena la sentì camminare sulla sua schiena e subito mosse il braccio destro per cercare di agguantarla, ma la Numero 19 era molto più svelta di lei: dopo aver raggiunto il collo, la guerriera albina infilzò la risvegliata alla nuca e spinse la sua lama all'interno dell’enorme cranio per tutta la sua lunghezza. Seayne inflisse così un colpo mortale alla risvegliata, la quale prima ebbe un sussulto violento che ne scosse il corpo per qualche istante e poi cadde in avanti come un albero abbattuto in un bosco, finendo lunga distesa a faccia in giù e facendo tremare la terra nel tonfo e strappando a Seayne una truce dedica all’amica Alicia, gravemente ferita dal mostro!
Neanche il tempo di esultare per aver abbattuto la seconda risvegliata che un ruggito proveniente dall'altra parte della piazza annuncia alle guerriere che l’ultima risvegliata rimasta aveva finito di rigenerarsi ed era di nuovo pronta a combattere, cosa che dimostrò immediatamente lanciandosi in una delle sue ormai consuete cariche a testa bassa, puntando verso le guerriere ed in particolare verso Juliet. Crystal, in preda a un’agitazione improvvisa, chiese a gran voce alla caposquadra di aiutare Juliet. Seayne rimase momentaneamente interdetta dal fatto che Crystal si fosse messa a dare ordini: aveva infatti pensato di lasciare alle due compagne l’onore e l’onere di abbattere l’ultima risvegliata, visti i buoni risultati del primo scontro, mentre lei si occupava di soccorrere Alicia ma, forse, visto il protrarsi della battaglia, le due cominciavano a sentire la stanchezza. Così Seayne decise di correre in loro aiuto, cercando di non intralciarle ma pronta ad aggredire l’ultima risvegliata dopo che le compagne avessero fatto la loro mossa. Considerato l'ampio preavviso dato dalla distanza che l'avversaria doveva percorrere prima di poter arrivare loro addosso, le tre guerriere non ebbero difficoltà a schivare la sua carica, balzando agilmente fuori dalla sua traiettoria. La corpulenta risvegliata, che voleva centrare Juliet, finì così per colpire soltanto l'enorme cadavere della gigantessa, contro il quale va a sbattere: cosa che oltre ad arrestare bruscamente la sua corsa la lasciò anche leggermente stordita per qualche secondo. Approfittando di quel momento favorevole, prima Crystal e poi Seayne attaccarono Cornuta alle spalle. La prima colpì la risvegliata alla schiena, la seconda, più agile, la centrò alla nuca sperando in una replica del colpo mortale con cui aveva steso la gigantessa. Purtroppo, entrambi gli attacchi si rivelano inefficaci in quanto la robusta corazza della risvegliata taurina, non venne neppure scalfita dalle lame delle guerriere. A peggiorare la situazione si aggiunsero le parole concitate di Crystal che chiedeva a gran voce a Syhlvia e Alicia di rigenerate le loro ferite perché aveva percepito lo yoki di un’altra guerriera molto forte che si avvicinava. A parer suo, l’aura che avvertiva era paragonabile a quella di Minerva del Giudizio, la Numero 10 ma il peggio era che, Anna le stava inconsapevolmente andando incontro! Neanche il tempo di realizzare questo fatto e accadde che la risvegliata cornuta si riprese, e si voltò per fronteggiare le guerriere, scagliandosi contro Crystal con un ruggito e cercando di colpirla con un poderoso pugno destro. Nel frattempo, quasi in risposta alle suppliche di Crystal, Syhlvia si era rimessa in piedi e arrancava verso le compagne; Alicia invece non dava ancora segni di vita.
Ancora una volta l'ottima percezione di Crystal le consentì di anticipare l'attacco dell’avversaria e quindi di evitarlo. La numero 34 si abbassò fino a toccare terra con le ginocchia, e così il potente pugno della risvegliata colpì soltanto l'aria sopra la sua testa. Da quella posizione Crystal contrattaccò immediatamente, mirando al gomito del mostro. L'attacco andò a segno e la spada della guerriera, entrando attraverso l'articolazione del gomito, trafisse da parte a parte lo spesso braccio della nemica, restando tuttavia successivamente incastrata al suo interno. Situazione quasi analoga si presentò pochi istanti più tardi per Seayne: la Numero 19, approfittando del fatto che l’avversaria era impegnata con Crystal, riuscì a mettere a segno un affondo sotto l'ascella della risvegliata e a spingere la sua spada in profondità all'interno del corpo del mostro. Così in profondità, che la punta della lama della guerriera albina fuoriuscì dallo zigomo sinistro dell’avversaria, appena sotto l'occhio. Purtroppo però l'attacco di Seayne mancò il cervello del mostro per pochi centimetri, infliggendo una ferita sì grave, ma non mortale. Subito dopo fu Juliet a mettere a segno il suo attacco: con un fendente orizzontale mirato dietro al ginocchio sinistro della risvegliata, la numero 37 riuscì a danneggiarle la gamba abbastanza da azzopparla nuovamente e da farla cadere in ginocchio. Ma anche se messa alle strette, la risvegliata cornuta trovò ancora la forza per dimenarsi, riuscendo in tal modo, grazie alla sua immensa forza fisica, a strappare letteralmente le claymore via dalle mani di Seayne e Crystal, le quali vennero anche sbalzate a terra per il contraccolpo, senza però subire danni di rilievo. A questo punto si fece avanti Syhlvia, la quale ebbe gioco facile nello squarciare la gola dell’avversaria con la sua spada, in modo del tutto identico a come aveva già fatto per abbatterla quando era ancora una guerriera. La risvegliata accusò il colpo e ora sembrava fosse notevolmente indebolita.
Seayne non amava essere una caposquadra, non voleva essere costretta a prendere decisioni che, se sbagliate, avessero potuto costare la vita alle sue compagne… tuttavia, vedere con quanto spirito di sacrificio le altre guerriere le avevano ubbidito finora e con quanta grinta continuavano i loro attacchi nonostante fossero tutte probabilmente esauste e, grazie agli avvertimenti di Crystal, quasi sicuramente tese e impaurite a causa di quella minaccia che si avvicinava e che, come aveva avvisato Crystal, aveva appena spazzato via l’incolpevole Anna, erano tutte cose che la commuovevano… Non poteva mollare adesso. Caparbiamente la guerriera albina si rialzò da terra, sforzandosi di ignorare il dolore alla spalla sinistra incrementato dall’urto dopo che la risvegliata, ferita oramai abbastanza seriamente e, apparentemente, immobilizzata ma non ancora sconfitta, s’era scrollata di dosso lei e Crystal. Seayne aveva perso la presa sulla sua claymore e ora, con lo sguardo, cercò freneticamente di ritrovarla e, dopo pochi istanti la vide: era ancora là, piantata nel corpo della nemica. Seayne non se ne rammaricò: anche se aveva fallito di poco il colpo mortale, la posizione della sua arma, nello specifico l’angolo col quale era entrata - e uscita - dal corpo del mostro stava fornendo alla guerriera albina un’indicazione preziosa per preparare il suo prossimo colpo: incitando le compagne, Seayne si precipitò a riprendere la presa sulla sua claymore
A differenza di Seayne Crystal cercò di recuperare la spada di Alicia abbandonata per terra ad una ventina di metri di distanza, là dove la sua proprietaria l'aveva lasciata cadere quando aveva perso i sensi, e corse subito a recuperarla. Quando tornò indietro, le sue tre compagne stavano già sferrando l'attacco finale contro la risvegliata cornuta prendendone di mira la testa praticamente da ogni lato: Seayne colpì dal fianco sfruttando la sua spada già in posizione dentro il corpo del mostro, supportata in questo da Syhlvia che si assicurò di tenere il braccio destro della nemica lontano dalla Caposquadra. Juliet si arrampicò sulla schiena del mostro e colpì dall'alto, attraverso l'occhio. Crystal arrivò giusto in tempo per mettere a segno l'ultimo colpo contro un'avversaria che praticamente nemmeno reagiva più e suggellare così la disfatta dell'ultima risvegliata.
A quel punto la minacciosa nuova presenza individuata ad ovest dalla Numero 34 proprio in quel momento ricominciò ad avanzare verso la piazza, questa volta si muovendosi a grande velocità. Di lì a poco sarebbe arrivata. Seayne estinse il suo yoki e rimosse con attenzione il brandello del tentacolo della risvegliata occhiuta dalla sua spalla, sopportando stoicamente il dolore che ne seguì. Poi, non volendo abbandonare Alicia, ordinò alle compagne di raccogliere i resti delle guerriere non risvegliatesi e implorò il maestro Duncan di allontanarsi, sperando in tal modo di mettere al sicuro la maggior parte di loro, se non tutti.
Le compagne non vollero abbandonarle e l’uomo in nero stesso sconfessò gli ordini di Seayne, sostenendo che la velocità dell’avversaria era tale che nessuna di loro sarebbe riuscita a scamparle: meglio restare unite, dopotutto. Inoltre, egli desiderava vedere con i suoi occhi di chi si trattava. Seayne non replicò e concentrò la sua attenzione su Alicia, scoprendo con sollievo che l'amica era salva, seppur tutt'altro che sana. La numero 35 infatti aveva perso i sensi per il dolore dopo che la gigantessa le aveva sbriciolato entrambe le gambe con la sua stretta poderosa, ma almeno Alicia non era in pericolo di vita. Per poterla spostare però sarebbe stato necessario liberarla dalla morsa della risvegliata la quale, seppur morta, stringeva ancora le gambe martoriate di Alicia nel suo enorme pugno.
Ma non c’era più tempo: una figura si materializzò per qualche istante sul tetto di un edificio a ovest, per poi saltare giù atterrando con grazia nella piazza dopo aver eseguito un paio di eleganti capriole a mezz'aria. Era una guerriera alta e slanciata, dai lunghi capelli biondi e lisci agghindati con alcuni fiori colorati che sembravano appena colti, e le labbra color lampone. Ella indossava la tipica armatura delle guerriere dell'Organizzazione, esattamente come le cinque che l'avevano preceduta. Da quella distanza, tutte quante loro percepirono il suo potere, ma anche il nome che sfuggì di bocca al maestro Duncan: Matilda! Dopo alcuni istanti di esitazione, il superiore ordinò a tutte loro di non fare mosse avventate. Seayne osservò ammirata la nuova arrivata, vedendo nella sua figura quella guerriera che avrebbe desiderato essere se la trasformazione non l’avesse resa bianca come un cencio e ascoltò senza fare una piega il rimprovero – per lei – insensato che la misteriosa Matilda aveva rivolto a tutte loro, al posto di un saluto o di una minaccia. Visto che l’ultima arrivata sembrava possedere il dono dell’intelletto, Seayne pensò potesse trattarsi di una guerriera ribelle e, rispondendo alle critiche rivolte loro da Matilda, cercando di trarre vantaggio da un momento di confusione del quale la nuova arrivata sembrava in balìa replicò presentandosi educatamente e umilmente, chiedendo perdono per il caos e sostenendo che lei e le altre erano di ritorno da una missione quando avevano avvertito gli yoki delle Risvegliate e delle altre guerriere, decidendo di vedere cosa stava succedendo ma, quando erano arrivate, le due guerriere erano già morte ed essendo loro alla prima esperienza di combattimento contro delle risvegliate, il risultato era stato quel disastro!
Il cuore di Seayne mancò un battito quando la cosiddetta Matilda disse chiaramente di non credere a quanto la guerriera albina aveva affermato, salvo poi rimanere stupita e incredula quando la loro avversaria concesse a lei e alle sue compagne… la grazia, apparentemente per l’educazione con la quale la caposquadra le si era rivolta… ma forse c’era anche qualche altro motivo… chissà… -Mi ricorderò di te!- fu il saluto che Matilda le rivolse, prima di compiere un’elegante balzo all’indietro, ripiombando sullo stesso tetto sul quale aveva fatto la sua comparsa - Neanche io mi dimenticherò di voi, signora! - fu il commiato che Seayne rivolse alla misteriosa guerriera prima che quest’ultima si dileguasse, lasciando la guerriera albina ad ammirarne l’armonia dei movimenti, prima di realizzare il fatto che era riuscita in un modo o nell’altro a salvare le sue compagne.
Ancora una volta, volontariamente o meno, il maestro Duncan attirò nuovamente su di sé l’attenzione di tutte loro, affermando che Matilda non era cambiata e che doveva aver pensato che il campo di battaglia era troppo lurido e che lei non aveva nessuna voglia di sporcarsi. Quindi affermò che lo scontro era finito e che le guerriere potevano rilassarsi e darsi una sistemata, nonché liberare Alicia. Per sicurezza, comunque, ordinò a Crystal di controllare l’area con la sua percezione superiore. Seayne chiese a quest’ultima, quando avesse finito, di cercare un po’ d’acqua per far rinvenire Alicia, nel mentre lei e le altre avrebbero fatto leva con le loro claymore sulle dita della gigantessa per allentarne la presa e sfilare fuori Alicia. Grazie agli sforzi congiunti di tutte loro, Alicia venne liberata e, con estremo sollievo di Seayne, riprese i sensi e, soprattutto, a chiacchierare; a quel punto il dolore alle sue gambe martoriate prese il sopravvento e alla povera Numero 35 non rimase altra scelta che cercare di utilizzare le sue forze residue per rigenerarsi. Seayne poggiò delicatamente a terra il capo dell’amica, lasciandola tranquilla… anche lei doveva pensare a rigenerarsi anche perché, dopo tanti sforzi, sentiva il braccio sinistro intorpidirsi e perdere forza, ma prima aveva ancora un compito da assegnare alle compagne, chiese infatti a Crystal, Shylvia e Juliet, di andare a recuperare il corpo di Anna: voleva infatti dare almeno una degna sepoltura a quella povera ragazza! Dopodiché si sedette vicino ad Alicia e si concentrò sulla rigenerazione della sua spalla sinistra. Il maestro Duncan modificò ancora una volta gli ordini di Seayne, inviando solo Crystal e Juliet a recuperare Anna, dicendo invece a Syhlvia di trovare qualcosa in cui avvolgere i cadaveri delle due guerriere che non si erano risvegliate per portarle a Staph. Seayne completò la rigenerazione della sua ferita ma Alicia riuscì solamente a rigenerare quasi del tutto la gamba destra, prima che il suo fisico cedesse alla stanchezza ed al rischio di perdere il controllo del proprio yoki, avendo oramai raggiunto il limite. Non potendo fare altro, la Numero 35 chiese all’amica Seayne un aiuto per alzarsi e camminare: un aiuto che la guerriera albina, ricordando tristi momenti passati, non le negò.
Finito quel che dovevano fare, il maestro Duncan concesse loro ancora qualche minuto di riposo, dopodiché si rivolge al gruppo, ordinando di prepararsi a partire. A quel punto Seayne si alzò e, dopo essere giunta davanti all’uomo in nero, chinò il capo e, con gli occhi bassi e voce umile ma ferma gli chiese se fosse stato possibile riportare con loro anche il corpo di Anna ma, soprattutto, se egli poteva dir loro qualcosa di più nei riguardi di Matilda: c’era infatti il rischio di ritrovarsela di fronte prima o poi e, anche se, forse, un giorno qualcuna di loro avrebbe potuto eguagliare la sua potenza, sapere qualcosa di più sul suo conto avrebbe potuto esser utile. Subito dopo le fece eco Juliet la quale appariva molto preoccupata in quanto, durante il combattimento aveva chiaramente esagerato nell’utilizzare il suo yoki ed esso le era sfuggito al controllo per qualche istante. Seayne si preoccupò immediatamente per lo stato della compagna e per il timore che, visto quanto era stato detto, visto e fatto, il superiore potesse ordinare di “epurarla” per prevenire problemi futuri.
Duncan le osservò entrambe a in silenzio per diversi secondi… Poi disse loro che Matilda, ai tempi della quarantaduesima generazione, era una delle guerriere sotto il suo comando, la numero 7 in graduatoria; una guerriera molto abile, ma anche terribilmente capricciosa; era stata soprannominata "la Linda" dalle altre guerriere del suo tempo, per via della sua passione smodata per i bagni. Si lavava in continuazione, e per lei ogni scusa era buona per togliersi l'armatura di dosso e tuffarsi nel primo specchio d'acqua che le capitava a tiro: tutto per colpa di un trauma infantile che le aveva causato una autentica ossessione per l'igiene e la pulizia. Matilda non tollerava l'idea di sporcarsi e faceva un sacco di storie quando le condizioni del campo di battaglia non erano di suo gradimento – come in quel caso - Come se ciò non bastasse, aveva anche il vezzo di atteggiarsi come se fosse una celebrità e di decorarsi i capelli con fiori freschi. Ciò nonostante, l'Organizzazione era disposta a tollerare le sue manie igieniste ed i suoi atteggiamenti da diva in considerazione delle sue capacità come guerriera; Matilda era, infatti, una combattente molto abile. Ai suoi tempi nessun'altra guerriera in servizio poteva competere con i suoi riflessi e la sua agilità. Il suo stile di combattimento si basava sulla velocità e sull'eliminare gli avversari nel minor tempo possibile con un singolo colpo fatale. Probabilmente per ridurre al minimo il rischio di sporcarsi. Il problema era, semmai, convincerla a combattere. A quel punto l'uomo in nero fece una pausa, dopodiché si rivolse a Juliet, spiegandole in dettaglio cosa le era accaduto, ammonendo tutte che utilizzare troppo yoki tutto in una volta era probabilmente il metodo migliore per risvegliarsi, ma non era il solo: talvolta anche l'usura lenta ma progressiva conduceva allo stesso tragico risultato. Il processo purtroppo non era reversibile una volta iniziato per cui il maestro suggerì a Juliet di prestare in futuro estrema attenzione a come avrebbe utilizzato i suoi poteri. Seayne ascoltò tutto con estrema attenzione, senza perdere una parola, tuttavia il racconto le sembrava… incompleto, perciò, mantenendo il suo atteggiamento umile nei confronti del superiore, Seayne osò chiedere ancora all’uomo in nero se fosse stato a causa delle sue manie che Matilda aveva disertato. Seayne non poteva sapere che legame ci fosse tra Matilda e le guerriere e risvegliate che avevano abbattuto; ma di una cosa era sicura, viste anche le reazioni del superiore: probabilmente Matilda non faceva più parte dei ranghi dell’Organizzazione perciò era possibile che avesse disertato… ma perché? L'uomo in nero rispose che Matilda non aveva disertato: era morta! Era stata convocata per una speciale missione di ricognizione nelle terre di Lautrec, ma non si era mai presentata sul luogo dell'appuntamento. Era stata ritrovata qualche giorno dopo in un laghetto non molto distante dall'obbiettivo, morta stecchita. Pare avesse cercato un posto appartato dove farsi uno dei suoi soliti bagni e, così facendo, si fosse inconsapevolmente avvicinata un po' troppo alla tana della Signora dell'Ovest – probabilmente una risvegliata molto potente, ragionò Seayne- Un errore che pagò con la vita. Duncan prevenne ulteriori domande declamando che i superiori erano certi che fosse proprio lei e che fosse proprio morta. Inoltre non sapeva come fosse possibile che Matilda fosse apparsa pochi minuti prima davanti ai loro occhi. Era un avvenimento che sfidava ogni logica e una cosa su cui l'Organizzazione avrebbe dovuto indagare a fondo. A quel punto il maestro pose fine alla discussione, ordinando di raccogliere i tre corpi e di tornare alla carrozza, voltandosi poi e incamminandosi senza aggiungere altro.
Le parole del maestro Duncan turbarono non poco Seayne la quale, mentre il racconto procedeva, si trovò a provare una profonda pietà per quella guerriera e le altre morte sul campo, strappate alla morte contro la loro volontà: la sua mente si ribellava a quella nuova mostruosità, a quella violenza finale che, coloro che evidentemente conoscevano la loro natura, erano in grado di infliggere loro e per un istante, pensò con una punta d’orrore alla possibilità di ritrovarsi davanti Saphelia! L’unica consolazione era data dal fatto che l’uomo in nero aveva accolto la sua richiesta di portare via anche Anna; a quel punto chiese con voce mite alle compagne di trasportate i corpi, mentre lei aiutava Alicia. Senza attendere risposta la guerriera albina si recò al fianco dell’amica con l'intenzione di aiutarla ad alzarsi e a tornare assieme a lei alla carrozza. Il gruppo guidato dall'uomo in nero uscì dal villaggio di Shaemoor e in breve raggiunse il boschetto dove li attendeva la carrozza nera che li aveva portati sin lì. Mentre l'uomo in nero e le guerriere salirono a bordo, l'ossuto accolito si occupò di caricare i cadaveri. Dopodiché la carrozza partì verso est, in direzione di Staph, giungendovi sette giorni dopo.
Dopo un viaggio tanto tranquillo da risultare tedioso, durante il quale Seayne rivisse tutto quanto era successo quel giorno: le guerriere prive di mente, le risvegliate, la comparsa di Matilda e le spiegazioni del maestro Duncan, decidendo di farne oggetto delle sue meditazioni - ora che conosceva la sua vera natura, forse il percorso che aveva intrapreso si sarebbe rivelato meno difficile - la lugubre carrozza si fermò verso le due del pomeriggio di fronte ai cancelli della non meno tetra fortezza dell'Organizzazione. Mentre un gruppetto di accoliti si preoccupò di prendere in consegna i corpi, il maestro Duncan, sceso dal mezzo, si rivolse per l'ultima volta alle guerriere, congedandole. Quindi si voltò e si allontanò facendo cenno agli accoliti di seguirlo, lasciando sole le guerriere.
Seayne attese finché gli umani non furono fuori vista, poi si rivolse alle compagne con tono gentile, rivolgendo loro un leve sorriso: le ringraziò e fece loro i complimenti per come s’erano comportate in battaglia e, come compagna, per non aver abbandonato lei e Alicia all’arrivo di Matilda ma, come caposquadra, le ammonì benevolmente di essere maggiormente ubbidienti nei confronti delle loro caposquadra in futuro. La guerriera albina invocò su tutte loro la protezione della Grande Stella del Nord e le invitò, se avessero voluto, ad aiutarla a dare sepoltura e un ultimo saluto ad Anna dopo che avesse portato Alicia in infermeria.
Tutte decisero di darle una mano e Seayne, dentro di sé, ne fu felice!

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04-03-2016, 10:24 PM
Messaggio: #12
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XI: POLARIS II

Concessasi un giorno di riposo dopo l’ultima missione e le esequie di Anna, Seayne volle approfittare della sua presenza a Staph per affinare ulteriormente la sua abilità Polaris: nello specifico, la guerriera albina voleva verificare se le fosse stato possibile ridurre la quantità di yoki necessaria a generare l’impulso luminoso e, di conseguenza, se era possibile aumentare il raggio d’azione mantenendo il flusso di energia demoniaca al livello attuale.
Era tarda sera quando Seayne raggiunse le massicce porte della biblioteca: educatamente bussò e, non ricevendo risposta, osò aprire leggermente le porte quel che bastava a intrufolarsi dentro. Nella penombra, i suoi passi la guidarono verso il luogo dov’era stata istruita da Cort l’altra volta e, effettivamente, scorse in quella direzione una luce tremolante che proveniva probabilmente da una candela. La guerriera albina affrettò il passo in quella direzione e, quando giunse sul posto colui che vi trovò, intento a consultare un pesante libro, non era il maestro Cort, bensì Duran, colui che aveva arbitrato il suo primo duello in arena contro la sua amica Alicia. L’uomo in nero si accorse di lei e si voltò a guardarla,
L’uomo la riconobbe e intuì immediatamente il motivo della sua presenza. Seayne se ne compiacque e, salutandolo rispettosamente, gli confermò le sue intenzioni. Il superiore chiuse il libro, sorridendole, poi prese la candela che forniva quel poco di luce che gli serviva per leggere e le si avvicinò, affermando di aver letto il rapporto del maestro Cort riguardo la sua prima sessione di allenamento: Duran supponeva che la guerriera albina desiderasse aumentare l’intensità del suo bagliore.
Seayne non si scompose: sapeva che quell’uomo era in grado di aiutarla e finché si dimostrava ubbidiente e rispettosa nei confronti dei superiori non aveva nulla da temere. Raccolse quindi le idee, respirò a fondo e disse e gli spiegò che dopo l’addestramento impartitole da mastro Cort lei aveva avuto modo di utilizzare la sua abilità in battaglia, migliorando inoltre la sua capacità di gestirla. Siccome però generare l’impulso luminoso di Polaris le richiedeva un notevole dispendio di energie, ciò che voleva ottenere era riuscire a generare lo stesso lampo utilizzando meno yoki possibile e, di conseguenza, ampliare l’area nella quale gli avversari venissero abbagliati da Polaris, mantenendo lo sforzo richiesto al suo corpo ai livelli attuali. A quel punto la guerriera albina tacque, attendendo le indicazioni del superiore…
Dopo aver riflettuto per alcuni istanti sulla risposta della guerriera albina, mastro Duran rimise la candela sul leggio e si frappose fra essa e Seayne, schermando la luce col suo corpo. A quel punto, onde poter valutare da dove iniziare, l’uomo in nero chiese a Seayne di mostrargli gli effetti la sua abilità. Seayne annuì in risposta al superiore e iniziò a richiamare la sua energia demoniaca, avvisando l’uomo in nero un attimo prima di rilasciare la radianza di Polaris, per dargli modo di prepararsi al bagliore improvviso che seguì un istante dopo…
Duran non reagì all'avvertimento e venne abbagliato in pieno da Polaris, costretto a chiudere gli occhi per un momento. Seayne prestò la massima attenzione alle parole che ne seguirono, senza fare una piega al commento sarcastico sul preavviso cortese che gli aveva rivolto per permettergli di prepararsi. A quel punto l’uomo in nero si allontanò da lei per una decina di ampi passi, quindi di una decina di metri, salvo poi rigirarsi verso di lei con una elegante piroetta e rivolgendosi quindi a lei, chiedendole se riusciva a colpirlo da quella distanza: Se sì la invitò a farlo usando meno yoki del solito; altrimenti doveva provare ad aumentare la potenza del suo bagliore. Dopo averci riflettuto, Seayne decise di fare un tentativo usando meno yoki del solito, cercando di non seguire il metodo fin qui seguito… in pratica doveva ricominciare daccapo ma, forse, era meglio così. Seayne non aveva dimenticato infatti che, la prima volta, aveva usato la sua rabbia latente per alimentare la sua abilità, ma questo aveva anche fatto in modo che, per poterla usare, le fosse necessario ricorrere a una discreta quantità di yoki. No, se voleva migliorare, doveva davvero ricominciare daccapo.
Così, dopo aver atteso il tempo necessario per permettere al suo corpo di recuperare e ricorrendo agli insegnamenti appresi dal maestro Tahzay, Seayne si rilassò, iniziò a controllare il respiro e a riflettere su come fare. Quando si sentì pronta, Seayne realizzò nella sua mente l’immagine di se stessa che si illuminava mano a mano che lo yoki stava per erompere fuori dal suo corpo però, a differenza delle altre volte, provò a diminuire l’intensità dell’impulso dal 30% al 20% ma, soprattutto, anziché sforzare il suo yoki in maniera brutale e rabbiosa, facendolo esplodere fuori da sé cercò invece, mantenendo la mente calma e lucida, di continuare a controllare il flusso d’energia demoniaca, tentando di spingerlo e guidarlo il più lontano possibile da se stessa. Questa volta, forse perché concentrata completamente nel tentativo, Seayne non disse una parola prima di tentare d’emettere l’impulso luminoso.
Tentativo che, a onore del vero, nonostante le lodi dell’uomo in nero s’era rivelato meno efficace del suo uso consueto… Perché? Seayne non avrebbe saputo dirlo, ma non si fece cogliere dalla frustrazione e rifletté attentamente alla richiesta successiva, spiegando poi al superiore i dettagli del suo nuovo tentativo e la storia delle sue emozioni violente, soprattutto la rabbia e di come, grazie agli insegnamenti dell’eremita Tahzay, stesse tentando di tenerle sotto controllo.
Gli occhi di Seayne si spalancarono per lo stupore quando il maestro Duran le spiegò che per creare una luce più splendente non bastava isolarsi dalle sensazioni negative, bisognava invece saperle sfruttare a proprio vantaggio. Grazie a ciò Seayne realizzò che, nel suo ultimo tentativo, aveva scordato che la sua filosofia di vita era stata sviluppata e si era evoluta nel corso degli anni, ma solo dagli umani e per gli umani! Forse per lei, almeno in questo caso, era necessario tentare un compromesso. Seayne rifletté per alcuni istanti sul da farsi, poi si rivolse all’uomo in nero, avvisandolo che avrebbe effettuato un nuovo tentativo con lo yoki al 20% anziché al 30%. La guerriera albina ricominciò ad attuare la sua tecnica respiratoria, rilassando la sua mente e dando il tempo all’uomo in nero, se l’avesse desiderato, ti riportarsi ai dieci metri di distanza da lei.
A quel punto iniziò a eseguire la sua Polaris come al solito, anche se con l’energia demoniaca ridotta al 20%, richiamando a se la rabbia e i sentimenti negativi che le consentivano di creare il suo brillante impulso ma, a differenza delle altre volte, anziché abbandonare il flusso di yoki, una volta che lo stesso si era generato e aveva raggiunto la barriera ideale della sua pelle Seayne cercò, facendo leva sulla sua forza di volontà e sulla sua mente un po’ più disciplinata rispetto al passato, di continuare ad alimentare il flusso di energia con le sue emozioni negative ma tentando di contenerlo e guidarlo oltre i suoi limiti consolidati, spingendolo il più lontano possibile, come farebbe un cavaliere (lei) quando cerca di guidare un cavallo focoso (le sue emozioni).
Duran approfittò della preparazione di Seayne per allontanarsi nuovamente, in modo da valutare il raggio d'azione della sua abilità. Poco dopo è in grado di constatare che il suo suggerimento ha colto nel segno: la luce lo investe in pieno, potente e abbagliante, nonostante si sia posto anche un po' più lontano di prima.
Il maestro Duran sembrava soddisfatto degli esiti di quel tentativo; poteva Seayne non esserlo? Certo che no! Seayne era felice per il risultato raggiunto ma, esteriormente, l’unica traccia che ne trasparì fu un leggero sorriso che rivolse al superiore. A quel punto l’uomo in nero propose a Seayne una doppia sfida: generare il suo impulso luminoso usando una quantità di yoki ancora minore, facendo così in modo che se avesse utilizzato nuovamente Polaris con la potenza precedente, il bagliore ne fosse risultato molto più potente, inoltre riuscire a farlo riducendo al minimo, se non addirittura azzerando del tutto, i tempi di concentrazione. Seayne dovette convenire che, effettivamente, in battaglia non avrebbe potuto estraniarsi da quanto succedeva attorno a leii per concentrarmi su Polaris! Doveva riuscire a farlo in un’istante! Mentre camminava a passi lenti e cadenzati lungo il corridoio, per riportarsi alla distanza di circa una decina di metri dal maestro Duran, la guerriera albina rifletteva sul da farsi. Forse la concentrazione non sarebbe stata un problema: già dalla prima volta nella quale aveva iniziato a sviluppare la sua abilità, visto che doveva partire da zero, Seayne si era abituata ad “ascoltare” le sensazioni che il suo corpo le trasmetteva e a memorizzarle assieme alla sequenza di pensieri che avevano accompagnato i suoi tentativi, in modo tale che il suo corpo e la sua mente potessero richiamare istantaneamente a se quella sorta di ipotetica “chiave” che apriva le porte del suo corpo allo scatenarsi del suo bagliore. E forse sarebbe stato così anche quella volta: sarebbe bastato che riproducesse, col corpo e con la mente, la stessa sequenza del tentativo precedente.
Ma come fare per mantenere la luminosità di Polaris con lo yoki ancora più ridotto? Seayne aveva ormai capito che, una volta che il suo corpo si fosse adattato a un determinato uso di Polaris, in futuro sarebbe stato più facile riprodurlo esattamente: la prima volta però era praticamente uno scoglio da superare. Certo, un bagliore controllato era preferibile, ma se non c’era potenza sufficiente… Seayne spalancò del tutto gli occhi quando una risposta le venne in mente: una risposta suggeritale dalla dottrina che stava lentamente facendo sua… Il segreto stava nel controllare la rabbia! Anche col maestro Cort… Polaris era sfuggita al suo controllo perché aveva lasciato che la rabbia la pervadesse! Era su di essa che doveva agire se voleva miglorarsi doveva… piegarla alla sua volontà! Seayne aveva raggiunto la distanza desiderata e si girò sui tacchi, fronteggiando l’uomo in nero, al quale si rivolse con tono deciso avvisandolo che avrebbe fatto un tentativo utilizzando lo yoki al 10%
Così, mentre iniziava a rilasciare lo yoki, la sua mente richiamò a se il ricordo che più di ogni altro alimentava la sua rabbia, ovvero il ricordo del suo amato Stephan: della sua dolcezza e fragilità, del primo bacio che le aveva dato, del modo crudele con cui Araldus l’aveva separato da lei, forse per sempre! Seayne avvertì come un rombo sordo nascere nel suo cuore e diffondersi in tutto il suo corpo, assieme allo yoki che lo pervadeva, cercando di prorompere all’esterno e sentiva di volerne di più. Ma la mente di Seayne s’era evoluta da quella volta, il suo spirito s’era fatto più forte grazie agli insegnamenti di quel vecchio eremita che aveva fatto di lei la sua discepola… postuma e la guerriera albina, a differenza di quanto aveva fatto finora, cercò stavolta di imporre la sua volontà su quella letale mistura di yoki, rabbia e dolore che la pervadeva, tentando di mantenere il livello dell’energia demoniaca al 10% ma lasciando che essa fluisse liberamente in lei, cercando di imporre il suo controllo al flusso fin dal momento stesso della sua generazione, anziché opporglisi e trattenerlo come se il suo corpo fosse una barriera da spezzare, prima che il flusso potesse erompere all’esterno.
Tutto avvenne in un attimo: come avvertì lo yoki raggiungere in un istante la barriera della sua pelle, Seayne ripercorse a quel punto gli stessi passi del tentativo precedente, cercando di non lasciare che quella carica di energia erompesse violenta appena fuori dal suo corpo, ma tentando di continuare a incanalarne l’impeto, in modo tale da dirigerla e indirizzarla il più lontano possibile da lei. Una volta che l’impulso luminoso si fu esaurito, Seayne s’accorse che anche la rabbia che l’aveva pervasa s’era dissolta con esso, segno che la sua mente aveva forse prevalso, per la prima volta, sui suoi istinti e sulle emozioni negative che albergavano in lei. Con un’espressione calma e serena sul volto diafano, molto diversa da quella che aveva di solito, Seayne guardò in direzione del maestro Duran, attendendo il giudizio del superiore sul suo ultimo tentativo.
Dalle parole del maestro Duran, Seayne capì che l’obiettivo principale di quell’ultimo tentativo, ovvero scatenare la massima luminosità col minimo yoki era stato raggiunto: la guerriera albina era molto soddisfatta, ma non del tutto. Aveva infatti perso troppo tempo nella preparazione… come temeva, la prima volta che faceva un tentativo aveva bisogno di tempo per pensare a quel che doveva fare. Ma, in fondo, quell’ allenamento le serviva proprio per sviluppare Polaris senza correre i rischi ai quali sarebbe andata incontro se avesse dovuto farlo da sola o, peggio, in battaglia. Il maestro Duran non aveva ancora finito; Seayne riportò la sua attenzione su di lui. Egli voleva verificare di quanto la guerriera albina riusciva a espandere il raggio d'azione usandola alla potenza di prima ma, per farlo, suggerì a Seayne di spostarsi nell’arena esterna, laddove le avrebbe trovato qualcuno su cui fare pratica... Seayne acconsentì, curiosa di sapere a che livello di brillantezza poteva arrivare adesso che aveva praticamente eguagliato il suo bagliore con una quantità di yoki molto più ridotta… per non parlare del discorso della concentrazione! La guerriera albina uscì dalla biblioteca dopo il superiore e, senza perdere tempo, si diresse a passo regolare verso l’arena, rivedendo lungo la strada con la mente più e più volte le singole fasi dell’ultimo tentativo, con lo scopo di farsi trovare pronta alla prossima prova e non perdere tempo per concentrarsi e capire cosa fare…
L’attesa fu breve: il maestro Duran ritornò di lì a poco assieme a un’altra guerriera. Neanche il tempo di fare le presentazioni, che l’uomo in nero ordinò alla guerriera albina di porsi nel punto più lontano possibile da dove si trovavano, dal momento che l'arena era troppo grande per coprirla interamente, ma l’istruttore voleva poter giudicare quanto ampio fosse il suo raggio d'azione. L’obiettivo di Seayne sarebbe stato quello di impedire che la compagna, camminando, la raggiungesse: la guerriera albina valutò di iniziare con un bagliore a piena potenza al doppio della distanza consueta a circa una ventina di metri. Se avesse funzionato, tra l’accecamento e il tempo che la compagna ci avrebbe messo a percorrere la strada rimanente, avrebbe recuperato abbastanza da usare Polaris a corta distanza. A quel punto Seayne si presentò alla compagna e le diede il via. La guerriera misteriosa non si presentò, ma risponde comunque con una certa cortesia alle parole di Seayne. Subito dopo si avviò, camminando come anticipato, verso l'albina ma, quando la prima ondata di luce investì l'arena, colpendo anche la povera cavia, lei continuò a camminare come se niente fosse. Seayne rimase allibita ma fece un altro tentativo, stavolta con il normale uso di yoki, quando le è più vicina, ma ancora niente. La guerriera pareva irrefrenabile. Infine la guerriera misteriosa riuscì a toccarla, una pacca soffice su una spalla. Dalle tribune arrivò un applauso.
Duran si complimentò con entrambe le guerriere e concluse che Seayne potesse arrivare a raddoppiare il suo raggio d'azione con un uso superiore di yoki; ampliarlo ulteriormente sarebbe stato solo uno spreco di energia. A quel punto l’accolito si avvicinò a passo svelto e finalmente presentò l'altra guerriera: la compagna d’allenamento di Seayne si chiamava Eliza e non aveva risentito dell’abilità della guerriera albina perché era cieca e Duran l’aveva convocata per capire se l’abilità di Seayne influiva anche sulla Percezione: probabilmente Eliza la sfruttava al massimo per compensare la sua difficoltà e, evidentemente, Polaris non le aveva arrecato nessun fastidio, a conferma che, nonostante i desideri della guerriera albina, la sua abilità agiva solo sulla vista. Quella constatazione smorzò sul momento l’entusiasmo di Seayne per i risultati raggiunti e i complimenti elargiti dal superiore: la guerriera albina si sentiva rattristata per la sorte avversa capitata a Eliza, ragione per cui, dopo essere stata congedata dall’uomo in nero le corse dietro e, quando fu a portata di voce la ringraziò di cuore ed espresse il desiderio di poterla incontrare di nuovo.
Quindi Seayne tornò al suo alloggio per riposarsi: era tardi e la stanchezza per l’allenamento iniziava a farsi sentire. Tuttavia, mentre scivolava nel sonno, la guerriera albina non poté non pensare ai progressi fatti quella sera: gli obiettivi che Seayne si era posta erano stati raggiunti e aveva anche capito i limiti e i punti deboli della sua Polaris. Soddisfatta, si addormentò.

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18-03-2016, 10:54 PM
Messaggio: #13
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XII: DUELLO CON GAIA

La mattina seguente, Seayne si ritrovò a passare in prossimità dell’arena esterna, laddove la notte prima aveva concluso il suo allenamento volto a padroneggiare meglio la sua abilità: Polaris.
Mentre osservava la superficie cosparsa di rocce di varie dimensioni, udì la sfida lanciata dalla Numero 5 dell’Organizzazione: Gaia, detta il Fulmine Rosso, la quale cercava una compagna con la quale allenarsi. Passarono alcuni minuti senza che vi fosse risposta. Seayne esitava: la differenza con Gaia era troppo elevata per pensare di riuscire a combinare qualcosa di buono. Tuttavia, l’idea di confrontarsi con una guerriera a cifra singola era… intrigante e così, ridendo dei propri timori, Seayne si fece avanti, accettando la sfida e pregando in cuor suo di uscire dall’imminente scontro con le sue gambe.
Appena il tempo di presentarsi alla compagna, una bella ragazza leggermente più bassa di lei, con il volto ornato da delle piume rosse tenute al loro posto da una fascia sulla fronte, che dalle ombre si materializzò la misteriosa figura del maestro Duncan, superiore dell’ultima missione di Seayne ma a anche arbitro del duello in arena nel quale la guerriera albina aveva perso malamente contro Angela. Mentre Seayne prendeva una claymore da allenamento, il superiore si sedette sulla gradinata e diede ordine alle due guerriere di iniziare lo scontro.
Gaia la caricò direttamente: Seayne avrebbe voluto scartare di lato per colpirla alle ginocchia, ma la guerriera piumata fu più veloce e più forte, costringendo la guerriera albina con un ginocchio a terra per parare il suo fendente verticale. Anziché approfittare del vantaggio, la Numero 5 invece spiccò un gran balzo all’indietro, ritornando al suo punto di partenza, invitando l’avversaria a farsi avanti con un cenno della mano destra e preparandosi poi a respingerne l’assalto.
Seayne, che con quel primo scambio aveva capito perfettamente quanto Gaia le fosse superiore, decise di tentare di sorprendere l’avversaria: iniziò a caricarla direttamente e poi, quando fu a metà strada dal suo bersaglio, rilasciò Polaris a livello minimo e, subito dopo, alzò il suo yoki al 30%, per cercare di abbagliare e mandare fuori tempo la guerriera piumata accelerando la sua carica. La tattica funzionò e la claymore di Seayne si abbatté sul ginocchio sinistro di Gaia procurandole un danno di una certa entità, mentre la Numero 15 scartava di lato per evitare un’eventuale ritorsione da parte dell’avversaria.
Seayne tentò d’approfittare del vantaggio di avere Gaia con la vista ancora compromessa per qualche istante, piroettando su se stessa e cercando di vibrare un altro fendente contro l’interno del ginocchio della Numero 5, alzando il suo yoki al 50% solo per il tempo necessario per colpire, ma l’avversaria, forte della sua esperienza, sfruttò la sua percezione per compensare la cecità e, lasciando cadere la claymore, tentò d’avventarsi a mani nude contro la guerriera albina. Quest’ ultima, accortasi del pericolo che correva, rinunciò al suo attacco e balzò indietro, sottraendosi per un soffio e grazie forse a quello spunto di yoki, alla presa della guerriera piumata, la quale a sua volta eseguì una serie di capriole per allontanarsi dall’ avversaria.
A quel punto, Seayne aveva bisogno ancora di un po’ di tempo per permettere al suo corpo di recuperare l’uso della sua abilità, poi notò la claymore di Gaia, rimasta a terra e pensò di recuperarla per utilizzarla contro la Numero 5 non appena Polaris sarebbe stata nuovamente utilizzabile: scattò quindi in quella direzione, senza perdere d’occhio l’avversaria e tenendole puntata contro la sua claymore per cercare di ostacolarla se quest’ultima si fosse lanciata contro di lei, riuscendo nell’intento di raccogliere l’altra arma, ritirandosi poi in una zona dell’arena dove la Numero 15 sperava che le rocce affioranti potessero costituire un ostacolo per la velocità della Numero 5, la quale non si era mossa da dove si trovava…
Troppo tardi Seayne comprese il suo errore! Infatti Gaia riuscì a ribaltare la situazione a suo vantaggio, dimostrando all’avversaria perché era l’attuale Numero 5 e perché era chiamata il Fulmine Rosso: improvvisamente la guerriera piumata sembrò moltiplicarsi davanti agli occhi ammirati di Seayne e le sue immagini sembravano apparire giusto il tempo per per menare un colpo, per poi scomparire, mentre la guerriera piumata sfruttava le rocce affioranti come trampolini e sponde dalle quali lanciare i suoi attacchi. In un attimo Seayne si ritrovò col braccio sinistro spezzato, tre vertebre incrinate, una botta sulla spalla destra parata dallo spallaccio dell’armatura e un violentissimo colpo allo stomaco che le spezzò il fiato e la fece volare contro una roccia affiorante, subendo un ulteriore contraccolpo alla schiena e scivolando a terra alla base della stessa. Per fortuna della guerriera albina, la mossa di Gaia peggiorò di molto la situazione precaria del suo ginocchio, costringendola a fermarsi a causa del dolore prima di riuscire a infliggere ulteriori danni alla sua avversaria.
Seayne si rammaricò per l’estrema violenza dell’attacco della guerriera piumata, poi si accorse che il temuto colpo finale non arrivava e che il dolore, già provato tante volte con ferite anche peggiori, non aumentava. La Numero 15 rischiò a dare un’occhiata all’avversaria e la vide incredibilmente ferma. Determinata a non arrendersi finché avesse avuto fiato, la guerriera albina si rialzò, e con tutte le forze che le rimanevano scagliò la sua claymore da allenamento contro la guerriera piumata, urlandole contro per attirare la sua attenzione e rilasciando nuovamente Polaris per fare in modo che l’avversaria non riuscisse a vedere e, di conseguenza, schivare il bolide in arrivo. La mossa riuscì, centrando Gaia allo stomaco mentre questa cercava di saltar via usando le braccia al posto delle gambe per darsi una spinta e facendola stramazzare al suolo in posizione supina. Dopo aver raccolto la claymore appartenuta alla guerriera piumata e aver stretto i denti per sopportare le fitte di dolore che quel gesto le aveva causato, Seayne si avvicinò all’avversaria a terra, con l’intenzione di colpirla finché ne avesse avuto la forza…

A quel punto, il maestro Duncan intervenne, mettendo fine al duello.

Mentre la guerriera albina tossiva e sputava sangue, sforzandosi di contenere i grugniti di sofferenza, dopo aver estinto lo yoki e aver lasciato cadere a terra l’arma che aveva in pugno, l’uomo in nero raggiunse le contendenti e, dopo alcuni attimi di silenzio, decretò che il duello l’aveva vinto… Seayne!
La Numero 15 sgranò gli occhi per la sorpresa e l’incredulità di aver vinto contro la Numero 5… una cifra singola! Certo, si trattava di una vittoria risicata, non di un trionfo e, forse… forse il maestro aveva voluto premiare il suo impegno. Seayne aveva subito molti colpi, ma anche la Numero 5 non ne era uscita indenne. Considerando la differenza tra i loro numeri in graduatoria non era una cosa da poco! Certo, il pensiero di vincere aveva sfiorato la mente della Numero 15 durante lo scontro, però non ci aveva mai creduto veramente, senza però per questo settere di impegnarsi al massimo…Seayne era inoltre convinta che alla sua vittoria avesse contribuito anche il fatto che Gaia l’avesse sottovalutata.
Seayne guardò la guerriera piumata, col suo sguardo ritornato a essere mite e ricordò come s’era sentita quando aveva perso in malo modo il suo duello con Angela e, considerando la sua forza, la velocità e, soprattutto, l’orgoglio di guerriera Numero 5, la guerriera albina sperava che questa sconfitta non fosse per Gaia motivo di rabbia e di sconforto. Cercando di resistere ancora un po’ al dolore, Seayne si sporse verso la Numero 5, porgendole la mano destra e, mantenendo un atteggiamento umile, con voce mite senza traccia di superbia, la ringraziò per il bello scontro, chiedendole di non portarle rancore.
Vana speranza, la sua! Gaia la guardò con odio, respingendo bruscamente la mano tesale da Seayne in segno di rispetto e di pace, rialzandosi da sola e rivolgendole parole cariche di rabbia e risentimento, prima di andarsene senza voltarsi indietro.
Seayne non replicò. Capiva lo stato d’animo di una guerriera a cifra singola sconfitta, anche se di misura, da una guerriera di dieci numeri inferiore. Con un sospiro, la guerriera albina iniziò a concentrarsi sulla rigenerazione. Una volta terminato, si sarebbe diretta alla celletta che occupava durante il suo soggiorno a Staph: ora che l’adrenalina dello scontro l’aveva ormai abbandonata e considerando lo sforzo della rigenerazione, avrebbe sicuramente avuto bisogno di riposare.

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04-04-2016, 09:31 PM
Messaggio: #14
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XIII: SAMADHI

Seayne era tornata a casa… se così si poteva definire l’anfratto nel quale si era rifugiata da quando era stata assegnata a quel territorio. Già sapeva di dover fare fagotto e cambiare destinazione ma, prima di partire, c’era una cosa che sentiva di dover assolutamente fare. Le rivelazioni del maestro Duncan sul destino finale delle guerriere, ovvero il risveglio, e anche tutto quanto accaduto nel villaggio di Shaemoor, nonché l’ultima esperienza vissuta nella biblioteca di Staph avevano instillato in lei un dubbio. Infatti, nonostante la sua costante e rigida applicazione dei principi lasciategli in eredità dal maestro Tahzay, finora i benefici che si attendeva erano stati piuttosto scarsi: il suo intuito le suggeriva che, forse, le assunzioni che avevo fatto all’inizio dei suoi esercizi spirituali probabilmente erano sbagliate.
La guerriera albina decise di ricominciare tutto dall’inizio. Così di primo pomeriggio, bevuta soltanto un po’ d’acqua, si sedette nella posizione del loto in mezzo all’erba sulla riva del ruscello che scorreva in prossimità del suo rifugio e, come sempre, iniziò modulando la sua respirazione. Parecchi minuti passarono mentre Seayne s’immergeva sempre di più profondamente nella sua meditazione e i suoi sensi si ritraevano dal mondo materiale. La guerriera procedeva con grande cautela, quasi bloccata dalla paura dell’ignoto e tormentata da dubbi insinuanti. Si teneva stretta alla sua coscienza, il che le dava la sensazione di appigliarsi a qualcosa. A occidente il sole iniziava a scendere lentamente verso la sera.
Lentamente, com’era accaduto con l’apprendimento di Polaris nell’allenamento in biblioteca, nella sua mente si visualizzò l’immagine di se stessa, quella figura con il suo stesso aspetto, bianco, esile e immobile, ma con la mostruosa cicatrice dovuta all’intervento che l’aveva resa una mezza demone che brillava di una malsana luce violacea: c’era vita in essa, Seayne ne era sicura. Poi, dopo un istante che sembrò un’eternità, dalla cicatrice iniziò a dipanarsi sull’immagine una ragnatela di striature violacee contorte come i viticci di una pianta rampicante, come le vene che si ingrossavano quando Seayne rilasciava il suo yoki, e la figura stessa iniziò a mutare aspetto, mentre la vita che vi allignava assumeva forma e consistenza diverse, stagliandosi contro l’ampio sfondo della mente della guerriera albina. La creatura divenne grande, artigliata, con gli occhi felini che brillavano di un’intensa luce dorata, il corpo nudo deformato dal modo in cui la sua natura aberrante l’aveva riplasmato. E sugli avambracci, sui polpacci e sui fianchi spuntavano delle strane penne e piume, cresciute in modo sproporzionato, mentre sulla sua testa, i lunghi e incolti capelli mutarono anch’essi in penne e piume, assumendo tra la sommità del cranio e il collo l’aspetto di due coppie di ali: un paio più grandi e due più piccole. Il colore della creatura non era più il candido pallore della guerriera albina, ma un bianco grigiastro, spento, come la neve quando inizia a sciogliersi.
Sconvolta, Seayne capì che si trattava sempre di lei: emanava lo stesso yoki, i suoi respiri erano sincronizzati con i suoi… era una cosa viva, un essere unico e che, come tale, poteva agire e sentire, Seayne capì che la guardava, che la osservava e aspettava.
Seayne percepiva quella creatura molto vicina a lei, l’occhio della mente puntato su di essa: confusa, disorientata, la guerriera albina si sforzava di respingere la ripugnanza e la paura che la pervadevano, e cercava disperatamente di restare calma. Seayne capì che ora doveva e poteva usare la sua mente umana per gestire la situazione… Come aveva sempre fatto quando i suoi istinti bestiali avevano minacciato di sopraffarla: come a Rabona, come a Durenor… Aveva usato la sua mente umana per dominare il suo demone interiore. E ora lo avrebbe costretto a svelarle i suoi segreti! Tuttavia la guerriera albina esitava. Una voce dentro di lei le consigliava cautela, sussurrando che il potere della sua mente umana doveva essere usato diversamente questa volta… che la volontà di sopprimere lo yoki non sarebbe bastata. La creatura era troppo grande, troppo potente per essere dominata così. Doveva impiegare intelligenza, astuzia. Essa era nata dalla stessa energia demoniaca che lei utilizzava ed entrambe erano la conseguenza, attraverso l’arco degli anni, di una conoscenza arcaica che era in grado di manipolarne il potere.
Per un istante, Seayne provò il bisogno frenetico, inesplicabile di rinunciare. Ma lei si isolò nuovamente dal mondo e si costrinse a ritornare al confronto con la sua visione. Ma ancora esitava. Non capiva come inoltrarsi, non ne era sicura. Non poteva avventurarsi alla cieca nell’intimità di questa cosa. Doveva prima scoprire come fare e dov’era nascosta la sua essenza. Il suo viso pallido si fece teso. Doveva capire quella cosa… Svelarla. Le parole provenienti dal profondo della sua coscienza che si fecero sentire dopo tanto tempo di silenzio la schernivano, un sussurro che la stuzzicava dai recessi più nascosti del suo subconscio, sfidandola a guardare dentro se stessa per capire
E all’improvviso, con grande stupore, capì tutto. Era scritto negli aforismi che Tahzay le aveva lasciato, ma lei non aveva capito: non era in quella creatura che doveva guardare per trovare le risposte, non nel riflesso di ciò che sarebbe potuta diventare. Ma in se stessa! Non aveva nessun bisogno di aprirsi con la forza un varco in questo essere che sigillava la sua vera essenza… nessun bisogno nemmeno di cercarla. Qui non ci sarebbe stata nessuna lotta, nessuno scontro fra poteri e menti... Ma un’unione!
Lentamente, gradualmente, Seayne rilascìò il suo yoki al 30%. L’energia demoniaca si manifestò come la radianza di Polaris, ma la luce non era come al solito era… strana, malevola, diversa da come Seayne l’aveva immaginata e concepita nella realtà. La luce inondò la creatura: la accarezzava e blandiva con un tocco abile, poi avvolgeva e ammantava con raggi caldi, rassicuranti, mentre la guerriera albina sussurrava a quell’immagine di se stessa risvegliata di accettarla in se poiché loro due non erano di natura diversa. Erano la stessa cosa come lo yoki che condividevano. I pensieri, le parole che Seayne sussurrava con la mente attraverso lo yoki avrebbero dovuto inorridirla, invece erano stranamente piacevoli. Mentre un tempo lo yoki le era sembrato soltanto una fonte di potere alla quale attingere per essere più forte e sgominare così i suoi nemici, un potere da usare e plasmare per acquisire capacità negate agli esseri umani, ora finalmente aveva afferrato tutta l’infinita gamma delle sue possibilità. Unito alla sua mente, poteva darle qualsiasi cosa. Persino qui, dove il male allignava più forte, lei, Seayne, poteva stare a suo agio. Il risveglio era il destino finale delle guerriere come lei. Solo la forza intrinseca di una mente umana disciplinata poteva a stento avere la meglio su quello che era il fine fondamentale della sua esistenza. Ma la mente umana era così versatile che poteva camuffare la forza con l’astuzia e fare apparire Seayne del Fulgore affine a qualsiasi cosa le si opponesse. Poteva essere in armonia con la vita che allignava in questa creatura… e per tutto il tempo necessario a raggiungere quello che cercava. Fu presa dall’euforia e dalla commozione mentre irradiava l’altra se stessa e ne sentiva la reazione. I pensieri che cercava di trasmetterle attraverso il legame con lo yoki sussurravano della morte e dell’orrore che davano vita alla se stessa risvegliata. Seayne giocava con essa, assorta nella propria auto creazione, così che non poteva apparire diversa da quello che desiderava sembrare.
All’improvviso ci fu una reazione: sulla creatura apparve la stessa cicatrice che la guerriera albina portava, ma composta dalla stessa luce che Seayne emetteva; poi la stessa si squarciò, rivelando un’apertura nel petto che emetteva luce dal suo interno. Seayne rilasciò altro yoki, portandolo al 50% e, mentre nella realtà il suo intero corpo si deformava e brillava, il suo spirito, si avvicinò al quell’apertura nell’altra se stessa, avvolta nella sua luce resa ancora più intensa. A quel punto la guerriera albina ricordava appena il compito che si era prefissa… trovare la sua vera essenza e se stessa. Abbandonandosi così allo yoki, riprovò di nuovo quello strano, spaventoso senso dì esultanza. Sentiva che il controllo le sfuggiva, proprio come le era accaduto nelle prigioni di Rabona. Si sentiva dissolvere. Ma doveva correre il rischio, lo sapeva. Era necessario.
Il respiro della creatura si alzava e abbassava più rapidamente, ora, e il sibilo era più intenso. La voleva, aveva bisogno di lei. Trovava in lei una parte vibrante di sé, il cuore del suo corpo che le era mancato tanto a lungo, e finalmente era tornato… e la chiamava a se! Con il volto reale avvampato per l’eccitazione e il desiderio, Seayne varcò la soglia per immergersi nella luce dentro l’altra se stessa.
L’euforia sommerse la guerriera albina, avvolgendola in un caldo abbraccio, fluendo in lei come sangue vitale. Si sentiva trascinare come una nave minuscola sulle acque di un grande fiume. I pensieri suoi e della sua metà demoniaca si fondevano, scorrendo in un miscuglio abbagliante di visioni selvagge, alcune di bellezza e luce, altre della più cupa deformità, tutte contenute nel flusso e riflusso della sua mente. Nulla era più come un tempo ma nuovo, esotico, carico di meraviglia. Era un viaggio di auto scoperta che trascendeva il pensiero e il sentimento e aveva in sé la sua ragione d’essere.
La ragazza irradiava yoki, e l’energia demoniaca era il cibo e la bevanda che la nutrivano, la sorreggevano, le davano la vita. Ormai era nel cuore della se stessa risvegliata, lontana da quel che era stata e dal mondo reale che sì era lasciata dietro. Questo era tutt’altra cosa. Mentre era tutta tesa a diventarne parte, essa si protendeva verso di lei e la attirava. La rabbia, la passione, la forza, la brama e tutti gli altri istinti primordiali s’insinuavano in lei, trovando in lei una creatura affine. Vene e arterie, simili a viticci rampicanti o a serpenti contorti e screziati le sfioravano il corpo, unendosi poi a esso, alle sue vene dilatate dallo yoki, come se lei fosse il cuore della creatura, nutrendosi della luce, dello yoki della guerriera albina, trovando in essi un elisir che le restituiva la vita. Come da una grande distanza, Seayne sentiva tutto questo… e sorrideva in risposta.
Era come se avesse cessato di esistere. Una minuscola parte di lei sapeva che le cose che le si attorcigliavano intorno e si univano delicatamente a lei avrebbero dovuto inorridirla. Ma ormai era completamente prigioniera del suo potere, non era più quella di un tempo. Tutti i sentimenti e i pensieri che erano stati suoi, che avevano formato la sua personalità, erano stati sepolti dall’energia demoniaca, ed era diventata simile alla cosa in cui si era inoltrata. Era uno spirito affine, ritornato dal suo vagabondaggio in qualche luogo lontano, e il male in lei era forte quanto quello che qui la stava circondando. Seayne era diventata oscura come la sua controparte risvegliata e la nuova vita che era stata generata grazie a lei. Era una cosa sola con essa. Gli apparteneva.
Una minuscola parte di lei capiva che Seayne del Fulgore aveva cessato di esistere, posseduta dal potere dell’energia demoniaca. Capiva che si era lasciata trasformare in quest’altra cosa una cosa così ripugnante che, in altri tempi, non avrebbe sopportato e che non sarebbe tornata se stessa finché non fosse riuscita a penetrare fino al cuore del male che la avviluppava. L’euforia, l’esultanza provocate dal potere spaventoso dello yoki, minacciavano di sottrarla completamente a se stessa, di spogliarla della sua lucidità e di trasformarla per sempre nella cosa che fingeva di essere. Tutte le fantasie strane e meravigliose erano soltanto gli orpelli della follia che l’avrebbe distrutta. Di quello che era stata rimaneva soltanto quel minuscolo frammento che teneva ancora protetto accuratamente dentro di sé. Per tutto il resto era diventata una risvegliata.
Vi fu un attimo di quiete. Nella mente di Seayne tutto sembrava normale. Le vene e le arterie la avviluppavano, unite a lei come se lei fosse il loro cuore. Ma a Seayne tutto questo non bastava: non era ciò che andava cercando. Spinse la sua mente avanti, decisa ad andare più a fondo, guidata da quella scintilla di coscienza che nascondeva nel profondo di se e che le sussurrava di trovare la sua vera essenza, di trovare ste stessa, mentre la guerriera albina aveva perso completamente la cognizione del tempo.
Nel mondo reale, non molto lontano dal suo rifugio, vi fu uno scintillio di yoki che Seayne, a causa della sua natura, non poteva ignorare: uno yoma solitario aggredì un ignaro viaggiatore. Nel suo stato alterato, Seayne
ne percepì gli istinti, mentre il demone sbranava la sua vittima, squarciandone il ventre e divorandone le interiora, fino a saziarsi. La guerriera albina assaporò la morte dell’umano. Quando finì, ne desiderò dell’altro.
Poi dei sussurri ammonitori la sfiorarono. Da confusi ricordi del passato riemerse Tahzay. Basso e magro, i capelli bianchi, la faccia scura e scarna, segnata dagli anni, gli azzurri occhi gentili, si protendeva verso di lei attraverso un abisso che Seayne non poteva varcare ma le sue parole ammonitrici non raggiunsero il cuore della guerriera albina. Un’increspatura nei tessuto della sua coscienza trascinò via l’eremita, come uno spettro, e improvvisamente Seayne fu di nuovo il cuore della se stessa risvegliata. C’era un borbottio di disagio in quel corpo, una nota di insoddisfazione nel suo sibilo. Aveva avvertito il suo momentaneo cambiamento e ne era turbata. Seayne ritornò istantaneamente alla cosa che aveva creato. La luce di Polaris si diffuse e alimentò il corpo della creatura, placandola, nutrendola di nuovo. Il disagio e l’insoddisfazione svanirono.
Poco a poco, la luce interna della se stessa risvegliata iniziò a scemare, come se lo yoki di Seayne non bastasse più ad alimentarla. Le ombre diventavano sempre più profonde e la luce moriva. Il respiro della creatura sembrava farsi più pesante. Il senso di affinità creato fra di loro dallo yoki s’intensificò, lasciandola senza fiato per l’attesa. Era vicina ora… vicina a quello che cercava. Quella sensazione la assali come una vampata improvvisa, e quell’ultima scintilla di coscienza che le rimaneva riemerse dal profondo mentre la guerriera albina liberava il suo potere con rinnovata intensità, raggiungendo l’80% Una nuova e potente luce, questa volta pura e intensa come Seayne l’aveva concepita e voluta nella sua Polaris si levò nell’oscurità; le arterie e le vene che l’avevano avviluppata e unita alla creatura si seccarono e caddero via da lei, mentre l’essere che la avvolgeva; la se stessa risvegliata, fu scosso da un fremito quando la guerriera albina comprese che, alla fine, non era necessario che lei si unisse alla se stessa risvegliata, perché lei era ENTRAMBE, un corpo solo, un’anima sola, due facce della stessa medaglia, una luminosa, l’altra oscura e che l’una non poteva esistere senza l’altra ed entrambe costituivano quella creatura unica al mondo chiamata SEAYNE! Quando comprese questo, la guerriera albina fu sopraffatta da una valanga di beatitudine indescrivibile che spazzò vita tutte le altre forme di pensiero e sentimento lasciando la guerriera, per la prima volta in vita sua, in pace con se stessa.
Seayne riaprì gli occhi nel mondo reale e si scoprì ancora seduta nella posizione del loto, lo yoki azzerato, le dita delle bianche mani incrociate in grembo e col sole che ormai volgeva al tramonto. Nulla sembrava fosse cambiato in lei rispetto a quando aveva iniziato ma Seayne, nel suo intimo, sapeva che non era così. Sapeva che, in quell’ultimo istante, era riuscita a sfiorare quel che cercava e sapeva ora come raggiungerlo senza più correre i rischi che aveva corso. Finalmente gli insegnamenti ereditati da Tahzay stavano dando i loro frutti.
Ma ci sarebbe stato tempo per meditare sulle conseguenze di quell’atto: prima doveva eliminare il debole yoma che aveva osato palesarsi vicino al suo rifugio. Con un senso di pace interiore e di serenità, armata solo della sua claymore, Seayne non ci mise molto a sbarazzarsi del piccolo demone. Anche se non l’avrebbe saputo nessuno, neanche i suoi superiori, questa volta gli umani non avrebbero dovuto sborsare neanche un bera per la morte di quel mostriciattolo e nessuna novizia sarebbe stata mandata allo sbaraglio contro di lui: questo era il piccolo regalo d’addio di Seayne per quella terra che le aveva dato rifugio. L’indomani si sarebbe messa in viaggio per la sua nuova destinazione.

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06-11-2016, 05:37 PM
Messaggio: #15
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XIV: OPEN SEA

Non era passato molto tempo dalla presa di coscienza della sua vera natura da parte di Seayne che la guerriera albina ricevette l’odine di raggiungere in tutta fretta un famoso crocevia che incontrava Terre del Sud, Terre Centrali e Terre dell'Ovest. Prestando la massima attenzione per non farsi scoprire mentre passava nei territori sotto la diretta autorità di Rabona – temeva infatti che la sua condanna a morte nella città santa fosse tutt’ora in vigore - si diresse a passo spedito verso il luogo dell’appuntamento, apprezzando comunque il paesaggio mutevole che incorniciava il suo cammino. Seayne arrivò a destinazione al calare della notte. Due figure sembravano essere già sul posto: una di esse, a giudicare dall’innaturale riflesso argenteo dei suoi occhi, era sicuramente una guerriera, come poté poi giudicare dall’uniforme e dall’armatura che la compagna indossava; l’altra figura apparteneva a un uomo alto, avvolto in uno scuro mantello. Le due guerriere si scambiarono un saluto e così Seayne apprese che la sua nuova compagna era la Numero 9 dell’Organizzazione: Camillah, mentre l’uomo in nero, ovviamente un superiore chiamato Hughes, si metteva al passo in direzione Sud, sfottendo le due per il loro atteggiamento, cosa che, almeno nel linguaggio del corpo, Camillah non gradì.
Il loro incarico consisteva nel recarsi ad Alessandro, uno dei porti principali nelle Terre del Sud, dotato di numerose banchine, città nella quale i contadini delle Terre del Sud per arrotondare i loro introiti, si recavano per pescare quando era periodo di raccolta. Al largo di Alessandro però, c’era un arcipelago chiamato le "Isole della Morte", dalle quali cui nessuno era mai tornato e dove le leggende e le favole degli abitanti del luogo avevano iniziato a confondersi con l'esistenza degli Yoma.
Inizialmente l’Organizzazione aveva bollato le richieste d’aiuto come una sorta di superstizione popolare, dovuta alla perdita di navi o a causa del mal tempo o a causa di qualche belva sottomarina di cui non si sapeva nulla, scambiate per attacchi di Yoma, dei quali però nessun cadavere e, quindi, nessuna prova, era mai stata rinvenuta. Alla fine, pressata dal Sindaco, l’Organizzazione, prima di inviare le sue guerriere, aveva mandato un suo uomo a investigare ma, anche quest’ultimo, era scomparso senza dare più notizie di sé. A chi rivolgersi per avere informazioni? Secondo Hughes forse il Sindaco era la persona maggiormente aggiornata sulla situazione ma avrebbe potuto non dir loro nulla di rilevante ma solo ciò che lui voleva che le due guerriere sapessero… viceversa la milizia cittadina avrebbe potuto avere una visione dei fatti più realistica ma, dalle parole del superiore, sembrava fosse loro ostile e quindi avrebbe potuto rivelarsi non molto collaborativa.
Insomma, le informazioni erano talmente scarse e confuse che il confine tra mito e minaccia reale era estremamente labile; il compito di Camillah e Seayne sarebbe stato, in definitiva, andare ad Alessandro e mettere per sempre a tacere la minaccia, se ce ne fosse stata una, cosa che Seayne temeva vista la convocazione della sua Caposquadra, Camillah, che era una cifra singola. Un’ulteriore motivazione per la guerriera albina veniva anche dal fatto che il suo mentore, Tahzay, era stato per molti anni un uomo di mare e contribuire a liberare il mare suddetto da una minaccia che uccideva gli uomini rappresentava ai suoi occhi d’argento un modo per sdebitarsi col vecchio eremita. L’uomo in nero a quel punto le lasciò sole e, dopo un rapido scambio di battute riguardo le poche informazioni che avevano, le due compagne si misero in marcia verso Alessandro.
Le due guerriere viaggiarono prevalentemente di notte, con la luna che illuminava il loro cammino e la divinità patrona di Seayne, la Grande Stella del Nord o Stella Polare come la chiamava la maggior parte degli uomini, che costituiva un punto di riferimento costante per guidare i loro passi. Fu un viaggio in buona parte silenzioso: la prima impressione che Seayne aveva avuto della compagna era buona ma poi, dopo la frase ironica dell’uomo in nero, la guerriera albina aveva avuto la sensazione che la compagna si fosse un po’ chiusa in sé stessa. Non volendo sembrare inopportuna e/o invadente, Seayne rispettò la riservatezza della compagna finché il silenzio tra le due compagne venne rotto da uno scambio di confidenze sulle circostanze che le avevano portate ad essere assoggettate all’Organizzazione.
Le due compagne giunsero in vista di Alessandro alle prime luci dell’alba: anche se la strada che scendeva dolcemente verso l’abitato era ancora avvolta dalla foschia del mattino, Seayne poté valutare che il posto era più simile a un grande villaggio costituito per lo più da case basse e villette che a una città, almeno secondo il suo metro di valutazione. La luce intermittente di un faro che segnalava ai naviganti l’approssimarsi del porto si rifletteva sulla rugiada mattutina che ricopriva l’erba dei prati ma, più di questo, più dell’abitato che sorgeva aggrappato al limite della linea di costa, l’attenzione di Seayne venne catturata dall’immensa distesa d’acqua che occupava tutto l’orizzonte e… la guerriera albina ne rimase affascinata! Infatti Seayne, pur avendo sentito parlare molte volte del mare e aver cercato di immaginarlo nei suoi pensieri, non lo aveva mai visto e ora, essere al cospetto di quell’immensità, lei che era abituata al massimo a trovarsi davanti un fiume o un lago, era come vivere un sogno a occhi aperti. La guerriera albina continuò a camminare fianco a fianco con Camillah, rapita e affascinata da quella visione, ascoltando il rumore all’inizio lontano ma sempre più vicino delle onde che si infrangevano sulla costa, finché le due guerriere si ritrovarono alle porte dell’abitato e gli sguardi e gli atteggiamenti poco gentili dei primi mattutini abitanti di Alessandro ruppero l’incanto, riportandola alla realtà.
A quel punto Camillah propose di recarsi dal sindaco, dal momento che era stato lui a sollecitare il loro intervento, recandosi poi dalla milizia nel caso in cui le informazioni ottenute non fossero state soddisfacenti; Seayne si dichiarò d’accordo, sottolineando che sarebbe stato meglio recarsi comunque anche dalle guardie in quanto, prestando fede alle parole di Hughes, incrociare quello che avrebbe detto loro il sindaco con quello che avrebbero potuto dire i capi della milizia cittadina, avrebbe potuto permettere loro di escludere le informazioni poco pertinenti o le esagerazioni dovute alla paura o alla fantasia del sindaco, dalle quali l’uomo in nero le aveva messe in guardia. Le due si misero così d’accordo e Seayne si guardò attorno, incrociando nuovamente gli occhi della gente, constatando che, per la prima volta, quell’ostilità che leggeva in quegli sguardi non le toccava più il cuore, come accadeva un tempo.
Il loro arrivo sembrò cogliere di sorpresa il sindaco il quale, forse, aveva ormai perso le speranze di vederle arrivare. Camillah fu molto diretta nelle sue domande verso il riottoso vecchio mentre Seayne, mossa forse a compassione dall’età dell’uomo decise di approcciarlo in maniera più gentile, decantando davanti a lui quanto bello fosse il suo paese. Forse fu perché Seayne si era mostrata gentile e mite nei confronti dell’anziano sindaco o forse perché i sentimenti della guerriera albina nei confronti del villaggio erano sinceri, ma comunque l’atteggiamento che la ragazza aveva assunto nei confronti del vecchio sortirono qualche risultato. L’uomo infatti abbandonò il comportamento riservato che aveva tenuto fino a quel momento e iniziò a descrivere sommariamente com’era la vita ad Alessandro nel suo periodo di massimo splendore. Seayne prestò la massima attenzione alle parole del sindaco, cercando di costruire nella sua mente l’immagine di come poteva essere la cittadina di allora, al fine di creare sempre più empatia col vecchio. Poco a poco, il sindaco iniziò a narrare delle storie di mostri che si raccontavano ai bambini e di come queste sembravano col tempo essere divenute sempre più reali, al punto da far pensare a Seayne che a un certo punto le sparizioni erano diventate troppo frequenti per far pensare a degli incidenti in mare e, poco alla volta, la gente aveva cominciato ad aver paura sul serio e quindi ad andare via. A dar retta alle parole del sindaco, la situazione sembrava essere precipitata nell’ultimo anno. Il vecchio sindaco sembrava non sapere nulla dell’uomo dell’Organizzazione e, poco per volta, il suo discorso scivolò nella descrizione dei mostri i quali, secondo le leggende locali, predavano la gente: il primo era una dolce fanciulla, naufraga, che in mezzo al mare in tempesta chiedeva aiuto ai marinari ignari. Con la sua dolce voce melodiosa li chiamava a sé e loro attirati dai suoi canti facevano virare la nave verso gli scogli, ad una fine sicura; il secondo era una grande rana-umana che lontano dalla città usciva dal mare ed aggrediva i mercanti solitari che percorrevano la strada che andava verso Est. Detto questo, il sindaco le indirizzò verso il capitano delle guardie e, capito che dal vecchio non avrebbero appreso altro, le guerriere lasciarono il municipio.
Non fu difficile per le due guerriere raggiungere il faro del porto, dove stava la persona che dovevano incontrare ma, durante la strada, l’attenzione di Seayne fu rapita dalla vicinanza del mare, dal suo odore salmastro e dai gabbiani che gridavano, librandosi nel cielo. Nel quadro però, c’era qualcosa che stonava: nonostante i moli sembrassero grandi e robusti, soltanto piccole barchette da pesca parevano esservi ormeggiate: l’unica eccezione era una imbarcazione molto più grande delle altre, la quale però pareva tristemente abbandonata a sé stessa. I peggiori timori di Seayne si avverarono poco dopo che le due compagne arrivarono alla caserma. Tutto sembrava andare per il meglio quando un robusto giovanotto di nome Caesy le accolse con benevolenza e, senza perdere tempo le accompagnò da quello che probabilmente era il capitano delle guardie, una sorta di armadio umano, un omone enorme ma, quando costui aprì bocca per dare aria ai suoi denti, le speranze di Seayne crollarono: non solo l’uomo non volle avere nulla a che fare con loro, ma le derise apertamente davanti ad altre persone, con le quali stava parlottando come se stessero discutendo di un piano, lasciando a un evidentemente deluso Caesy il compito di ragguagliare le due compagne. Per un momento, i ricordi della folla di Rabona che inveiva contro di lei riaffiorarono nella mente di Seayne, mentre il modo di fare del capitano irritò Camillah la quale gli rispose a tono ma, prima che le cose degenerassero, Caesy, fratello maggiore dell’omone si mise in mezzo, con l’unico risultato di far sbattere tutti e tre fuori dalla porta della stanza.
Tutta quella confusione aveva mandato in bambola Seayne, la quale non riuscì, all’inizio, ad avviare un discorso con Caesy, così, su richiesta di Camillah tacque, lasciando alla caposquadra il compito di parlare con il robusto giovanotto. Il tentativo sortì dei risultati: la storia della rana umana risultò fasulla, ma si venne a sapere anche che, in tempi più felici, gli abitanti di Alessandro incoraggiavano le dicerie su mostri per attirare in città i curiosi e, soprattutto, le due compagne vennero a conoscenza del fatto che l’uomo dell’Organizzazione si era fatto dare una nave per poi partire con essa senza fare ritorno. A quel punto Caesy da un cassetto tirò fuori una mappa leggermente sgualcita, sulla quale era segnata la città di Alessandro, la strada che andava verso ad Est e poi una serie di isolotti ben poco delineati, creati per dare un'idea approssimativa di dove si trovavano e che aspetto avessero le Isole della Morte. Sulla mappa c’erano due segni, uno in blu e uno in rosso, più vicino alla costa. Secondo il giovanotto il problema stava nel mare e i due segni rappresentavano il limite della navigazione sicura per le navi: il blu era il vecchio limite, il rosso quello attuale; dalla discussione emerse che Max, il fratello di Caesy stava organizzando una spedizione proprio in quella zona e quindi a Seayne e Camillah non rimase altro da fare se non offrirsi volontarie per quella missione. Dopo alcuni attimi di tentennamento, il giovane accettò, decidendo di assumere il comando di quella spedizione e si mosse immediatamente, facendo loro strada verso il porto. Lungo la strada, Caesy raccontò loro della tradizione locale del dono di nozze dei padri alle figlie di un pezzo della loro nave per costruire la loro nuova abitazione cosicché si ricordassero le loro origini di marinai e così chiacchierando giunsero al porto, dove era ormeggiata l’ultima grande nave: il Leone Marino.
La nave sembrava pronta alla partenza e Caesy si adoperò per far accettare all’equipaggio la presenza delle due guerriere: la cosa gli riuscì e, poco dopo, il Leone Marino prese il mare. Mentre Seayne si godeva ogni attimo di quella partenza e del primo tratto del viaggio in mare aperto, Camillah si tolse l’armatura e si arrampicò fino alla coffa della nave; poco dopo Seayne imitò la compagna, sistemandosi però a prua del vascello, cercando di non dare fastidio ai marinai, per osservare il mare avanti a loro e cercare di percepire eventuali pericoli… che non tardarono a manifestarsi. A peggiorare la situazione, scoppiò all’improvviso un temporale e pioggia e vento iniziarono a sferzare la nave e tutti i suoi occupanti. Mentre Caesy e i marinai erano occupati a mantenere il controllo della nave, Seayne ritenne opportuno togliersi a sua volta l’armatura: non passò molto temo che le due compagne percepirono una traccia di yoki sempre più netta la quale, dalle profondità del mare, aveva iniziato a chiudere la distanza col Leone Marino. Camillah scese dalla coffa e si affiancò alla compagna.
E poi, improvvisamente, eccolo: un mostro che ricordava una sorta di drago marino, grande almeno quanto la nave stessa, emerse dalle acque, causando un forte spostamento delle correnti come se la tempesta da sola non bastasse; si creò un'onda più alta del solito quando si immerse nuovamente tra le onde e l'acqua salata del mare invase il ponte del Leone Marino, trascinando tra i flutti un uomo. Poco dopo il Risvegliato riemerse, come per studiare la situazione dopo il suo primo assalto indiretto: nel mentre, con una voce che sembrava un coro di tante voci diverse, affermò di avere fame, come se parlasse per tutte le voci che aveva in sé oppure… come se ce ne fossero altri Risvegliati in zona. Seayne rimase per un attimo sbalordita all’udire quella voce e poi, mentre Caesy riusciva a far virare la nave in tempo per schivare il successivo attacco del mostro, la guerriera albina scivolò sul ponte bagnato e cadde distesa su di esso. Il mostro, continuando a vaneggiare, insisté con i suoi assalti e riuscì a colpire la nave, anche se non in pieno: tanto bastò a far cadere fuori bordo un altro marinaio, il quale però riuscì ad aggrapparsi a qualcosa e a non finire in acqua: subito Camillah si lanciò al suo salvataggio ma anche lei rischiava di scivolare con lui in acqua, non fosse stato per l’intervento di Seayne la quale riuscì a bloccare al volo la compagna e, assieme all’aiuto di un altro marinaio, a issarla a bordo assieme al marinaio da lei soccorso. Il Risvegliato approfittò della situazione e, appoggiatosi sulla murata della nave, sporse una zampa artigliata e catturò Anthony, l’uomo che poco prima aveva aiutato Seayne; avendolo sentito arrivare però, le due guerriere erano pronte e reagirono subito: Seayne mozzò la zampa del Risvegliato che stringeva l’umano, mentre Camillah riuscì a piantare un arpione in un occhio del drago marino.
A quel punto, la situazione iniziò a degenerare: la zampa amputata cadde in mare con ancora il marinaio stretto nel pugno; la generosa Camillah si tuffò in acqua per cercare di salvare il marinaio prima che Seayne, violentemente sbattuta dal mostro contro l’albero maestro della nave che si era così spezzato, riuscisse a fermarla e subì l’attacco del Risvegliato che con un morso le staccò quasi di netto il braccio sinistro… sarebbe morta se Caesy non si fosse tuffato a sua volta per ripescarla. Mentre la sua caposquadra rigenerava la sua ferita, Seayne cercò in tutti i modi di controbattere le offensive del Risvegliato, cercando in tutti i modi di ferirlo e di accecare l’occhio che gli era rimasto. La guerriera albina, anche ricorrendo alla sua abilità Polaris, non ebbe molta fortuna: riuscì infatti a contenere a malapena gli assalti del Risvegliato e anch’essa sarebbe probabilmente morta se Caesy, accorso al suo fianco e mettendo a rischio la sua vita, non avesse ferito il drago marino, dando a Seayne la possibilità di sopravvivere.
Il Risvegliato tornò all’assalto, questa volta sollevando la sua imponente coda con l’evidente intenzione di abbatterla sulla nave, distruggendola ma fu in quel frangente che Camillah tornò a fianco dei compagni. Seayne, pur addolorata nel vederla in quelle condizioni – in fondo aveva già visto morire una sua Caposquadra – le cedette il comando delle operazioni e insieme le due guerriere riuscirono a parare l’immane colpo di coda del drago marino. Mentre quest’ultimo sembrò volerci riprovare, anche se mostrava – finalmente – segni evidenti di stanchezza, Camillah prese a insultarlo e questi, forse punto nell’orgoglio, si contorse su sé stesso e cercò di azzannare nuovamente la Caposquadra ma Seayne intuì le sue intenzioni e, utilizzando nuovamente la sua abilità, riuscì finalmente ad accecare l’avversario e a cavargli l’occhio buono. Sconfitto e sfinito, il Risvegliato si afflosciò galleggiando sul pelo dell’acqua e da lì le due guerriere si precipitarono a finirlo, decapitandolo e venendo inneggiate dai marinai del semidistrutto Leone Marino per la loro vittoria, mentre la guerriera albina provava pietà per una creatura che, una volta, era stata come lei.
Era finita, finalmente: da lontano Seayne avvistò delle isole le quali, per quanto ne sapeva, potevano benissimo essere le proibite Isole della Morte e, forse a causa dello sfinimento, ebbe per alcuni istanti la sensazione di avvertire ancora dello yoki. Ma poi la sua attenzione venne richiamata dalle parole rivoltele da Camillah. Seayne le fu grata per i suoi ringraziamenti e le rivolse parole di conforto quando la compagna criticò sé stessa per il modo nel quale aveva condotto l’operazione; dopodiché le due guerriere si recarono a ringraziare Caesy e Seayne ne lodò il valore davanti a tutti i marinai… In fondo, se entrambe erano ancora vive, lo dovevano a lui. Poi Seayne se ne tornò a prua e si dedicò a guarire le sue ferite e poi a riposare, fino al ritorno in porto.
Sulla banchina le due avvistarono il loro superiore, Hughes e, vista la volubilità dell’uomo, decisero di recarsi immediatamente da lui per fare rapporto. L’uomo in nero si limitò a constatare il successo della missione, anche se sembrò concedersi un istante di compassione quando notò la mutilazione subita da Camillah. Il superiore aveva già riscosso il compenso perciò non rimaneva più nulla da fare per loro ad Alessandro e quindi Seayne si avviò assieme agli altri, rispettando le gerarchie, accodandosi per ultima lungo la strada. Usciti dal paese, la guerriera albina si girò un’ultima volta per rimirare il panorama che l’aveva accolta al suo arrivo e i suoi pensieri andarono all’eremita che l’aveva iniziata alla sua nuova filosofia di vita, sperando che fosse contento dell’operato della sua allieva. Poi tornò sui suoi passi, riaccodandosi al gruppo, proprio nel momento in cui Camillah chiedeva se esistesse un modo per riavere un arto perduto e, effettivamente, l’espressione del volto della Caposquadra le rivelava quanto Camillah stesse male per ciò che le era accaduto. E forse proprio a causa di quanto le era successo e forse per il bisogno di ricevere un po’ di conforto, lungo la strada del ritorno Camillah si comportò in maniera molto più socievole con la guerriera albina.
Quest’ultima fece del suo meglio per ricambiare sinceramente quell’atteggiamento, cercando velatamente di adottare degli atteggiamenti e delle parole che potessero essere di conforto alla compagna. Quando giunse il momento della separazione, Seayne abbracciò Camillah come se stesse prendendo commiato da una sorella, dicendole che avrebbe atteso il giorno in cui sarebbero andate nuovamente in missione assieme. Detto questo, la guerriera albina se ne andò per la sua strada. Aveva molte cose sulle quali meditare e molte altre sulle quali semplicemente riflettere. Il suo cammino spirituale era ben lontano dall’essere finito.

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24-12-2016, 06:08 PM
Messaggio: #16
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XV: GURTHANG FERRO DI MORTE

Rientrata dalla missione nelle Terre del Sud e consapevole della sua scarsa forza che le rendeva problematico affrontare avversari pesantemente corrazzati, Seayne era decisa ad approfondire quella parte dei suoi studi mistici nella quale si affermava che le menti allenate e disciplinate possano permettere al discepolo di trascendere la sua umanità e avere accesso a facoltà particolari comunemente negate ai profani. A maggior ragione questo poteva rivelarsi vero per una guerriera mezza demone, ma fin dove poteva spingersi Seayne nella sua ricerca del potere? Avrebbe potuto combinare la sua estrema velocità e la sua forza interiore e mentale per ottenere una tecnica potente? C’era solo un posto al Quartier Generale ove avrebbe potuto ottenere la risposta.
Così, nonostante l’ora tarda, la guerriera albina si recò alla grande biblioteca del Quartier Generale, ove trovò uno degli Uomini in Nero che si era trattenuto a leggere fino a tarda ora: era Duran, il maestro che l’aveva aiutata a affinare l’uso della sua abilità Polaris. Il superiore infatti credeva che Seayne volesse implementare ancora la sua abilità e l’ammonì affermando che Polaris non era ulteriormente potenziabile. Seayne ne era cosciente e subito si affrettò a dissipare i dubbi di Duran, spiegandogli l’esatto motivo della sua presenza in quel luogo a quell’ora: realizzare una tecnica nella quale convergessero tutta la sua velocità, tutta la forza del suo spirito e tutta il suo yoki in un unico, singolo, devastante colpo che fosse in grado di infrangere anche le più robuste corazze dei risvegliati.
Dopo alcuni momenti di riflessione, dopo aver riflettuto e affermato che la cosa avrebbe potuto essere fattibile, l’uomo in nero chiamò un accolito al quale diede una serie di istruzioni e poi condusse Seayne presso l’arena esterna, il luogo della sua fortunata vittoria contro Gaia, la Numero 5 dell’Organizzazione. Qualcuno aveva provveduto a far sistemare dei manichini pesantemente corrazzati sul campo dei duelli e, per prima cosa, Duran ordinò alla sottoposta di effettuare un tentativo per fargli capire cosa Seayne avesse in mente e studiare il modo per farglielo ottenere. Seayne prese di mira un manichino e, ricorrendo alla tecnica della sua immagine mentale per dirigere l’energia demoniaca nel suo corpo, partì alla carica rilasciando lo yoki al 50% e cercando di concentrarlo solo ed esclusivamente nel suo braccio destro, per poi colpire la sagoma da allenamento con tutta la forza che in quel momento possedeva…
Il manichino corrazzato quasi non si accorse dell’attacco, riportando solo una scalfittura dell’armatura, mentre l’intera forza del colpo si ritorse contro Seayne, facendola rimbalzare sulla sagoma e mandandola a ruzzolare a terra, il braccio destro intorpidito. Comunque il tentativo fu sufficiente per far capire a Duran dove la guerriera albina voleva andare a parare e quindi, come prima cosa, le consigliò per il momento di lasciare perdere la carica e di concentrarsi solo sul bersaglio, sprigionando e concentrando nel braccio tutto lo yoki a cui poteva attingere. Dopo aver recuperato la sensibilità al braccio dominante, Seayne si pose di fronte al manichino e iniziò a concentrarsi: non si era mai spinta nell’uso dello yoki a oltre il limite del 50% ma ora, lo capiva, doveva fare di più. Così, dopo aver alzato il suo yoki al limite per lei consueto, iniziò a spingerlo nel braccio, lentamente, gradualmente e con attenzione, procedendo a incrementarlo di un 10% alla volta, finché raggiunse il limite dell’80% e, a quel punto, non volendo andare oltre, scagliò il suo fendente sul manichino, per poi affrettarsi a dissipare lo yoki che aveva in corpo.
Nell’armatura del manichino si aprì un grosso squarcio ma, a essere onesti, per un Risvegliato si sarebbe trattata di una ferita di poco conto, così come confermò il maestro Duran il quale le suggerì due cose: incrementare ancora il livello di yoki rilasciato e accelerare ulteriormente il tempo di rilascio dello stesso, sottolineando che minore fosse stato il tempo suddetto, meno Seayne sarebbe rimasta esposta a un eventuale contrattacco avversario. Seayne preferì per il momento tenere separate le due cose e iniziò dalla rapidità di incanalamento, cambiando prima bersaglio su suggerimento del superiore, per poter meglio valutare i danni su un manichino intatto. Con un certo sforzo Seayne riuscì a incanalare nuovamente l’80% di yoki nel suo braccio con maggiore rapidità rispetto a prima, ma i risultati furono più o meno gli stessi del tentativo precedente. Non c’era nient’altro da fare: se se voleva conseguire qualche risultato, Seayne avrebbe dovuto infrangere la barriera dell’80% di yoki rilasciato. Nonostante la guerriera albina si fosse già confrontata con la se stessa risvegliata a livello mentale, prevalendo, le cose sul piano fisico avrebbero potuto rivelarsi diverse. Preoccupata di non diventare un pericolo, Seayne chiese all’uomo in nero di chiamare una compagna che potesse intervenire se lei avesse malauguratamente perso il controllo del suo yoki.
La risposta, anzi, il rimprovero che Duran le rivolse la colsero di sorpresa:l’uomo in nero in pratica le aveva ricordato che durante un combattimento le compagne non avrebbero avuto tempo per assisterla e se lei avesse voluto ottenere quel che cercava avrebbe dovuto avere il coraggio di andare fino in fondo o, altrimenti, rinunciare. Seayne ascoltò le parole di Duran senza fare una piega. Aveva da tempo imparato a non prendersela quando veniva rimproverata o apostrofata con toni secchi e freddi come in questo caso. Preferì quindi concentrarsi sui contenuti di quel rimprovero, sul significato delle parole dell’uomo in nero, intuendo che ci fosse un modo per raggiungere il massimo rilascio dello yoki riducendo al minimo il rischio del risveglio. Ma come fare? Seayne a dire il vero un’idea iniziava ad avercela, ma prima chinò il capo verso il superiore, come segno di aver recepito le sue parole e confermandogli la sua volontà di andare avanti, in modo tale sapesse che, qualunque fosse stato l’esito, la guerriera albina avrebbe tentato di andare fino in fondo. Dopo aver approfittato di quegli istanti di pausa per recuperare le energie, Seayne ritornò a fronteggiare il manichino colpito nel tentativo e iniziò a riflettere, ricordando il suo confronto precedente con la sua metà oscura, che l’aveva vista vittoriosa. Seayne sorrise serena. Sapeva che sarebbe giunta a questo punto prima o poi ma la cosa non la spaventava anzi, in un certo senso, le parole dell’uomo in nero l’avevano spronata a continuare. La guerriera albina sapeva che questa sarebbe stata la prova per vedere se la disciplina alla quale si era sottoposta in quegli ultimi mesi fosse servita a qualcosa.
Lentamente, sempre respirando in maniera cadenzata e regolare, Seayne richiamò alla mente il suo confronto con la sua parte oscura, recuperando tutti i ricordi e le sensazioni provate allora, ricostruendo nel suo pensiero la mappa immaginaria del suo corpo che utilizzava all’inizio dei suoi allenamenti per capire come dirigere i flussi di yoki attraverso il suo corpo. Subito dopo iniziò a rilasciare nuovamente lo yoki direttamente all’80% e, mentre lo faceva, ricostruì l’immagine della sé stessa risvegliata così come l’aveva percepita durante le sue meditazioni. Fatto questo, fece muovere le due figure nella sua mente in modo tale che le due braccia destre delle immagini si sovrapponessero perfettamente, iniziando nel contempo a spingere lo yoki in direzione del suo arto dominante. Concentrandosi e respirando regolarmente, non appena Seayne ebbe finito di sovrapporre le immagini mentali delle due braccia, iniziò a dipanarsi sul braccio immaginario una ragnatela di striature violacee contorte come i viticci di una pianta rampicante, come le vene che si ingrossavano quando Seayne rilasciava il suo yoki. Era il momento e la reazione che la guerriera albina si aspettava e quindi ella si protese mentalmente verso la sua metà oscura, decidendo di infrangere il punto di rottura e implorando la se stessa risvegliata di concederle per un istante la sua forza, per poi spingere lo yoki al 100%, cercando di usare tutte le sue risorse fisiche e mentali per ignorare il dolore al braccio, il quale nella sua mente ormai brillava come non mai ma nella realtà sembrava aver preso fuoco e spingere quell’enorme flusso di energia prima verso il suo braccio destro e poi idealmente fuori da esso, verso la sua claymore, provando a vibrare nel medesimo istante un fendente diretto alla vita del manichino che aveva di fronte, con l’obiettivo di tentare di tagliarlo in due.
Seayne non ebbe il tempo di gioire o di rendersi conto del successo del suo tentativo: lo yoki non ne volle sapere di ridursi dopo che la guerriera albina ne aveva attinto fino all’estremo limite e l’energia demoniaca iniziò a scuotere e deformare il suo braccio dominante. Seayne lasciò cadere la claymore e si inginocchiò a terra stringendo con la mano sinistra il suo polso destro mentre, a causa del suo capo chinato in avanti, la sua grande massa disordinata di capelli bianchi le ricadde tutt’attorno, ricoprendo la sua figura come un candido sudario. Però, dopo alcuni istanti di dolore ed estasi, la guerriera albina si rese conto di aver già provato quel caos di emozioni contrastanti, la prima volta che si era avvicinata alla sua metà oscura… e questo smorzò in buona parte le sue paure e le diede la forza di pensare e capire che doveva riprendere il controllo di se stessa. Per prima cosa, realizzò Seayne, doveva impedire al panico di prendere il sopravvento su di lei, perciò costrinse se stessa a riprendere a respirare regolarmente, riportando la calma nella sua mente, anche se non ancora nel suo corpo. Fu allora che, emergendo dal caos che la stava sconvolgendo nell’intimità, la voce calma ma ferma del maestro Tahzay si fece sentire, citando uno dei più comuni aforismi che le aveva lasciato da studiare che le suggeriva di aggiogare te stessa finché non fosse stata come un cavallo disposto ad obbedire. Quella voce proveniente dal suo passato e dai suoi studi la sorprese: come fare a mettere il giogo a se stessa, in quelle condizioni? Un altro ricordo del suo passato le venne in aiuto: da piccola aveva incontrato un uomo di una tribù del nord molto bravo a domare i cavalli selvaggi. Quando la piccola Seayne gli chiese come facesse, l’uomo le rispose che il segreto era la fermezza! Non cedere mai, per nessun motivo, altrimenti, se avesse ceduto anche solo una volta, tutti gli sforzi sarebbero stati inutili. Ma come fare per adattare quell’insegnamento alla sua situazione? Al suo yoki selvaggio? Il tempo stringeva e la sua metà oscura non dava segno di voler allentare la presa su di lei… Sforzandosi di rimanere calma e concentrata, prima di iniziare a concentrare i suoi sforzi per resistere, Seayne richiamò per un attimo alla mente l’immagine di Stephan, il suo perduto amore e, avvertendo in lei la forza di quel sentimento che ancora la legava all’uomo, iniziò il suo tentativo per placare il flusso di energia demoniaca fuori controllo. Per prima cosa, Seayne svuotò del tutto la sua mente, in modo tale da ridurre al minimo, se non cancellando del tutto, pensieri, istinti ed emozioni che la sua parte bestiale avrebbe potuto volgere a suo vantaggio, sfruttando la sua personale pratica meditativa, cosa che oramai, dopo tanti mesi di meditazioni prolungate, avrebbe dovuto riuscirle facilmente. Poi, ben sapendo che se la sua metà oscura, alimentata dai suoi più bassi istinti ma anche e soprattutto dal suo yoki non avesse trovato appigli per aggrapparsi a lei, avrebbe potuto comunque riuscire a sbarazzarsi della sua coscienza, Seayne dissolse l’immagine mentale di se stessa alla quale la sua metà oscura si era legata grazie al braccio che le aveva concesso e condiviso, cercando in tal modo di toglierle anche quell’appiglio e, nel contempo, nella mente di Seayne avrebbero iniziato a prendere forma alcune parole: Io sono Seayne! La guerriera albina avrebbe iniziato a ripetere nel suo intimo quelle parole, scandite con calma ma con fermezza, facendo assumere a loro il ritmo e la cadenza ossessiva di un mantra. Focalizzandosi su quella litania, la guerriera albina avrebbe quindi tentato con tutta se stessa di ritorcere quel mantra contro la parte di lei che cercava di risvegliarsi, tempestandola con quelle parole, cercando di non cedere neanche per un istante, come se fosse uno scoglio di pietra dura sulle rive di un mare in tempesta, mentre la sua parte razionale tentava di richiamare a sé tutta la forza del suo spirito e, grazie ad esso, provare a riportare il flusso del suo yoki sotto controllo abbassandone lentamente l’intensità, pilotando quest’ultimo sforzo ricorrendo ancora una volta all’immagine mentale residua della sua parte risvegliata. L’avrebbe fatta regredire dalla sua forma di risvegliata alla sua forma normale, ovvero Seayne stessa, però partendo non dal braccio oggetto del contendere tra le due volontà, ma dalle sue gambe, cercando subdolamente di toglierle forza e quindi indebolirla prima che la sua intima avversaria se ne rendesse conto, per poi continuare risalendo verso la parte superiore del suo corpo nel caso in cui fosse riuscita a riprendere il controllo della sua energia demoniaca
Il confronto si risolse in pochi secondi, che alla guerriera albina sembrarono un’eternità. Ma Seayne tenne duro… anni di addestramento, punizioni, sofferenze e battaglie avevano temprato il suo esile corpo e i suoi esercizi spirituali avevano rafforzato il controllo della sua mente sul suo fisico e, in qualche modo, ricorrendo a tutta la sua determinazione, la guerriera albina resistette finché avvertì un cedimento da parte della sua intima avversaria. Con uno sforzo di volontà, Seayne riuscì a riassorbire in se parte dello yoki, riportandolo all’80% e, percependo di averlo a quel punto nuovamente sotto il suo controllo, si affrettò ad abbassarlo e, mentre la sua immagine mentale, urlando silenziosamente, regrediva dalla forma risvegliata a quella di una Seayne con la cicatrice delle guerriere che pulsava di luce purpurea, la guerriera albina estinse completamente lo yoki, dissolvendo completamente quell’immagine distorta di sé nella sua mente. Seayne riaprì gli occhi: era ansimante, inginocchiata sulla sabbia dell’arena con entrambe le mani poggiate a terra. D’istinto la guerriera albina alzò la mano destra per guardarla, realizzando che essa era tornata normale e, mentre sorrideva felice per lo scampato pericolo realizzò che si sentiva… svuotata, come se avesse affrontato una feroce battaglia, il che era ciò che praticamente era avvenuto. Lasciando che il suo corpo respirasse liberamente per iniziare a recuperare le energie e ricordando il motivo per il quale tutto questo era successo, Seayne si guardò attorno: vide allora che il maestro Duran aveva abbandonato gli spalti dell’arena per avvicinarsi a lei. Seayne lo rassicurò sul suo stato, poi il suo sguardo cadde sul manichino davanti a lei e notò che era distrutto anzi, tagliato in due! Ricordava a malapena di aver lanciato il fendente. Seayne riprese in mano la sua claymore e la utilizzò come un bastone per alzarsi e andare a guardare da vicino ciò che rimaneva del manichino corrazzato. Poi, ancora incredula, si rivolse con voce mite al suo superiore, chiedendo cosa fosse successo.
Il maestro Duran le confermò che quello che vedeva era effettivamente il risultato del suo attacco, un attacco talmente veloce e potente da lasciarsi dietro una scia di fuoco. Ma la gioia provata da Seayne per aver raggiunto quel risultato, venne ben presto smorzata dalle precisazioni del superiore riguardo tanto i rischi che la guerriera albina avrebbe corso utilizzando quella tecnica in battaglia, cosa che l’avrebbe lasciata esposta a un contrattacco nemico in caso di fallimento, quanto e soprattutto al pericolo legato alla possibile perdita del controllo dello yoki da parte sua. Tuttavia, ci fu una frase detta da Duran che ravvivò in lei la speranza di poter padroneggiare quella tecnica tanto letale quanto pericolosa, ovvero che la pratica rende perfetti. Seayne rifletté su quelle parole e sul successivo suggerimento dell’uomo in nero, che le disse in maniera più o meno velata che, se avesse capito di stare per perdere completamente il controllo di sé stessa, avrebbe potuto sempre utilizzare il suo braccio sinistro per porre un rimedio… definitivo alla situazione, almeno finché il suo conflitto interiore fosse rimasto confinato al suo braccio dominante. Seayne non fece una piega a quelle parole, accettandole per quello che erano, ovvero la verità. Triste, amara, ma pur sempre la verità. A quel punto, Duran si ritirò nuovamente sulle gradinate, affermando di essere al sicuro e lasciando a Seayne la decisione se effettuare o meno un ultimo tentativo. La guerriera albina giunse le mani davanti al petto e, chinando il capo in avanti con gli occhi socchiusi gli rispose che avrebbe tentato.
A differenza di prima, Seayne non richiamò alla mente l’immagine di se stessa risvegliata ma, al contrario, immaginò di creare un’armatura immaginaria per proteggere il suo braccio mentre richiamava ancora una volta il suo yoki al massimo livello possibile e impiegava tutta se stessa, fisicamente e mentalmente, cercando di colpire un altro manichino integro.
Grazie allo sforzo profuso e a prezzo delle sue ultime risorse tanto fisiche quanto mentali, Seayne riuscì a scagliare il suo fendente e a distruggere il secondo manichino corrazzato rendendosi perfettamente conto di quello che faceva. Passato il primo istante di meraviglia per aver visto con i suoi occhi gli effetti del suo fendente, soprattutto la scia di fiamme luminose, Seayne ricordò dettagli un po’ più… tecnici del suo attacco, come l’impressione che la corazza non fosse durissima come nei primi tentativi e comprese che il suo fendente velocissimo poteva supplire alla sua scarsa forza, La guerriera albina cercò di toccare la lama della sua claymore ma si accorse che era rovente: possibile che quella fiamma brillante l’avesse surriscaldata fino a quel punto? Non c’era da stupirsi davanti alla difficoltà che la guerriera albina aveva avuto nel dominare lo yoki e la sua metà oscura, vista la potenza in gioco. L’adrenalina abbandonò rapidamente Seayne che barcollò per un momento: era esausta! Duran le consigliò una giornata di riposo prima di qualsiasi altra cosa, prima di allontanarsi sbadigliando.
La guerriera albina seguì il suo consiglio, recandosi presso la celletta del dormitorio che era solita occupare quando si trovava al Quartier Generale. Toltasi l’armatura, si stese sul giaciglio e, guardando il cielo stellato fuori dalla finestra, si ritrovò così a pensare ai tempi andati e, improvvisamente, le tornò in mente una leggenda del Nord che le era stata raccontata quand’era piccola: la leggenda parlava di un grande guerriero che impugnava una spada incantata, dotata di una volontà propria dall’indole malefica, con la quale uccise un grande drago ma che, alla fine, fu la causa della sua stessa morte.
La guerriera albina vi trovò molte analogie con la sua nuova tecnica e così, mentre scivolava nel sonno, Seayne decise di battezzare la sua nuova tecnica col nome di quella spada leggendaria:

Gùrthang, il Ferro di Morte!

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22-02-2017, 10:36 PM
Messaggio: #17
RE: [In Attesa] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XVI: DUELLO CON DUA

Una mattina piovosa seguì la notte dell’allenamento e Seayne ne aveva approfittato per trovarsi un luogo riparato e meditare su quanto avvenuto la notte precedente.
Dopo un tempo indefinito, uscendo da quello stato, la guerriera albina udì la sfida lanciata da una compagna a lei sconosciuta: Dua. Dopo aver atteso un po’ per vedere se qualche altra compagna avesse accettato lo scontro, decise di farsi avanti, spinta più che altro dalla volontà di conoscere una nuova guerriera. Indossata l’armatura, con pochi balzi Seayne raggiunse Dua e si presentò a lei, noncurante dell’acquazzone che l’aveva inzuppata nel giro di pochi minuti e del fatto che la nuova compagna non avesse dichiarato il suo numero: per Seayne entrambe le cose non avevano importanza. Come arbitro di quello scontro si propose il maestro Duncan il quale, come da sua abitudine, sembrò sbucare fuori dal nulla, avvolto nella sua cappa che, come al solito, ne occultava le fattezze.
Il terreno dell’arena era messo male: la pioggia incessante aveva inzuppato la sabbia del campo di battaglia, trasformandola in un pantano fangoso e scivoloso. Le guerriere presero entrambe una claymore da allenamento e si disposero l’una di fronte all’altra a una distanza tale da potersi dare lo slancio. Al segnale di Duncan, Dua scattò in avanti mentre Seayne, più alta dell’avversaria e quindi, teoricamente, disponendo di un maggior allungo, decise di fare un improvviso passo avanti tentando un affondo di punta diretto allo sterno dell’avversaria, per cercare di colpirla e nel contempo di bloccarne l’impeto. Purtroppo la guerriera albina scivolò sul piede in appoggio mancando il colpo e, peggio di tutto, ricevendo in faccia un grumo di fango lanciatole contro da Dua grazie alla sua claymore, che l’accecò.
Mentre si ripuliva la faccia, Seayne concentrò la sua percezione sull’avversaria, scoprendo che Dua cercava di portarsi alle sue spalle. Non appena ci vide di nuovo la guerriera albina girò velocemente su se stessa per fronteggiare la compagna, rimettendosi velocemente in guardia, il che le permise di bloccare un colpo diretto alle sue gambe, anche se la forza dell’impatto la fece scivolare indietro di un paio di metri. Fortuna o bravura che fosse, Seayne riuscì a restare in equilibrio, imparando nel contempo che Dua sembrava essere veloce quanto lei e anche un po’ più forte.
Senza darle tregua, Dua si lanciò nuovamente all’attacco, dandole l’impressione di volerla nuovamente accecare con una palata di fango, al che Seayne si sentì giustificata a utilizzare la sua abilità Polaris contro l’avversaria. Subito dopo il brillamento, approfittando dell’improvvisa cecità della compagna, Seaune si spostò sulla sua destra o a sinistra di Dua che dir si voglia, abbassandosi per schivare eventuali colpi scagliati alla cieca per protezione per poi, una volta che l’avversaria era giunta alla sua portata, alzare il suo yoki al 10% per poi affibbiarle un fendente sul retro delle ginocchia che ebbe l’effetto di far cadere Dua in avanti, nel fango.
Seayne cercò di approfittare della situazione ergendosi sulla sua persona, portando la claymore in verticale sopra la sua testa a braccia tese, per poi alzare ulteriormente il suo yoki al 30% e abbassarsi repentinamente portando un fendente in verticale, accompagnato dal peso della guerriera albina grazie al studiato movimento del suo corpo, il quale aveva l’obiettivo di infliggere un danno serio alle gambe di Dua ma che si rivelò inefficace in quanto l’avversaria, intuendo il pericolo, semplicemente rotolò via dalla sua posizione, inzaccherandosi ancora di più ma evitando un colpo che avrebbe potuto menomarla e che invece non fece altro che far schizzare fango in tutte le direzioni.
Svelta come un gatto, Dua si rialzò e si lanciò nuovamente all’assalto di Seayne, dandole l’impressione di voler ancora puntare a colpirla alle gambe. Per parte sua la guerriera albina, non volendo rinunciare a tentare un colpo sull’avversaria, optò per cercare di parare il fendente in arrivo, puntellandosi poggiando il ginocchio sinistro a terra e provando a utilizzare all’unisono le protezioni di spalla, bicipite e avambraccio sinistri come scudo, per tentare poi di affibbiare un fendente alle costole di sinistra di Dua, le quali avrebbero dovuto essere rimaste scoperte a causa del movimento stesso della compagna.
Ma le cose non andarono come previsto. Dua infatti cambiò bersaglio all’ultimo momento, colpendo Seayne di piatto alla testa, mettendola fuori combattimento. Con un briciolo di coscienza, la guerriera albina riuscì a capire che il maestro Duncan assegnava la vittoria a Dua, rimproverandola subito dopo per aver messo a rischio la vita dell’avversaria. Seayne provò un momentaneo risentimento nei confronti della compagna per il proditorio colpo che le aveva rifilato, salvo pentirsene subito dopo quando, oltre a riprendere parzialmente coscienza e con essa rammentando i suoi principi morali, si rese conto che Dua la stava trascinando all’asciutto.
Seayne a quel punto preferì riflettere sui suoi errori più che su quelli dell’avversaria e, sinceramente, ringraziò Dua per essersi battuta con lei, auspicando una futura rivincita. A quel punto la guerriera albina si diresse verso il suo alloggio: aveva bisogno di guarirsi il colpo alla testa e, soprattutto, di darsi una bella ripulita.

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22-07-2017, 04:29 PM
Messaggio: #18
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XVII: LA BEFANA

Seayne ritornò al suo territorio di competenza, ovvero i monti circostanti il “Lago delle Streghe” nelle Terre Centrali, sotto l’autorità del Clero di Rabona, con l’ordine di controllare una segnalazione per la possibile presenza di yoma nei dintorni. Dopo una veloce ispezione al suo rifugio, giusto per sincerarsi che non fosse stato scoperto o occupato da un orso o altri animali selvatici, la guerriera albina si mise in caccia.
La segnalazione si rivelò corretta: Seayne infatti sorprese in una radura tre yoma, uno dei quali più grosso degli altri, intenti a banchettare con dei poveri resti. La Numero 12 non ci mise molto a sbarazzarsi di loro anche se riportò una ferita di poco conto al fianco destro (?).
A quel punto, dalla boscaglia, sbucarono alcune guardie di Rabona, le quali sembravano ritenerla responsabile di qualcosa che stava accadendo in zona. D’istinto Seayne arretrò da loro e questo venne apparentemente scambiato come un indizio di colpevolezza, il che portò il capo di quegli uomini a ordinare loro di catturare la guerriera albina. Quest’ultima, constatato che i suoi avversari non avevano con loro delle armi da lancio, decise di sfruttare la sua agilità e velocità superiori per schivare gli assalti di quella marmaglia, limitandosi a farli inciampare o mandandoli a cacciare farfalle, finché la Numero 12 riuscì a sottrarsi all’accerchiamento, ritornando nella radura mentre metteva un po’ di spazio tra lei e le guardie.
A quel punto, convinta di aver dimostrato a quegli uomini di essere perfettamente in grado di sfuggirgli anche se ferita, Seayne si rivolse a loro, dichiarando apertamente le ragioni della sua presenza in quei luoghi, sostenendo di esserci appena arrivata e indicando i cadaveri degli yoma come prova della sua buona fede. A ulteriore dimostrazione di buona volontà e di non aver nulla da nascondere, la guerriera albina si offrì volontariamente per accompagnare quegli uomini nella loro ricerca o, in alternativa, di farsi accompagnare da loro fino alla conclusione della sua perlustrazione, rimarcando alla fine di conoscere e rispettare il dio di Rabona, anche se lei professava un’altra fede.
Il capo di quel plotone, un giovanotto di nome Ashton, dopo averci riflettuto, concesse a Seayne il beneficio del dubbio e le propose di seguire lui e i suoi uomini fino al villaggio più vicino per spiegare le sue azioni ai suoi superiori, dandole prova del fatto che la guerriera albina non sarebbe stata soggetta a nessuna costrizione. Ancora dubbiosa nei confronti degli uomini di Rabona e memore di quanto accadutole a Trem in passato, Seayne accettò a patto che le venisse concesso prima di guarire la sua ferita: se si fosse giunti a uno scontro, Seayne voleva essere in perfetta forma. Nonostante i mugugni dei suoi soldati, Ashton le concesse di sanare la ferita, mandando avanti gli altri uomini affinché non venissero disturbati da quello che tutti consideravano un atto di stregoneria. Una volta finito, Seayne si mise al passo con Ashton, dirigendosi con lui verso il villaggio.
Durante la marcia, la guerriera albina e il soldato di Rabona iniziarono a chiacchierare, probabilmente entrambi con l’intento iniziale di cavarsi informazioni l’una con l’altro ma, poco per volta, iniziarono a conoscersi e a confidarsi dettagli un po’ più… privati durante il cammino. Seayne finì per scoprire non solo che Ashton era nato a Pieta, ma che aveva anche sentito parlare del massacro del suo villaggio di cui lei era l’unica sopravvissuta. Inoltre, il suo accompagnatore non era un uomo delle milizie della città santa, bensì era stato da queste ingaggiato e inquadrato nei suoi ranghi. A riprova di questo fatto Seayne era convinta di averlo udito, in almeno un’occasione, invocare le dee gemelle anziché il dio di Rabona. Tornando poi ad argomenti meno frivoli, Seayne apprese con sorpresa che Rabona e l’Organizzazione avevano iniziato a dialogare tra di loro cercando di stipulare un accordo tra le parti; inoltre apprese che la loro destinazione era il villaggio di Salt Lake, laddove si stava preparando una festa per celebrare una ricorrenza e che avrebbe dovuto presentarsi al cospetto della massima autorità religiosa della zona: il Vescovo Elros.
Costui le venne descritto da Ashton come un uomo tutto d’un pezzo, carismatico e dalle profonde convinzioni religiose, fino addirittura a citare una diceria secondo la quale, anni prima, il prelato avesse sconfitto un demone grazie alla forza della sua fede. Seayne era fortemente dubbiosa riguardo a quest’ultimo punto e temeva, vista la descrizione che le era stata fatta, di ritrovarsi davanti a uno zelota della peggior specie, come quelli che l’avevano condannata al suo processo. Tuttavia aveva dato la sua parola ad Ashton e non intendeva rimangiarsela, forse anche per timore che venisse fatto del male a quell’uomo per colpa sua e quindi, mantenendo i suoi sensi all’erta, la guerriera si fece forza ed entrò a Salt Lake, mentre il suo accompagnatore accelerava il passo, forse per non essere visto entrare assieme a una strega: certe abitudini erano dure a morire.
Il villaggio era piccolo ma comunque accogliente, tra i tetti delle case vi erano appesi filamenti e festoni ma molti di quelli parevano rotti o erano stati strappati da qualcuno a cui, molto probabilmente, quella festa non andava a genio. Il percorso era illuminato da numerose fiaccole che conducevano al centro della piazza cittadina: lì vi era una folla gremita di persone e al centro, seduto su di uno scranno dorato, il Vescovo Elros. Tutti gli occhi erano puntati su di lei ma nessuno proferì parola; la tensione poteva essere tagliata con un coltello mentre Seayne, che disprezzava tutta quell’ostentazione e i cui ricordi di Trem tornarono in superficie, faceva appello alla Grande Stella del Nord e ricorreva ai suoi esercizi respiratori mentre si dirigeva al cospetto del prelato, senza rinunciare a guardarsi attorno cercando una via di fuga. Giunta davanti al prelato, la guerriera albina si genuflesse davanti a lui, salutandolo col titolo che gli era dovuto.
Non appena il Vescovo Elros aprì bocca però, tutte le speranze di Seayne di poter avere una discussione magari difficile, ma franca e onesta se ne andarono, per così dire, al creatore, confermando i timori della Numero 12 di aver a che fare con uno zelota della peggior specie. Gli epiteti e le allusioni che Elros le lanciò contro scivolarono sulla guerriera albina come gocce di pioggia su un vetro, così come la raccomandazione agli uomini di picchiare le loro donne a causa della loro malizia: certo, la cosa le dava fastidio ma, in fondo, non erano affari suoi. Diverso era invece il discorso che riguardava Ashton: per un uomo che lavorava per le milizie di Rabona anche se, forse, non ne seguiva la religione, fidarsi di una Strega dagli occhi d’argento doveva aver presentato uno sforzo… di volontà non da poco. Per questo considerava le punzecchiature che il Vescovo rivolse ad Ashton per essersi fatto secondo lui, ammaliare dalla Numero 12 ingiuste perciò, dopo essersi rialzata lentamente in piedi e aver incrociato le braccia al petto, sempre con espressione calma e voce mite ma ferma, si rivolse nuovamente a Elros, replicando all’accusa rivolte a lei e al suo accompagnatore raccontando la verità dei fatti.
Tutto fu inutile, il Vescovo sembrava non aver nessuna intenzione di recedere dalle sue convinzioni, al punto che Seayne, stanca di quella situazione, stava per girare i tacchi e andarsene, quando Elros iniziò ad arringare la folla raccolta attorno alla piazza, accusandoli di festeggiare una ricorrenza pagana a causa della presenza della mezza demone e degli yoma da lei uccisi sulle montagne e Seayne, più per curiosità che per altro, rinunciò per il momento alla sua idea: voleva vedere se qualcuno avesse avuto il coraggio di replicare al Vescovo. Sorprendentemente una donna, unica tra tutti, tentò timidamente di discolpare il villaggio asserendo che non vi era nulla di blasfemo nella festa che stavano celebrando, ma nemmeno quest’atto sembrò scalfire la corazza del Vescovo ma, a quel punto, in sua difesa intervenne… Ashton!
Il giovane parlò con passione, appellandosi a una certa Santa sofia della quale, evidentemente, il Vescovo Elros doveva essere un devoto, difendendo poi con la forza della logica tanto i villici quanto Seayne, rammentando al prelato che la festa traeva origine da un fenomeno naturale e il dialogo in corso con l’Organizzazione sottolineando l’opportunità di cambiare opinione nei confronti di chi apparteneva alla stessa, come Seayne. Le labbra della guerriera albina si dischiusero in un lieve sorriso: senza saperlo o, forse sì, Ashton si era appellato al suo senso dell’onore e, in un certo senso, si poteva dire che la Numero 12 era contenta che l’avesse fatto. Dopo quanto visto e sentito, Seayne proprio non se la sentiva di abbandonare quelle persone alla mercé del Vescovo Elros. Decise di rimanere e di non parlare contro il prelato, non ancora almeno, lasciando che il dibattito facesse il suo corso, tuttavia la guerriera albina si sentiva in dovere di ringraziare Ashton per le sue parole nei suoi confronti.
Risentito dal fatto che fosse stata citata la santa alla quale era devoto, Elros rincarò la dose contro i villici e, soprattutto, contro Seayne e la donna ce aveva osato parlare poi, all’improvviso, un tuono, un suono metallico, la campana; suoni assordanti che piegarono tutti sulle loro ginocchia, con le mani sulle orecchie, per non diventare sordi mentre, sulla cima della chiesa, comparve lella prima luce dell’alba una figura con quelle che parevano essere un paio di ali e dei capelli biondi accarezzati dal vento. La figura dichiarò di essere nientemeno che la dea Teresa, rivendicando a sé il patrocinio della festa che veniva celebrata per festeggiare il salvataggio di una bambina grazie al suo intervento divino, ammonendo infine il Vescovo Elros di ravvedersi, prima di richiudere le ali e sparire dalla vista di tutti.
Ora, Seayne era una donna di fede, però riteneva che gli dei avessero cose più importanti da fare che dirimere una, per loro, scaramuccia tra villici. Volendo vederci chiaro in quella faccenda, la numero 12 concentrò la sua percezione dello yoki nella direzione dell’apparizione sperando, nel caso in cui essa fosse stata una creatura che emanava energia demoniaca, di percepirla per cercare di seguirne le tracce, per poi tentare di raggiungere la supposta dea, cercando di sfruttare gli edifici e il loro elementi architettonici come trampolini. Nella migliore delle ipotesi, Seayne riteneva di aver assistito a un’elaborata messinscena.
La Percezione della guerriera albina non rivelò nulla ma, mentre la misteriosa ragazza correva verso Est, cercando di confondere la sua figura nella luce dell’alba, la figura si voltò lasciando intravvedere qualche ciuffo biondo e degli occhi indubbiamente argentei come quelli di una guerriera, per poi rinchiudersi in sé con il suo mantello a cinghie di cuoio che effettivamente ricordavano parecchio un paio di ali. Tormentata dai dubbi sul da farsi in quella situazione, alla fine Seayne decise di cercare di raggiungere la misteriosa mezza demone, incrementando lo yoki per cercare di accorciare le distanze con la fuggitiva nel più breve tempo possibile.
La misteriosa ragazza puntava evidentemente a infilarsi in un bosco vicino ma Seayne recuperò il terreno ma, quando stava per essere raggiunta, la ragazza scartò improvvisamente, mandando lunga la Numero 12 la quale però non si perse d’animo e, prima che l’avversaria riuscisse a seminarla
Con la velocità garantitale dal massiccio rilascio di energia demoniaca, Seayne riuscì in breve ad accorciare la distanza con la misteriosa “Teresa”, la quale però si dimostrò pure molto agile. La Numero 12 era infatti quasi riuscita ad acchiapparla prima che questa potesse raggiungere la foresta, quando l’avversaria scartò improvvisamente sulla destra, mandandola lunga, ma Seayne riuscì a recuperare e, nel dubbio se chi aveva di fronte fosse umana o meno, optò per cercare di fermarla colpendola di piatto alle gambe con la sua claymore. La manovra riuscì anche oltre le aspettative e la ragazza si accasciò a terra con le gambe fratturate, inveendo contro la guerriera albina.
Le due mezze demoni battibeccarono a lungo sulla sceneggiata messa in atto dalla misteriosa “Teresa”, per quello che sarebbe successo al villaggio se la verità fosse venuta a galla, addirittura su quello che sarebbe successo ad Ashton se Seayne non fosse tornata presto indietro ma, alla fine, quando sembrava che alcuni uomini del villaggio si stessero avvicinando, la guerriera albina si lasciò convincere dall’avversaria a lasciare le cose così come stavano, lasciandola libera mentre lei si incamminava in direzione degli uomini che, effettivamente, stavano arrivando. Prima di andarsene, la misteriosa mezza demone la salutò rivelandole il suo nome e il suo titolo: “Caterina, lo Yoki Fantasma” e, dl modo in cui balzò via, c’era da scommettere che, mentre battibeccava con Seayne, Caterina avesse rilasciato lo yoki per curarsi almeno in parte anche se, ancora una volta, la Percezione della Numero 12 non aveva rilevato nulla.
Quando raggiunse il drappello di uomini, Seayne si sorprese di vederne a capo nuovamente Ashton il quale, come prima cosa, le chiese notizie di “Teresa”. Quando Seayne rispose di averla vista dissolversi nella luce dell’alba, lui fu l’unico a sembrare dubbioso, mentre gli altri uomini sembravano felici. Prima che Seayne facesse domande, fu Ashton stesso a spiegarle di esserle venuto incontro perché era preoccupato per lei e che l’apparizione di “Teresa” al villaggio era stata interpretata come un buon auspicio e che, da quel giorno, la festa a Salt Lake sarebbe stata dedicata alla dea alata. Ashton le chiese poi se volesse tornare al villaggio e, quando Seayne accettò, lui le fece strada, accelerando poi il passo per lasciare indietro gli altri uomini, manifestando l’intenzione di parlarle. Tuttavia, all’inizio, Ashton si perse in chiacchere, raccontandole la vera leggenda che aveva dato origine alla festa di Salt Lake ma, in linea di massima, dando l’impressione di perdere tempo finché alla fine, frustrata, Seayne gli chiese di parlare chiaro.
Fu allora che Ashton rivelò che, mesi addietro, si era preso cura di un uomo ferito che aveva trovato poco lontano da Rabona e che i due fecero parecchia strada insieme passando, guarda caso, attraverso gli stessi luoghi che Seayne aveva attraversato nel corso delle sue avventure e che era stato quello stesso uomo a parlargli di lei e che, il nome di quell’uomo era… Stephan!
Seayne venne per qualche momento sopraffatta da un turbinio di emozioni ma soprattutto gioia nel sapere che il suo amato era ancora vivo e dolore nel capire che loro due nel tempo erano praticamente giunti a un passo l’una dall’altro, ma senza incontrarsi mai. Seayne raccontò ad Ashton la loro storia, dal loro primo incontro fino alla sua cattura e al processo che aveva subito a Rabona, fino alla rocambolesca fuga dalla città santa, affermando che Stephan era caduto dal carro durante la fuga e tacendo però il particolare che era stato Araldus a buttarlo giù.
Con i sentimenti in subbuglio, Seayne non si accorse dei sentimenti che, forse, anche Ashton sembrava provare per lei ma, quand’anche se ne fosse accorta, nel cuore della guerriera non vi era posto per un altro uomo che non fosse Stephan e così, con un filo di speranza, Seayne chiese all’uomo di Rabona se sapesse dove si fosse diretto l’uomo che amava dopo che i due si erano separati e, corretto fino in fondo, Ashton le rispose che Stephan si sarebbe diretto a Scamen e, a quella rivelazione, Seayne gioì dentro di se: Stephan stava tornando a casa!
Alla fine, Seayne prese congedo da Ashton e ritornò nel suo rifugio tra i monti, dove trovò ad attenderla Hughes, l’uomo in nero che le aveva affidato l’incarico. Senza perdere tempo, la Numero 12 presentò il suo rapporto, asserendo che la finta “Teresa” era riuscita a sfuggirle grazie alla sua peculiarità e dimenticandosi di accennare alla devozione del Vescovo Elros per la santa Sofia in quanto non lo aveva ritenuto un particolare importante nello sviluppo della vicenda. Il superiore sembrò apprezzare il rapporto e il comportamento tenuto da Seayne nella vicenda e sembrò non preoccuparsi troppo della presenza di Caterina, ritenendo che, vistasi scoperta, probabilmente se ne sarebbe andata, cosa che però Seayne non credeva, viste le peculiarità della ragazza.
Ma fu alla fine, quando l’uomo in nero stava per andarsene che Seayne, non volendo compiere atti che potessero farla apparire come una disertrice e pur aspettandosi un rifiuto, chiese apertamente il permesso di recarsi a Scramen con l’unico scopo di dire addio a una persona a lei cara… Stranamente Hughes, pur non rispondendo in maniera affermativa, non le disse neppure di no, lasciando una flebile speranza alla guerriera albina.

I am the one, the only one! I am the god of kingdom come! Gimme the prize!
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15-01-2018, 10:28 PM
Messaggio: #19
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XVIII – LOVE IS A LOSING GAME

Era passata più di una settimana dall'ultima volta che Seayne aveva avuto notizie da Hughes, le ultime parole aprivano una possibilità seppur esigua di poterla mandare in missione nelle Terre dell'Est sebbene lei non fosse residente in quel territorio.
L'attesa era a dir poco snervante ma la meditazione era un buon metodo per far trascorrere il tempo e per regolare i propri respiri in modo tale da gestire al meglio la propria emotività: Seayne vi si dedicò in modo assiduo, al punto che alcuni animali iniziarono a considerarla parte del paesaggio.
Tuttavia, passarono solo sette giorni quando Hughes tornò da lei. Seayne era immersa nella sua meditazione, seduta nella posizione del loto, con le dita incrociate in grembo e gli occhi chiusi, davanti all’ingresso della sua piccola spelonca, perciò il superiore fu costretto a tossire e a schiarirsi la voce per scuotere la guerriera albina dal suo stato. Seayne socchiuse gli occhi e, vedendo di chi si trattava, chinò il capo e lo salutò, trattenendo le sue emozioni in attesa delle notizie portate dall’uomo in nero.
Seayne avrebbe dovuto recarsi a Scramen, la Città degli Artisti e luogo del suo test per attendere a un matrimonio celebrato dal Vescovo Tobias, una delle principali autorità ecclesiastiche nelle Terre dell'Est, il quale sembrava fosse favorevole a un avvicinamento tra Chiesa e Organizzazione per cui quella volta non ci si aspettava problemi, almeno non da lui e, probabilmente, dagli abitanti della città. Tobias stesso avrebbe dovuto pronunciare un importante discorso durante un matrimonio, dove avrebbe elogiato gli sforzi dell’Organizzazione, perciò la presenza di una Guerriera che attendesse al matrimonio e che facesse da guardia del corpo sarebbe stata vista come un incentivo al dialogo, un segno d'amicizia, soprattutto se fosse stata lei in persona ad assistere. La presenza della guerriera albina, visto il suo passato burrascoso proprio con Rabona, sarebbe stata interpretata come un segno estremo di fiducia, inoltre una Guerriera di alto rango non sarebbe stata vista come "una scelta di seconda mano", per mostrare che in fondo l’Organizzazione teneva a quell’accordo. Terminato l’incarico, alla guerriera sarebbe stato concesso ancora un po’ di tempo per sistemare le sue questioni… personali.
Seayne ci pensò su, prima di rispondere a Hughes, riflettendo bene a tutto quello che il superiore le aveva detto. Sulle prime, non le andava particolarmente a genio l’idea di avere nuovamente a che fare con un Vescovo di Rabona ma poi, a mano a mano che l’Uomo in Nero le descriveva l’intera faccenda, la sua percezione della situazione in divenire migliorò. E poi, il tutto doveva svolgersi a Scramen, la Città degli Artisti, la destinazione finale della sua ricerca…
Un ecclesiastico di Rabona tollerante da accompagnare nella città dove, forse, si trovava anche il suo amato Stephan… La guerriera albina non avrebbe osato sperare di meglio! Perciò, subito dopo la Numero 12 rivolse uno sguardo pieno di gratitudine verso il suo superiore, il quale le descrisse per sommi capi l’aspetto del vescovo Tobias, per poi iniziare a prepararsi per la sua nuova missione: se fosse partita subito, sarebbe arrivata a Scramen il giorno prima del Matrimonio.
Mentre scendeva dalle montagne delle Terre Centrali, per evitare di rimuginare troppo sulla situazione, la guerriera albina concentrò la sua attenzione sul maestoso paesaggio che la circondava: le imponenti conifere montane, poco alla volta, lasciarono il posto a boschi di querce, lecci e faggi, mentre la Numero 12 scendeva verso valle. Al suo sguardo attento non sfuggirono gli uccellini che cinguettavano tra le fronde, gli scoiattoli che balzavano di ramo in ramo, timide volpi che fuggivano dalla sua presenza e una femmina di cinghiale con i suoi piccoli, pronta a sfidarla per proteggerli: Seayne decise di evitare il confronto, cambiando strada.
Mentre il tempo passava e i chilometri scorrevano sotto i suoi piedi, anche i boschi iniziarono poco per volta a diradarsi, cedendo il posto a prati incolti prima e a campi coltivati poi, mentre Seayne si manteneva sul ciglio della strada, evitando di intralciare il passo degli uomini intenti ai loro affari ma rispondendo gentilmente a quei rari saluti che, forse per pietà o compassione, le erano rivolti.
L’ultima notte prima di arrivare, Seayne si concesse un po' di riposo, in modo tale da presentarsi al massimo della forma al cospetto del Vescovo Tobias e all’alba, fresca e riposata, avvistò in mezzo alla piana il robusto anfiteatro che costituiva le mura di cinta di Scramen, la Città degli Artisti.
Guardandola, Seayne non poté fare a meno di rivivere tutto quanto le era accaduto da quando, senza armatura e con un’anonima claymore in spalla, si era presentata alle porte cittadine… senza trovarle! Seayne rise di se stessa. E, per evitare di tormentarsi con i ricordi tristi, mentre si avvicinava alla città, Seayne ricorse all’ausilio dei suoi esercizi respiratori e concentrò i suoi pensieri su altre persone, come la guardia che prestava servizio alle mura e il piccolo Lak. Questi erano i pensieri della guerriera albina, mentre si dirigeva verso il punto delle mura di Scramen dove sapeva che si trovavano le porte della città…
Le mura delle città erano ancora più maestose di quanto Seayne ricordasse o, forse, era solo l'effetto causato dalla malinconia: lì era dove tutto era cominciato, la sua lunga carriera da Guerriera aveva avuto inizio proprio da quel luogo. La fecero entrare all'interno della città, probabilmente qualcuno aveva già annunciato il suo arrivo alle guardie, e lo spettacolo che la attendeva era ancor più maestoso del precedente: la via principale era decorata con festoni colorati, coriandoli, bandiere variopinte e una moltitudine di persone attraversava le vie, chi con un dolce in mano per i propri figli e chi discuteva animatamente con il proprio compagno riguardo questioni economiche. Di tanto in tanto la gente si spostava, lasciando passare alcuni artisti di strada: giocolieri, sbandieratori, musicisti; era una continua parata felice e quasi nessuno prestò attenzione a Seayne la quale, forse per la prima volta da quando era diventata quella che era, si sentì a suo agio. Così, per un po' di tempo, la Numero 12 si lasciò contagiare dall’euforia generale che la circondava, finché il suo sguardo individuò, in fondo alla via, la cattedrale.
Certa che il Vescovo Tobias, si trovasse lì, la guerriera albina iniziò a estraniarsi dall’euforia che la circondava. Ma un dilemma la attanagliava: presentarsi subito dal Vescovo o mettersi a cercare Stephan? Seayne rammentò le parole di Hughes il quale le aveva detto che, FINITA la cerimonia, avrebbe avuto tutto il tempo per risolvere le sue questioni in sospeso, perciò la guerriera albina si risolse a vedere prima come stessero le cose con Sua Eccellenza, per poi vedere il da farsi. Presa la sua decisione, Seayne iniziò a camminare in direzione della cattedrale, cercando comunque di apprezzare fino all’ultimo momento il clima di gioia ed euforia che la circondava.
Però due guardie armate di piccone decisero di fermarla, bloccandole l'accesso all'edificio di culto con fare titubante; era ovvio che sapessero del suo arrivo ma al tempo stesso non potevano lasciarla entrare, specialmente in quel luogo. Si consultarono brevemente e, uno dei due, andò a chiamare una terza persona che decise di accogliere Seayne in un palazzo comunale lì vicino; in pratica, la accolsero in una saletta d'attesa riccamente adornata con drappi color porpora e poltrone ben rifoderate e comode, assicurandole che avrebbero avvisato il Vescovo e chiedendole di attendere lì. L’attesa si fece noiosa, specie quando la gente ci impiegava più di quaranta minuti per decidere, perciò Seayne decise di ingannare il tempo sedendosi a terra per non danneggiare i mobili, assumendo poi la sua consueta posizione del loto, poggiando la sua arma a terra davanti a sé, rilassandosi e respirando, ma senza entrare in uno stato di meditazione troppo profonda, in modo tale da lasciar scorrere il tempo attorno a lei ma di essere consapevole quando qualcuno sarebbe tornato a chiamarla.
Dopo un po’ di tempo, Seayne non avrebbe saputo dire quanto, la guerriera albina udì dei passi leggeri e quasi zoppicanti nel corridoio e poi qualcuno bussò gentilmente alla porta. Credendo, forse a causa del passo zoppicante e dell’esitazione nel bussare, che potesse trattarsi del Vescovo, Seayne si rialzò velocemente e, istintivamente, rimise la claymore nel fodero. Lentamente, la porta si aprì e un uomo si affacciò timidamente ma colui che fece la sua comparsa non era il vescovo, ma un uomo giovane e bello, con i capelli neri, la pelle color ambra e gli occhi verdi. Non appena lo vide, il cuore di Seayne iniziò a martellarle furiosamente nel petto e i suoi occhi d’argento si riempirono di lacrime, mentre il suo rigido autocontrollo si spezzava sotto l’impeto dell’emozione che l’aveva travolta. Finalmente, dopo tanto tempo, tanto dolore e tanta disperazione, Seayne aveva ritrovato il suo Stephan!
I minuti che seguirono furono degni delle migliori storie d’amore, impreziositi da caldi abbracci, baci appassionati e lacrime di felicità, mentre i due amanti si lasciarono trasportare dai loro sentimenti, così a lungo repressi. Seayne aveva ritrovato il suo amore ma quella maledetta notte a Rabona aveva lasciato i suoi segni su di lui, rendendolo leggermente zoppo. Finalmente Seayne trovò in lei la forza per chiedergli perdono e non solo lo ottenne ma dovette confrontarsi con la determinazione di Stephan il quale, ora che l’aveva ritrovata, non voleva più separarsi da lei, per nessun motivo anzi, le fece addirittura capire di volerla prendere in moglie! Seayne, visto quanto accaduto, cercò in tutti i modi di dissuadere l’amato temendo che, se lui le fosse vissuto accanto, avrebbe finito col morire o morire di dolore se fosse stata lei a venire uccisa durante una missione. Fu tutto inutile: nemmeno la vista del suo corpo deturpato riuscì a convincerlo e alla fine Seayne, dolcemente turbata da una delicata carezza, cedette, inconsciamente felice che il suo amato non avesse rinunciato a lei, giurando a sua volta amore eterno al suo uomo.
A quel punto, Stephan cambiò discorso, sostenendo che i due avessero un sacco di lavoro da fare. Il Vescovo, infatti, gli aveva chiesto di accogliere la Guerriera, essendo Sua Eccellenza molto indaffarato. Non c'era nessun ordine diretto per Seayne così lei, su gentile richiesta del suo amato, e ricordando il suo villaggio in festa per un matrimonio quand’era una bambina, decise di aiutare quest’ultimo a ultimare alcuni preparativi in vista delle nozze, al termine delle quali il suo attore si sarebbe esibito. Una volta finito, lui l’avrebbe accompagnata a una locanda, dove la Numero 12 avrebbe potuto dormire e… sarebbe venuto lui stesso a svegliarla il mattino dopo, per andare assieme alla cerimonia. Seayne se ne uscì con un commento malizioso, dettato più dal desiderio di avere Stephan tutto per lei che per cattiveria ma, visto l’imbarazzo che gli aveva provocato, si scusò con lui e i due si avviarono assieme al padiglione preparato per le nozze, mentre Stephan rinviava la provocazione della guerriera albina a dopo che avessero celebrato la loro unione.
Il suo amato la portò nuovamente attraverso le vie della città in festa, fino all'interno di un edificio, dove c’era un piccolo altare finemente e riccamente adornato di fiori bianchi, un piccolo palco per l’esibizione di Stephan e poi tante sedie e posti in piedi per ospitare più di un centinaio di persone: tante, viste le dimensioni della città. Mancavano gli ultimi ritocchi, le ultime ghirlande di fiori, le ultime sedie, gli ultimi tappeti rossi stesi, mentre i petali delle rose bianche davano un profumo che Seayne fiutò con gli occhi chiusi, immaginando di essere lei a inginocchiarsi su quell’altare, con indosso un abito per una volta diverso dalla sua uniforme e con Stephan al suo fianco, provando poi una punta d’invidia per quella sconosciuta coppia di umani che di lì a poche ore avrebbero consacrato la loro unione davanti al loro dio. Ma subito dopo la Numero 12 si riscosse e, toltasi l’armatura, si mise a lavorare, quasi a voler scacciare quei pensieri e distogliere la sua mente da quel turbinio di sensazioni e sentimenti che la stavano facendo vacillare.
Mentre i due amanti lavoravano, per una volta tanto senza che gli altri operai dessero l’impressione di essere disturbati dalla presenza della mezza demone, Stephan le raccontò che a Scramen c’era sempre stata una specie di spaccatura interna, per non dire una guerra civile, guidata da due famiglie: una sosteneva la superiorità dell'arte canora mentre l'altra come Stephan stesso, dell’arte teatrale ma, in qualche modo i successori delle due famiglie, Mariotto e Ganozza, erano sono riusciti ad andare oltre e ad amarsi. Ovviamente, all’inizio, le due famiglie erano fortemente contrarie a questa unione ma alla fine, grazie all'amore, i due giovani si erano uniti e le due famiglie si erano riappacificate. E il matrimonio avrebbe suggellato quella pace. Stephan lasciò poi il discorso in sospeso, anche se non era difficile capire dove voleva andare a parare…
Poi, alcune guardie iniziarono ad avvicinarsi: quello che c’era da fare era stato fatto ed era giunto il momento di andarsene. Seayne iniziò a raccogliere la sua armatura e la sua claymore, rimettendosele addosso, mentre rifletteva sulle ultime parole sue e del suo amato, mentre il suo conflitto interiore tra i suoi sentimenti, la consapevolezza di quello che era, la sua fedeltà all’Organizzazione e la paura del domani era ancora in pieno svolgimento. La vicinanza di Stephan stendeva un velo di felicità su quel conflitto, nascondendolo ai pensieri della guerriera albina ma esso covava sotto a quel velo e prima o poi si sarebbe giunti al dunque: per quanto sincero fosse il sentimento della guerriera albina, lei avrebbe potuto permettere a Stephan di seguirla in quell’incubo a occhi aperti che era la sua vita, sapendo che la morte era in agguato nelle tenebre del suo futuro? Avrebbe messo costantemente in pericolo la vita del suo amato per l’egoistico desiderio di averlo con sé, sapendo di poter essere la causa diretta o indiretta della sua morte?
Stephan, la cui andatura zoppicante sembrava un po’ peggiorata, forse a causa della fatica di quelle ore di preparativi, ebbe comunque la forza di accompagnare la sua amata guerriera fino all’ostello che le aveva prenotato per la notte e, per una guerriera oramai abituata a vivere in spelonche e ricoveri di fortuna, l’alloggio sembrava più che sufficiente per le sue esigenze. Il suo amato la salutò prima di andarsene, dopo averla accompagnata fino alla camera che le aveva riservato e dopo averle augurato la buona notte con un leggero bacio sulla fronte, mentre Seayne continuò a guardarlo finché il suo amato uscì dalla sua visuale.
Combattuta tra il suo amore per Stephan, la paura che potesse accadergli qualcosa standole vicino e se fosse giusto o no strapparlo alla sua arte o, per meglio dire, alla sua vita, Seayne sentiva di aver bisogno di rilassarsi e meditare su quanto accaduto in quella giornata intensa. Il suo comportamento contraddiceva gli insegnamenti che tanto si era sforzata di apprendere. La guerriera albina sentiva di aver perso parte del suo equilibrio tanto faticosamente raggiunto e una parte di lei bramava di ritrovarlo. Senza attendere oltre, portò una mano alla maniglia della porta, per entrare nella stanza che Stephan aveva prenotato per lei.
La stanza era piccola ma, per le abitudini di una guerriera dell’Organizzazione, confortevole. Seayne sorrise soddisfatta e iniziò a togliersi di dosso claymore e armatura, disponendole con ordine sul pavimento vicino al letto e, dopo essersi rinfrescata, indossato nuovamente la sua uniforme e aver dato un’occhiata distratta fuori dalla finestra, decise che era giunto il momento di meditare. Quando Seayne riemerse da quella condizione, si era oramai fatta notte e, senza perdere altro tempo, Seayne si stese sul letto, assopendosi quasi subito. Ma il suo non fu un sonno tranquillo…
In sogno, la Numero 12 stava combattendo contro un Divoratore grosso e forte: riuscì a ucciderlo ma, alla fine, si accorse che il suo amato era rimasto ucciso da un attacco con gli artigli destinato a lei e che lei aveva schivato… Seayne gridò, disperata e si svegliò di soprassalto! Aveva gridato per davvero? Intanto, il cielo fuori dalla finestra stava lentamente assumendo i colori dell’alba e Seayne, col corpo che ancora tremava per l’immaginario spavento si alzò dal letto e, cominciando a respirare in maniera cadenzata per calmarsi, asciugandosi le lacrime che le erano salite agli occhi, guardò fuori dalla finestra, osservando il sole sorgere e la città di Scramen svegliarsi, aspettando Stephan con le braccia strette attorno al corpo e cercando in se stessa una risposta che, forse, non era in grado di dare…
Poco dopo, tre colpi alla porta attirano la sua attenzione: si tratta, ovviamente, di Stephan che è venuto a prenderla per poterla scortare fino al luogo della cerimonia ma, appena la vide, notò il suo volto rigato di pianto e incupito a causa dell'incubo e, con fare estremamente premuroso, raccolse i pezzi di lei e poggiandole entrambe le mani sulle spalle la fissò per poi abbracciarla teneramente, chiedendole cosa fosse successo. Seayne gli raccontò il suo incubo e, approfittando di quel momento, riuscì finalmente a tirare fuori quel che si teneva dentro, confessandogli tutte le sue ansie e le sue paure di quel che sarebbe potuto succedergli se lui l’avesse seguita. La reazione dell’amato la colse alla sprovvista: non solo lui si comportò freddamente ma, evidentemente deluso dall’atteggiamento della guerriera albina, la invitò a riflettere sui suoi sentimenti e, detto questo, lui si avviò al matrimonio… da solo. Seayne avrebbe voluto seguirlo per dissipare i suoi dubbi e dirgli di volerlo con sé e per sé ma ci rifletté su un attimo di troppo e, quando finalmente la Numero 12 si mosse, lui si era già dileguato nella fresca brezza mattutina.
Poco male, in fondo, al matrimonio ci sarebbe dovuto essere anche lui e le occasioni per parlarsi, forse prima ma probabilmente dopo la cerimonia, non sarebbero mancate. Questi erano i pensieri di Seayne mentre iniziava ad avviarsi in direzione del padiglione degli sposi. Fu allora che un insistente ticchettio sul selciato attirò la sua attenzione. La guerriera albina buttò un’occhiata dietro le sue spalle solo per scorgervi una ragazza evidentemente cieca, visto che la poveretta aveva gli occhi fasciati e, per l’appunto, testava il suo cammino aiutandosi con un bastone, il quale produceva il ticchettio che aveva udito Seayne. D’istinto, la Numero 12 si fermò, allungando un braccio in direzione della poveretta, quasi avesse avuto l’intenzione di avvicinarsi a lei per aiutarla ma poi, all’ultimo momento, si fermò: preferiva non disturbare coloro che potevano rimanere ignari del suo passaggio. In fondo, la giovane con le punte di capelli rossicci se la stava cavando senza nessun aiuto e Seayne non voleva che le creassero problemi se qualche cittadino di Scramen meno felice degli altri, vedendole assieme, se la prendesse con la poveretta non potendo, per ovvi motivi, dare fastidio a lei. Gli eventi di Salt Lake, con le arringhe del Vescovo Elros contro gli impotenti villici, erano, infatti, ancora ben presenti nella memoria della Numero 12 e, non conoscendo il Vescovo Tobias, non sapeva ancora se e quanto fidarsi di lui. Così, la guerriera albina riprese a camminare in direzione del padiglione preparato per il matrimonio, pensando agli affari propri ma senza rinunciare a guardare ogni tanto in direzione della ragazza cieca, finché l’avesse avuta in vista o avesse continuato a udire il ticchettio del suo bastone, pronta comunque a tornare sui suoi passi e provare a offrirle aiuto se l’avesse vista in difficoltà.
Arrivata nella piazza gremita di persone, Seayne ebbe l’impressione che tutti i colori, tutta l’allegria che aveva visto a Scramen sembravano essersi concentrati in quel padiglione e la guerriera albina dovette lavorare di gomiti per raggiungere il suo posto tra quella gente; cosa per lei strana e nuova giacché, di solito, la gente tendeva a scansarla con malcelato disprezzo. Persino Stephan, vestito a gran festa e illuminato dal sole, sembrava ancora più bello di quanto Seayne avesse mai visto. La Numero 12 non ebbe però il tempo di avvicinarsi all’amato per comunicargli la sua decisione, perché di lì a poco la cerimonia iniziò e la guerriera dovette limitarsi a sorridere all’amato e rivolgergli un cenno d’assenso con la testa. Alla fine del rito la sposa, evidentemente commossa, pronunciò un breve discorso nel quale prima ringraziò i presenti e chi aveva aiutato a rendere quella giornata indimenticabile poi, con tono un po’ più triste, forse al ricordo di un fratello che non sembrava esserci più, ringraziò i suoi genitori e quelli del suo sposo per aver abbandonato la loro profonda rivalità per consentire ai due giovani di sposarsi, citando la forza dell’amore per poi ringraziare proprio lei, la loro “guardia del corpo”, lasciando la guerriera albina senza parole e in preda allo stupore! Mentre alcuni dei presenti, commossi iniziarono a piangere e altri invece applaudivano, Seayne ringraziò silenziosamente la sposa per le sue belle parole, congiungendo le mani sul petto e chinando la testa con gli occhi socchiusi, un attimo prima che la voce del Vescovo, il quale aveva appena terminato di celebrare le nozze, sovrastasse tutte le altre, minacciando gli sposi, prima che le sue sembianze iniziassero a mutare, assumendo i connotati tipici di… uno Yoma!
Prima che tutti i presenti, Seayne compresa, potessero reagire, lo Yoma completò la sua trasformazione e con una manata colpì violentemente lo sposo, che volò distante per diversi metri. Ganozza iniziò a urlare disperata, mentre il demone la prese di peso e la sollevò in aria: con un balzo saltò sopra il tetto dell'edificio stringendo a sé la donna. Ma Seayne non aveva nessuna intenzione di farlo scappare: dopo aver tentato di rivolgere uno sguardo fugace verso Stephan, poiché l’avversario sembrava abbastanza agile, la Numero 12 liberò il 10% del suo yoki, estrasse la sua claymore e, sfruttando gli edifici come sponde, iniziò con una serie di balzi a inseguire lo Yoma, cercando di non farsi distanziare da lui, puntando sul demone la sua Percezione e facendo attenzione per essere pronta a cercare di schivare o tagliare via gli artigli che, eventualmente, le fossero stati scagliati contro. La Numero 12 non poteva sapere se Hughes l’avesse mandata a Scramen perché sospettava della presenza dello Yoma o se, viste le parole di Ganozza, i parenti degli sposi avessero pagato per averla qui. Non importava. La guerriera albina aveva deciso di seguire il suo istinto di cacciatrice, tanto più che non voleva che il demone facesse del male alla sposa… Senza contare poi che la sua parte violenta e selvaggia, quella che Seayne si sforzava di domare, gioiva all’idea di uccidere quello che, fino a poco prima, era stato un esponente di spicco del Clero di Rabona.
Lo yoma era veloce e, pur stringendo a sé la povera Ganozza, la quale non poteva fare altro se non urlare a pieni polmoni tutto il suo terrore, riuscì all’inizio a mantenere la distanza, rinunciando però ad attaccare. Per parte sua Seayne, dopo aver intravisto per un istante Stephan che sembrava voler portare soccorso alla ragazza cieca che la Numero 12 aveva visto mentre si recava al matrimonio e ignorando il caos che era scoppiato nel padiglione, cercava di non farsi distanziare dal demone, finché un grido, un grido emesso non da Ganozza ma dallo stesso Stephan, le gelò il sangue nelle vene! Era indubbiamente la voce dell’uomo che amava: qualcosa non era andato per il verso giusto e, evidentemente, il suo bell’attore era in difficoltà. La guerriera albina era disperata, mentre le tornava in mente l’incubo avuto la notte precedente. Da dove si trovava non poteva vedere la zona del padiglione nuziale e quindi, per sapere cosa stesse accadendo al suo amato avrebbe dovuto tornare indietro… abbandonando la sposa a se stessa… Fu in quel momento di profonda indecisione che tutti i mesi di meditazione e disciplina le vennero in aiuto. Infatti, alla guerriera albina sembrò di udire nella sua testa la voce gentile del suo maestro Tahzay, che citava un aforisma a lei ben noto, che incitava la discepola a compiere il proprio dovere, senza attaccamento ai frutti dell'azione, per quanto piacevoli o spiacevoli essi potessero essere.
Seayne prese la sua dolorosa decisione: a parte Ganozza e il suo matrimonio, la Numero 12 non poteva ignorare quanto stava succedendo; non poteva ignorare che il Vescovo Tobias, il quale avrebbe dovuto essere una persona favorevole a Staph e alle guerriere come lei era, in realtà, uno yoma! La guerriera albina non poteva capire: poteva solo cercare di abbattere il mostro e portare i suoi resti come prova ai suoi superiori. Era una cosa importante, più importante di lei e… Stephan… Così, con il suo cuore e la sua anima ancora lacerati dal senso del dovere, Seayne alzò il suo yoki al 30% e, mentre i suoi lineamenti delicati venivano sostituiti dalla sua forma da demone, stringendo l’elsa della sua claymore, gridando e piangendo per la disperazione si lanciò nuovamente di corsa sulla scia dello yoma, mantenendosi sempre in guardia e pronta a tagliare via eventuali artigli in arrivo, sperando di ridurre la distanza grazie all’incremento di yoki e
Sperando in cuor suo che Stephan potesse in qualche modo tenere duro fino al suo ritorno.
La disperazione che attanagliava il cuore di Seayne non le permise di pensare con lucidità e per questo la guerriera albina si ritrovò addosso allo yoma prima di quanto avesse creduto e lo scaltro demone riuscì ad approfittare della sua momentanea esitazione, afferrandola per la spalla sinistra e buttandola giù dal tetto. Mentre stava per cadere, la Numero 12 udiva ancora le grida di Stepan solo che… le urla non venivano da sotto di lei. D’istinto, Seayne girò la testa in quella direzione, solo per vedere all'orizzonte altre due figure sui tetti: Una di esse la riconobbe come Stephan mentre la seconda… Da come si muoveva, poteva essere un’altra guerriera? Eppure la guerriera albina non percepiva nessun altro yoki, a parte quello dello Yoma che l’aveva buttata giù dal tetto e, da come la figura che aveva rapito Stephan si muoveva, un ricordo sopito venne stuzzicato nella mente di Seayne la quale mentre cadeva e la sua mano sinistra si protendeva verso il suo uomo, cercando un impossibile contatto con lui, gridò vanamente il nome del suo amato.
L’impatto col suolo o, meglio, con una bancarella piena di abiti la fece tornare alla realtà, anche se più che l’urto fu uno dei paletti di metallo della struttura che, incontrata la sua carne, le inflisse una brutta ferita, l’ennesima, allo stomaco. Seayne quasi non urlò di dolore, tanto era abituata a subire ferite sempre in quel punto, ma non era ancora finita: lo Yoma, infatti, atterrò pesantemente nelle sue vicinanze e la afferrò con la mano destra per il collo, stringendoglielo e tenendola nello stesso tempo a terra mentre, con la mano sinistra, teneva ancora stretta a sé la povera Ganozza. Però la caduta e, soprattutto, la ferita, anziché fiaccare Seayne, contribuirono a scuoterla, strappandola dalla sua disperazione e costringendola a tornare alla realtà. Scacciando gli altri pensieri e concentrandosi solo sulla battaglia, Seayne afferrò con la sua mano sinistra il polso destro dello Yoma, stringendolo con tutta la sua forza, provando una truce soddisfazione quando udì le ossa del braccio dello yoma spezzarsi sotto la sua presa mentre, vista l’esiguità dello spazio disponibile tra lei e il demone, prestando attenzione alla posizione di Ganozza, portò la sua claymore di piatto tra lei e l’avversario, con la punta rivolta verso le loro teste ma tenuta al di sotto delle stesse. Poi, stringendo i denti per resistere al dolore che di lì a poco sarebbe seguito, la guerriera albina rilasciò il bagliore della sua Polaris al livello inferiore, vista la vicinanza dell’avversario, per accecare il demone, conficcandogli con tutte le sue forze la punta della spada al di sotto della mascella, per impalargli il cranio, risolvendo così lo scontro.
Ansimando per il dolore e lo sforzo profuso, la Numero 12 si alzò in piedi, cercando di sforzarsi per sentire le urla di Stephan, ma fu inutile: le urla della sposa, nel frattempo liberatasi dalla presa dello yoma oramai morto, sovrastavano qualunque altro suono che, eventualmente, si sarebbe potuto udire. Seayne era infastidita e contrariata dal fatto che, sia pure involontariamente, Ganozza le impediva di udire qualsiasi cosa, ma poi la guerriera albina capì la ragione di quei lamenti: la sposa era rimasta accecata dal lampo di Polaris e adesso, terrorizzata com’era, temeva d’aver perso la vista per sempre. Seayne rimembrò l’addestramento nella biblioteca con Cort prima e Duran poi, e tutte le volte che aveva utilizzato la sua abilità in battaglia: aveva ideato Polaris apposta per mettere temporaneamente fuori combattimento gli umani senza arrecar loro un vero danno. La guerriera albina sapeva che la cecità di Ganozza sarebbe sparita presto solo che la sposa era ancora spaventata a morte. Seayne voleva inseguire Stephan ma temeva che, se avesse lasciato Ganozza da sola in quello stato, sarebbe potuto venirle un accidente e, in questo caso, sarebbe stata davvero colpa sua.
Con un sospiro e stringendo i denti per la fitta di dolore che ne sarebbe seguita, Seayne azzerò il suo yoki per cercare di evitare che, nel momento in cui Ganozza avesse ripreso la vista, si spaventasse di nuovo vedendo come prima cosa il suo volto da demone e, rimessa nel fodero la sua claymore, s’inginocchiò di fronte alla terrorizzata sposa, poggiandole delicatamente le candide mani sulle spalle, per poi parlarle con voce gentile, cercando di calmarla e confortarla. Il dolore fisico allo stomaco di Seayne si sommava a quello interiore per la nuova perdita del suo Stephan. Ma la pietà e il senso del dovere della Numero 12 le impedivano di abbandonare la ragazza e quindi la guerriera albina rimase con lei, attendendo che si riprendesse abbastanza da poterla ricondurre dai suoi parenti.
Seayne oramai, era sufficientemente esperta da non aspettarsi gratitudine per il suo gesto: nemmeno Ganozza, sebbene le desse l’impressione di provarci, riuscì a ringraziarla. Così la guerriera albina lasciò che gli scontati e malevoli commenti degli abitanti di Scramen le scivolassero addosso, come gocce di pioggia su un vetro finché… mentre i parenti della sposa la portavano via, Seayne udì che lo sposo era morto, probabilmente ucciso dal primo attacco dello yoma. La notizia le fece più male della ferita allo stomaco: Seayne aveva sacrificato tutto anche nella speranza di poter salvare Ganozza e restituirla allo sposo, aveva cercato di fare in modo che, se non per lei, almeno per i due rampolli degli artisti ci potesse essere un lieto fine. Ma tutto era stato inutile… Ganozza era rimasta vedova il giorno stesso delle sue nozze e lei aveva perso tutto… Il peso di tutta questa situazione fu troppo per Seayne, che rimase in ginocchio, piegata su se stessa dal dolore fisico e morale, incapace persino di piangere, mentre il ricordo delle urla di Stephan, sempre più lontane, riecheggiavano come una sinistra eco nella sua mente. Per quanto tempo la guerriera albina rimase così? Lei stessa non avrebbe saputo dirlo. Fu solo grazie al dolore del paletto di metallo piantato in corpo che, alla fine, la Numero 12 si riscosse.
Senza paventare nessuna emozione, Seayne si strappò di dosso il paletto di metallo, rifiutandosi di urlare alla fitta di dolore che ne seguì poi, sedendosi sul bordo della strada, liberò il suo yoki per rigenerarsi, partendo ovviamente dalla ferita allo stomaco, per poi passare a quella alla spalla. Seayne non pensava a nulla che non fosse la guarigione, non le importava se qualcuno l’avesse vista o, meglio, avesse visto i suoi occhi da gatta brillare di una innaturale luce dorata. L’unica cosa che, in quel momento le premeva, era completare la cura delle sue ferite. Finito che ebbe, Seayne si prese alcuni minuti per riflettere, prima di decidere la mossa successiva, così le sovvenne che il rapitore saltava sui tetti con un’agilità simile alla sua, per di più portandosi dietro Stephan che sembrava non essere molto d’accordo, quindi era anche forte: per quanto ci riflettesse, la Numero 12 non riusciva a pensare ad altro che a una come lei…Chi poteva mai aver fatto una cosa del genere?
Gli occhi di Seayne si sbarrarono all’improvviso, quando realizzò che la figura non emanava yoki, quindi non era uno yoma. Andando per esclusione, poteva essere solo una guerriera agile e che non emette yoki. Una che aveva preso il farmaco inibitore? Oppure… CATERINA??? La ribelle che aveva incontrato nel suo incarico precedente, colei che si fingeva la dea Teresa e che lei aveva lasciato andare per salvare le apparenze a Salt Lake? Più Seayne ci pensava, più era convinta che i suoi sospetti fossero fondati anche perché la ragazza cieca soccorsa da Stephan… Si nascondeva forse gli occhi per non farli vedere? Se così fosse, potrebbe essere stata proprio Caterina? Una guerriera che ha preso il farmaco non avrebbe avuto bisogno di nasconderli.
Con quel tremendo pensiero che le attanagliava lo stomaco, senza la possibilità di provare i suoi sospetti, con troppe domande e nessuna risposta, Seayne si rese conto di aver bisogno, ora più che mai, dell’aiuto dell’Organizzazione. Perciò, senza perdere altro tempo, la guerriera albina riprese la sua claymore e decapitò lo yoma, poi prese uno dei vestiti rovinati dalla sua caduta sul chiosco e dal sangue suo e dello yoma per avvolgere il suo trofeo. Lasciò qualche bera, come una sorta di risarcimento al mercante della bancarella distrutta, per quanto misero e s’incamminò in direzione di Staph: doveva assolutamente tornare al quartier generale.
Nei pensieri della Numero12 un’idea stava prendendo forma ma, per vedere se avrebbe potuto realizzarla, ora più che mai, avrebbe dovuto discuterne con un superiore. Così, la guerriera albina, raccolto il fagotto che conteneva la testa di chi era stato il Vescovo Tobias, senza una parola di saluto per nessuno e senza mai voltarsi indietro, s’incamminò al tramonto sulla strada che l’avrebbe riportata al quartier Generale. Lungo la strada, gli aforismi sulla sofferenza del maestro Tahzay le risuonavano nella mente, quasi che dall’aldilà il buon eremita cercasse di confortare la sua allieva con la sua voce gentile e i suoi insegnamenti che la Numero 12 stava con enorme fatica cercando di fare suoi ma, la situazione che Seayne stava vivendo in quel momento non la aiutava di certo. Persa nei suoi pensieri, Seayne viaggiò di notte e di giorno finché, al tramonto del giorno successivo, avvistò una figura in piedi sulla sommità di una collinetta rocciosa e sabbiosa, dalla quale si poteva vedere una città senza nome, abbandonata da tempo immemore, dove molte novizie sostenevano il loro test… non lei però.
Era proprio Hughes, il suo mandante, colui che le aveva conferito quell’incarico e, implicitamente, il permesso di cercare Stephan, la figura in piedi sulla collinetta e colui che le chiese, sia pure gentilmente, un rapporto immediato. Seayne rivolse al superiore il consueto saluto a mani giunte sul petto e la testa con gli occhi socchiusi reclinata leggermente in avanti, poi afferrò il fagotto che aveva con sé e lo lanciò in avanti, cercando di farlo atterrare alla base della collinetta e, con una voce priva inizialmente di qualsiasi inflessione emotiva, la quale però cedette più volte di lì a poco, raccontò al superiore quanto accaduto a Scramen, iniziando col presentargli la testa dello Yoma Tobias. Alla fine del rapporto, Seayne si ricompose e, dopo aver preso fiato e lasciato un po' di tempo a Hughes di assimilare tutte quelle notizie, fissando il superiore negli occhi con uno sguardo che, più che d’argento in quel momento sembrava d’acciaio, con voce ferma decise di ringraziare l’Uomo in Nero per l’opportunità che comunque le era stata offerta e passò a esporre la sua idea.
Aveva i suoi motivi per sospettare che la figura che aveva visto, yoki o no, non potesse essere una donna normale… O era una risvegliata in forma umana abile a nascondere il suo yoki che “per caso” ha scelto di prendere proprio Stephan, oppure era una compagna che aveva assunto il farmaco inibitore ma, in questo caso non capiva il motivo del rapimento del suo uomo, sempre che l’altra non avesse del risentimento nei miei confronti e, per quanto ricordava, solo Gaia, la Numero 5 sembrava averne ma non credeva che la compagna si fosse spinta a tanto per una sconfitta in arena. Il che, per quanto strano, portava a pensare alla ribelle che aveva incontrato nell’ultima missione, quella che si fingeva la dea Teresa e che, come questa, non sembrava emanare yoki nonostante la sua estrema agilità e che Stephan stava soccorrendo una ragazza cieca quand’è scoppiato il caos, il che potrebbe far pensare che nascondesse gli occhi d’argento ma… Seayne non ne poteva più, non capiva e sperava solo di aver agito per il meglio.
Poi, rendendosi conto di essersi probabilmente resa ridicola agli occhi del superiore, con uno sforzo di volontà, agevolato dal fatto di essere riuscita a confidarsi con qualcuno, anche se solo per fare rapporto, la guerriera albina si ricompose e, nuovamente con voce ferma, concluse chiedendo che, se l’Organizzazione decidesse di regolare i conti con quella guerriera misteriosa, chiunque essa sia, lei potesse partecipare alla sua caccia. Quella richiesta non avrebbe contravvenuto alle regole e, forse non sarebbe stato troppo difficile trovare una che, probabilmente, si fingeva cieca e che si portava dietro un bell’uomo dagli occhi verdi il quale, forse, la seguiva di controvoglia. A quel punto, non avendo altro da dire, Seayne chiese il permesso di congedarsi e un’uniforme di ricambio, quindi rimase lì, in attesa di ulteriori domande da parte del superiore o di essere congedata, bramando che quella faccenda si concludesse presto: aveva bisogno di tornare al suo rifugio per riprendere i suoi esercizi spirituali al fine di ritrovare il suo equilibrio, compromesso da quella brutta faccenda.
Osservando la prima reazione di Hughes, Seayne ebbe l’impressione di aver deluso le attese del suo superiore. Con un sospiro, la guerriera albina irrigidì il suo corpo, preparandosi a essere percossa, se non peggio, dall’Uomo in Nero, ma il calcio che Hughes scagliò, non era diretto a lei. Se ne rese conto quando vide volare in aria e ricadere a terra la testa dello yoma che era stato il Vescovo Tobias, mentre il superiore sfogava la sua frustrazione per la brutta piega che avevano assunto gli eventi prorompendo in una sequenza di imprecazioni. Poi, Hughes provvide a dipanare i dubbi riguardo la presenza nella zona di Scramen di altre guerriere: semplicemente non ce ne dovevano essere il che, almeno nei pensieri di Seayne lasciava pochi dubbi su chi poteva essere la responsabile del rapimento di Stephan. Ma quando l’Uomo in Nero pronunciò il nome del suo amato, inspiegabilmente si bloccò: perché? Forse che anche Stephan era coinvolto nelle trattative tra l’Organizzazione e Rabona? Forse era per questo che il suo bell’attore era così sicuro di poterla… sposare? Qualcosa non le tornava, soprattutto quando Hughes affermò che non era affar loro ciò che lei faceva con una persona. Poi le chiese di ricordargli, il nome della Guerriera che incontrarono a Salt Lake, per poter almeno iniziare a raccogliere informazioni, se ce ne fossero state.
Le prime parole di quella frase colsero un po' alla sprovvista la guerriera albina, ma la richiesta che ne seguì, infiammò l’animo della ragazza la quale, più che propensa a dare il suo contributo per dare la caccia a colei che credeva le avesse sottratto l’unica persona al mondo alla quale tenesse veramente, dopo averci pensato su un attimo per essere certa di non sbagliarsi, rispose che il suo nome era Caterina! E che glielo disse poco prima di riuscire a sfuggirle quando la inseguiva nei pressi di Salt Lake, quasi volesse sfidarla a prenderla e che, forse, questa era una nuova sfida rivolta a lei, anche se non capiva il motivo di tanto accanimento. La mente di Seayne aveva ricominciato a lavorare e, forse, stava esagerando… La guerriera albina era la prima a rendersene conto ma, chissà, e se fosse stato vero? I suoi pensieri vennero interrotti da una bottiglia che volava verso di lei, e che la Numero 12 fu lesta ad acchiappare al volo: era una bottiglia di liquore, lanciatale da Hughes per… lenire un certo tipo di dolore.
Seayne sapeva cosa intendeva il superiore: viste le condizioni pietose nelle quali era ridotta, lui le offriva l’unica consolazione che poteva, ovvero annegare nell’alcool i suoi dispiaceri. Ma Seayne ricordava di come, quando era bambina, si riducevano alcuni dei minatori, amici e compagni di lavoro di suo padre quando bevevano troppo. E poi lei aveva i suoi metodi per reagire alla sofferenza. Lentamente, appoggiò la bottiglia a terra senza romperla, per poi rivolgere un lieve sorriso al superiore, ringraziandolo ma rifiutando gentilmente la sua offerta. Ma, mentre la Numero 12 parlava, Hughes sembrava nuovamente assorto nei suoi pensieri e, alla fine, si rivolse nuovamente a lei, asserendo che, per il momento, doveva accontentarsi di aver salvato la sposa. Seayne ci pensò su, riflettendo su tutto quello che era successo, era stato detto e fatto e si permise di dire al superiore ancora una cosa, ovvero che si poteva pensare che qualcuno avesse interesse a impedire un accordo tra noi e Rabona. Seayne aveva recuperato pienamente il suo autocontrollo e attendeva soltanto di ricevere altri ordini o di essere congedata, per tornare nel suo territorio di pattuglia.
Hughes, senza attendere oltre avanzò verso Nord dirigendosi a tutti gli effetti verso le Terre Centrali, per controllare l’operato di altre guerriere. Quello che c’era da dire era stato detto e a Seayne non rimase altro da fare, dopo aver educatamente e rispettosamente salutato il superiore, che raccogliere la sua uniforme nuova e incamminarsi verso la sua “casa” nelle Terre Centrali.
Passò accanto a Scramen senza degnare la città di uno sguardo e proseguì oltre. Camminò per giorni, mangiando e riposando lo stretto necessario, ignorando i viandanti che la scansavano e rispondendo con un cenno del capo a coloro che, nonostante tutto, trovavano il coraggio di salutarla. La guerriera albina quasi non si accorse del mutare del paesaggio attorno a lei, persa com’era nei suoi pensieri, nel tentativo di dare una logica, un senso a tutto quanto era successo fino a quando, a un giorno di marcia dal suo rifugio, la Numero 12 si arrese, rinunciando a dare un senso alle azioni di Caterina. Seayne scosse la testa, lasciando che i suoi lunghissimi capelli candidi la ricoprissero come un sudario.
Con la debole speranza che Hughes mantenesse la sua parola, Seayne si rimise in marcia, iniziando a risalire le alture che sovrastavano Salt Lake, per poi nascondersi finché non fece buio sulle sponde del Lago delle Streghe. Quando fu sicura che non ci fosse nessuno, approfittò delle tenebre per lavarsi nelle fredde acque dello specchio d’acqua e poi indossare l’uniforme pulita, proseguendo poi per l’ultima parte della salita al suo rifugio.
Una volta arrivata alla sua piccola spelonca e aver constatato che quel poco che aveva era ancora al suo posto, segno che nessuno era giunto fin là durante la sua assenza, Seayne si tolse arma e armatura, riponendole in ordine in un angolino, per poi mettersi a sedere nella posizione del loto, utilizzando come tappetino per non sporcarsi la mantellina della sua vecchia uniforme, abbandonandosi quindi alla meditazione, cercando la pace e la tranquillità che sempre questa le donava mentre il mondo, con tutti i suoi dolori, emozioni ansie e paure, si faceva poco a poco sempre più lontano e indistinto.

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01-10-2018, 09:55 PM
Messaggio: #20
RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XIX – RITORNO A CASA

Dopo essere stata promossa a Numero 11 dell’Organizzazione, Seayne venne schierata nel territorio di Pieta, nelle Terre del Nord. Finalmente Seayne tornava a casa!
Sin dall’inizio della sua vita da guerriera Seayne covava in sé la speranza di riuscire ad ottenere il Numero 11, non tanto per il rango, cosa della quale le importava poco o nulla, non dipendendo la cosa da lei, quanto per ottenere quel determinato territorio da pattugliare.
Così, lieta per lo sviluppo inatteso della situazione, in breve raccolse le sue cose e, dopo aver inciso con il pomo acuminato della sua claymore, su una parete della sua spelonca una scritta sula sua nuova destinazione come indizio se qualcuno fosse venuto a cercarla, in una bella mattinata soleggiata Seayne si mise in cammino verso le Terre del Nord, verso il villaggio nel quale aveva trascorso i primi anni della sua vita.
Pur consapevole dello scenario di devastazione che vi avrebbe trovato, la guerriera albina non si perse d’animo: camminò per giorni, senza aver bisogno di chiedere indicazioni. Tuttavia, una volta varcato l’ideale confine delle Terre del Nord, la nuova Numero 11 si concesse una deviazione verso il villaggio di Lore. Col favore delle tenebre: dopo aver pregato davanti alla tomba della sua prima Caposquadra, lieta che la stessa non fosse stata profanata, la guerriera albina si rimise in cammino.
Dopo altri giorni di marcia, accompagnati da un cielo terso e da un sole splendente, anche se insufficienti a scaldare l’aria la quale, a dispetto di quelle belle giornate, rimaneva comunque fredda, rinunciando a recarsi a Pieta e dopo aver pernottato in un capanno per cacciatori finalmente, poco prima di mezzogiorno; Seayne arrivò a un bivio da quale, come ben sapeva, prendendo la strada di destra sarebbe in pochi minuti giunta a Edoras, il suo villaggio, mentre l’altra strada conduceva, dopo un’altra ora di cammino, a un passo montano che tutti chiamavano semplicemente: “La Forcella”. Tuttavia, proprio in prossimità del bivio, c’era qualcosa che non andava, qualcosa che mise sul chi vive la guerriera albina. Erano due carri da viaggio, con tanto di telone che li ricopriva, senza traccia di bestie da soma e con uno dei due veicoli rovesciato sul margine della strada; poco distante, in mezzo agli alberi, intravvide tre corpi umani. Avvicinatasi, vide che si trattava di due uomini e una donna, ancora giovani, con i ventri squarciati e vuoti, segno inequivocabile che erano stati aggrediti dagli yoma. Con i sensi all’erta, Seayne si avvicinò con cautela ai due carri e, con sgomento iniziò a percepire delle tracce di yoki, che portavano in direzione di Edoras, il suo villaggio!
Nonostante fosse furiosa, la Numero 11 resistette all’impulso di lanciarsi in una caccia immediata, optando per un approccio più prudente, almeno finché non avesse identificato con certezza il o i nemici. Approfittando di un banco di nebbia che stava calando sul villaggio fantasma, Seayne si inoltrò tra le case in rovina: mano a mano che si avvicinava, le tracce che Seayne aveva percepito iniziarono a delinearsi, divenendo poco alla volta cinque emanazioni distinte, con una leggermente più forte delle altre ma tutte ben più deboli, se confrontate con l’aura della guerriera albina. Un sorriso cattivo si schiuse tra le pallide labbra della guerriera, mentre Seayne attendeva che la nebbia calasse totalmente sul suo villaggio e poi, cercando di fare meno rumore possibile, iniziò ad avvicinarsi ai cinque yoma che aveva percepito.
A quel punto, estratta lentamente la sua claymore, partì di corsa in direzione del gruppo. In poco tempo, si sbarazzò di tutti loro. Solo a quel punto un sorriso maligno si disegnò sulle sue labbra e la guerriera albina, iniziò a provare soddisfazione. Mai uccidere degli yoma era stato così appagante! Prese i cadaveri degli yoma uno alla volta, trascinandoli in prossimità di un burrone quindi, una volta raggruppati tutti i resti, teste comprese, li scaraventò oltre il bordo, lasciando che fossero gli animali spazzini a prendersi cura delle carcasse, ammesso e non concesso che a loro piacesse la carne degli yoma.
All’improvviso un grido sommesso, come se provenisse da lontano, giunse alle orecchie di Seayne, assieme a un rumore, come un insistente bussare, che proveniva da un punto non troppo distante da dove si trovava: anche la voce, una voce di donna, sembrava provenire dalla stessa direzione dalla quale provenivano i colpi. Seayne non ci mise molto a individuare l’edificio dal quale provenivano quelle urla disperate: una piccola stalla per una manciata di pecore, annessa a una casa parzialmente crollata, la cui porta e l’unica finestrella erano state bloccate dall’esterno inchiodandoci sopra delle assi di legno. Non avvertendo nessuna fonte di yoki, a parte qualche debole traccia lasciata probabilmente dagli yoma, la Numero 11 si piazzò direttamente davanti all’uscio e poi con la sua claymore spezzò le assi che bloccavano l’ingresso, spalancando la porta.
Dalla piccola costruzione uscì una donna la quale, dall’aspetto, dimostrava di avere forse una mezza dozzina d’anni più di Seayne, con in braccio una bambina che non dimostrava più di cinque o sei anni, i cui occhioni curiosi si puntarono subito sulla figura della guerriera albina. Nonostante i vestiti pesanti e i mantelli da viaggio che entrambe indossavano, le due umane tremavano per il freddo e la paura.
La donna, sia fisicamente che nella cura con la quale stringeva a se la piccola, risvegliò in Seayne il ricordo di Nyara, sua madre e, prima che la donna potesse dire o fare qualcosa, fu la guerriera albina, mossa a pietà o comunque da un sentimento legato a un ricordo molto intimo e profondo a prendere l’iniziativa, chiedendo alla donna di seguirla e di non permettere alla bimba di guardarsi troppo in giro affinché non notasse i resti scheletriti di quelli che furono gli abitanti di Edoras che ogni tanto affioravano qui e là tra le erbacce e le rovine; la donna la seguì senza fiatare.
Seayne le condusse in quel che rimaneva della locanda “Il Lupo Grigio”, trovando per loro una stanza ancora in condizioni più che accettabili, cercando poi della legna con la quale accesero il fuoco per scaldare le due umane. Fu così che, non appena vide che Seayne si rilassò quando un bel fuocherello scoppiettava nel camino, la donna trovò il coraggio per rivolgere la parola alla guerriera albina, ringraziandola e presentandosi: il suo nome era Ragnhild e sua figlia Freya. La guerriera albina sorrise in risposta alle parole gentili che le erano state rivolte. Le due umane erano prigioniere da tre giorni, erano in viaggio con suo mio marito e una coppia di amici su due carri trainati da cavalli da soma. Provenivano da Pieta e si stavano dirigendo verso La Forcella per raggiungere Buonarroti quando, al bivio, quei cinque mostri li avevanonno attaccato. Ragnhild non ce la fece più a trattenersi e scoppiò in lacrime al ricordo di quanto accaduto, accasciandosi sul letto, mentre Seayne la guardava con la pietà nello sguardo. Forse disturbata dal pianto o dal sobbalzare del letto, la piccola Freya si svegliò, lamentandosi per la fame, mentre sua madre cercava di asciugarsi le lacrime dal viso, probabilmente per non far preoccupare ancora di più la piccola. Seayne decise di cercare qualcosa da mangiare, prima di uscire nuovamente all’esterno. Era tardo pomeriggio e il tramonto sarebbe giunto presto: dove e come procurarsi da mangiare a quell’ora? All’improvviso Seayne ebbe un’idea e si lanciò di corsa sulla strada che portava fuori dal villaggio.
L’idea di Seayne era di raggiungere i carri abbandonati perché se qualche predone o qualche animale selvatico non li avessero già depredati, sui carri ci sarebbero dovute essere le provviste per il loro viaggio: aveva ragione. Infatti, raggiunti i carri, la guerriera albina rinvenne in quello rimasto sulle ruote una grossa sacca che conteneva del cibo da viaggio e una bottiglia di liquore, razioni erano sufficienti per qualche giorno. Le due umane attaccarono il cibo con appetito e poi, vedendo la Numero 11 tenersi in disparte, l’invitarono a unirsi a loro: in entrambe Seayne non vide il timore che di solito gli umani nutrivano nei confronti di quelle come lei, ma solo gratitudine. Forse fu quello che spinse Seayne ad accettare; quello e, comunque, un po’ di fame; in fondo era trascorso qualche giorno da quando aveva mangiato per l’ultima volta perciò accettò. Finito di cenare, Seayne iniziò a raccogliere le sue cose, con l’intenzione di uscire per lasciare alle due umane l’alloggio tutto per loro ma, alle sue spalle, la voce di Ragnhild, nella quale risuonò una nota di paura, si fece sentire chiedendole di restare con loro così non avrebbero avuto timore, almeno per quella notte. Sommersa da tristi ricordi Seayne decise di restare con loro, ritirandosi in un angolo per meditare e non disturbare madre e figlia.
Dopo un tempo indefinito, qualcosa disturbò la tranquillità della quale Seayne si era ammantata. Qualcosa di caldo le aveva sfiorato le mani che teneva incrociate in grembo ma, forse perché ancora rilassata dalla meditazione o forse perché i suoi sensi appena risvegliati non le trasmettevano segnali di pericolo, Seayne si limitò ad aprire gli occhi trovandosi davanti la piccola Freya in piedi, la quale la stava osservando con molta attenzione. La curiosità in quegli occhi di bambina faceva presagire delle domande, che non tardarono ad arrivare. Furono domande ingenue da una bambina innocente. Seayne sorrise quando la piccola la paragonò a una spettrale Donna delle Nevi, ricordando che anche uno degli yoma temeva che lei lo fosse.
La Numero 11 decise di stare al gioco e, sempre sorridente e immobile, rispose a voce bassa alla piccola curiosa, confermandole i suoi sospetti ma ammonendola di non rivelare il segreto, altrimenti lei sarebbe dovuta scomparire: Freya accettò quel patto ma, subito dopo, l’espressione della bimba divenne triste, le sue labbra tremarono e delle lacrime comparvero nei suoi grandi occhi castani quando la piccola chiese a colei che pensava fosse uno spirito del bosco dove fosse il suo papà.
Seayne invitò la bambina a seguirla fuori dall’edificio e, mentre la piccola ubbidiva, Seayne si sciolse dalla sua posizione, si alzò in piedi e condusse la piccola fuori dalla locanda. A quel punto la guerriera albina si fermò, scrutando il cielo limpido: trovato quel che cercava, la Numero 11 indicò a Freya Polaris, la Grande Stella del Nord, la regina di tutte le stelle. La Numero 11 raccontò quindi alla piccola una leggenda, nella quale però Seayne credeva fermamente fosse vera, secondo la quale gli spiriti di coloro che muoiono diventano stelle nel cielo, invitando Freya a individuare quella che, secondo lei, era il suo papà.
Mentre Freya era impegnava a scrutare il cielo, cercando l’anima di suo padre in quel mare di stelle, Ragnhild era uscita lentamente dalla locanda, andando ad affiancarsi alla guerriera albina e ringraziandola ancora perché, il quel momento, lei non avrebbe saputo come spiegare alla figlia la morte del padre. A un certo punto uno strillo di Freya richiamò l’attenzione delle due donne. La bambina aveva indicato una stella rossa e poi, ancora con le lacrime agli occhi ma sorridendo, la salutò con la manina destra, sicura di star salutando suo padre. Seayne e Ragnhild la lasciarono fare, finché la piccola non mostrò evidenti segni di stanchezza. A quel punto, dopo che la donna ebbe lavato tre bicchieri che aveva con se nella fontana del villaggio, tutte e tre tornarono nella locanda e, mentre Freya si rimetteva a letto senza fare capricci, la guerriera albina rimase a guardarla sprofondare nel sonno, contenta che le sue parole fossero servite a mitigare il dolore di quella bambina.
Quando Freya si addormentò, Ragnhild ravvivò il fuoco nel caminetto, poi fece cenno a Seayne di seguirla: perplessa, la guerriera albina lo fece, notando che la donna aveva con se due bicchieri e la bottiglia di liquore che c’era nel sacco delle provviste. La mamma di Freya non andò lontano, sedendosi a terra poco fuori della stanza, in modo tale che l’aria riscaldata dal caminetto mitigasse il freddo del pianerottolo sul quale si aprivano le stanze; la Numero 11 la imitò, sedendosi vicino a lei a gambe incrociate. Ragnhild sistemò a terra i due bicchieri, poi aprì la bottiglia che aveva con sé e versò un paio di dita del liquore in ognuno dei due, porgendone poi uno a Seayne. Mentre lo faceva, Ragnhild, con gli occhi bassi, le raccontò del disastro che aveva colpito Edoras dieci anni prima e concluse chiedendole se lei fosse una sopravvissuta a quella strage, lasciando la guerriera albina senza parole. La donna le sorrise dolcemente, un sorriso che a Seayne ricordò quello di sua madre, mentre Ragnhild concludeva, dicendole che aveva notato la sicurezza con la quale Seayne si muoveva in giro per il villaggio e, dalle fessure della porta dell’ovile, aveva visto con quale rabbia la Numero 11 aveva buttato nel burrone i corpi degli yoma che aveva ucciso.
Gli occhi di Seayne si fecero umidi: non aveva mai parlato di quella notte con nessuno, fondamentalmente perché a nessuno, meno che meno alle sue compagne di sventura, era mai importato ma ora, vicino a quella donna così simile a sua madre ma con pochi anni più della Numero 11, tanto da poterla considerare, volendo, una sorella maggiore, Seayne si arrese al dolore. La guerriera albina respirò a fondo e bevve d’un soffio il contenuto del bicchiere, avendo cura di attivare la sua capacità di resistere agli effetti dannosi del liquore e, mentre sentiva l’alcool bruciarle leggermente in gola, raccontò a Ragnhild la sua storia. Alla fine, le braccia calde di Ragnhild strinsero dolcemente le spalle di Seayne in un gesto carico d’affetto e gratitudine e l’autocontrollo della guerriera albina si spezzò, mentre quel gesto spontaneo e inaspettato esorcizzava l’incubo di dieci anni prima, il giorno in cui Seayne la bambina umana morì e Seayne la mezza demone nacque, sciogliendo quel gelo che da una decade le attanagliava il cuore e facendolo scivolare via assieme alle lacrime calde e copiose che Seayne versò, abbracciata a quella donna che cercava di consolarla così come avrebbe fatto con sua figlia o con una sorella minore, ripagando in tal modo il debito di gratitudine che aveva nei confronti della guerriera albina.
Il mattino seguente, Seayne si ritrovò a fare il punto della situazione con Ragnhild. La donna decise di tornare dai suoi parenti a Pieta e allora Seayne, indossata l’armatura e presa con se la sua claymore, sinceratasi che non vi fossero pericoli in giro, si diresse fuori da Edoras, fino al punto dove erano rimasti i carri. Grazie a degli attrezzi invenuti nei carri, Seayne seppellì i tre corpi i quali, stranamente, a parte le mutilazioni inflitte dagli yoma, sembravano essere stati risparmiati dagli animali spazzini e poi, radunato sul carro rimasto sulle ruote tutto quello che valeva la pena salvare, compresa una bambola di pezza che sicuramente era di Freya, Seayne trascinò il carro fino al paese. Quando ci arrivò, Ragnhild le riferì che aveva udito il nitrito di alcuni cavalli. Credendo che fossero i suoi, le chiese il suo aiuto per recuperarli e Seayne, scherzando col lei, accettò.
Non fu difficile, quel pomeriggio, ritrovare due dei quattro i cavalli che avevano trainato i carri. Sulla via del ritorno, Seayne ne approfittò per mostrare a Freya alcuni dei “posti segreti” che aveva scoperto quand’era bambina, felice di poter condividere quei momenti con la piccola, quasi volesse in quel modo lasciarle in eredità i ricordi di quello che era stata e che non avrebbe potuto essere… mai più. Nessun pericolo minacciò il gruppetto e, per l’ora di cena, i due cavalli sopravvissuti erano stati alloggiati nella stalla del Lupo Grigio. Ancora una volta, dopo aver atteso che Freya si addormentasse con la sua bambola stretta tra le braccia, Ragnhild e Seayne si appartarono, sedendosi nuovamente subito fuori dalla stanza della locanda con la bottiglia di liquore e lì, la donna e la mezza demone presero commiato, ringraziandosi vicendevolmente per quanto avevano fatto l’una per l’altra. Nonostante le offerte d’aiuto da parte di Ragnhild, Seayne chiese per sé solo gli attrezzi, un mantello e un po’ di cibo e disse all’amica di raccontare liberamente quant’era successo, segretamente sperando che il sapere della sua presenza a Edoras scoraggiasse la gente dal ficcare il naso da quelle parti.
Il mattino dopo, di buon’ora, mentre Ragnhild andava a prendere i cavalli da attaccare al carro, la guerriera albina si prese un momento per salutare Freya, triste per l’imminente separazione. La Numero 11 poi sollevò la bambina e la mise a sedere sulla cassetta del carro e, dopo averle arruffato i capelli, si allontanò di alcuni passi, appartandosi con Ragnhild la quale, come prima cosa, incurante dell’armatura e della claymore che pendeva dalla schiena della sua salvatrice, abbracciò la guerriera albina come fosse una sorella, invitandola a cercarla a Pieta se mai Seayne fosse stata nel bisogno, per poi salire sul carro e avviarsi con esso lungo la strada, mentre Freya gridava e agitava una manina in segno di saluto finché il carro prese una svolta e scomparve alla vista di Seayne, che rimase sola, in piedi, al limitare del villaggio di Edoras.
I giorni che seguirono furono molto impegnativi per Seayne la quale si dedicò al compito che si era prefissa dal giorno nel quale aveva saputo che le guerriere come lei sarebbero state dislocate sul campo: dare sepoltura ai suoi concittadini! Per giorni la guerriera recuperò le ossa di coloro che furono i suoi abitanti, per ricomporle in uno spazio della miniera che aveva deciso di trasformare in una cripta. Per ultimi, Seayne recuperò quel che restava dei suoi genitori, mentre in uno sfogo di rabbia, grazie alla forza del suo corpo ibrido, fece a pezzi le ossa degli yoma che avevano sterminato il villaggio, prima di gettarne i frammenti nello stesso burrone dove aveva lanciato i corpi dei demoni che avevano prese prigioniere Ragnhild e Freya.
Alla fine di una settimana di duro lavoro, quando fu sicura di aver finito, Seayne si raccolse in preghiera davanti all’ingresso della cripta che aveva ricavato all’interno della miniera e poi, alla fine, utilizzando “Gùrthang”, la sua tecnica, fece crollare parte della volta sopra l’ingresso della camera mortuaria, sigillandola e seppellendo i resti al suo interno. Ripresasi dallo sforzo e ricordando un’altra leggenda del Grande Nord, come quella che le aveva ispirato il nome della sua tecnica, usando il pomo acuminato della sua claymore, Seayne incise sopra l’ingresso della miniera le parole:

La via è chiusa. Fu fatta da coloro che sono Morti e i Morti la custodiscono. Fino a quando giungerà l’ora

Sperando che superstizione popolare, paura degli spiriti e la consapevolezza della presenza di una Claymore a Edoras, motivo per il quale aveva chiesto a Ragnhild di raccontare quanto era successo, fossero sufficienti dal dissuadere chiunque a tornare a cercare l’oro da quelle parti e a profanare la tomba dei suoi compaesani.
Soddisfatta della sua opera, Seayne iniziò a pensare a come sistemarsi all’interno della miniera. Quando ebbe trovato una soluzione, Seayne ebbe l’impressione che la vicinanza al luogo di sepoltura dei suoi cari e compaesani le donasse una pace e una tranquillità che, almeno in quel momento, ottenebravano anche la sofferenza per la separazione da Stephan.
Mentre meditava, scivolando lentamente verso il suo consueto stato di enstasi, la guerriera albina ebbe la sensazione di udire la voce dei suoi morti che le sussurravano in coro, ringraziandola per aver dato loro la pace di una degna sepoltura.

I am the one, the only one! I am the god of kingdom come! Gimme the prize!
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